Sono passati, dunque, tre anni, da quell’agosto fatto di Bacardi Breezer, caldo e zanzare tigre. Se ci penso adesso, al momento in cui ho aperto il blog, non ricordo nulla, o quasi, a parte quello che c’è scritto in queste pagine. È un bene? È un male? È un così così? Non lo so.

Sono passati, dunque, due anni, da quell’agosto di ansia e dolore, che si è concluso con una telefonata nella notte e i miei occhi che vagavano da un sito internet all’altro, ché tanto parevano sempre gli stessi: cambiava solo la grandezza del titolo e la foto scelta per annunciare la morte di Enzo Baldoni.

È passato un anno dall’ultimo agosto, e mi sembrano quattro anni, o quattrocento. Le pareti intorno a me sono mie, per la prima volta, e diverse, bianche come non lo sono mai state (e leggeteci pure, voi che potete, sapete, volete, tutte le simbologie che vi pare: probabilmente saranno tutte valide). Di quel che c’è dentro di me è impossibile parlare qua: quando mi capita di farlo, devo accoccolarmi  sul divano, e fare come quando, nella casa dei miei, rimettevo a posto la libreria della mia stanza. Buttavo tutto per terra, per poi rimettere tutto a posto, lentamente, magari nello stesso ordine di prima, ma trovando sempre qualcosa di cui mi ero dimenticato l’esistenza, e buttando qualcos’altro.

Quest’anno vado in vacanza il 21 agosto. Anche questo, credo, è significativo. Farò che il mio settembre (mese di cominciamenti da sempre) inizi da lunedì prossimo, con un trucco tanto semplice quanto spudoratamente esplicito. Rilasserò il corpo e la mente, farò sguazzare nel mar di Sardegna le mie braccia, le mie gambe, e le mie parole. Tornerò qui alla fine del mese, con i capelli bagnati e, speriamo, un ritmo placido del respiro.

P.S. Un’ultima cosa: grazie a tutti voi, che leggete da tre anni queste pagine. In fondo queste parole esistono anche perché centinaia di migliaia di paia d’occhi (senza offesa per eventuali lettori ipovedenti, che giustamente si lamenteranno del carattere extrasmall di questo post scriptum) si sono posati su di esse. Grazie, quindi. E a tra un po’.