Archivi mensili: Marzo 2010

You only give me your money – 2

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Ora, di sfruttamento delle canzoni dei Beatles, già ne avevo parlato qui, un paio di anni fa. Ed è già successo recentemente che John sia stato “resuscitato”, ma se non altro la causa era “nobile”. Ma l’altro giorno, all’ora di cena, mi è capitato di vedere lo spot che riporto quassù.
Stavolta, cari Sean e Yoko, è troppo. E poi, la scusa che il figlio di Lennon ha usato, l’avete letta?
Se qualcuno oserà mettere “Woman” come sottofondo di una pubblicità di intimo femminile, chiamo tutti alla rivolta.

Essere sul pezzo

Mi hanno appena suonato al citofono. Una voce si è presentata con nome e cognome. “Vogliamo lasciare degli inviti per una conferenza sul Grande Evento”, ha detto la voce, pronunciando distintamente le maiuscole. Mi sono chiesto di che evento, o Evento, stesse parlando: le elezioni? Uno tsunami? La crisi economica? “Cioè?”, ho chiesto.
Dopo una pausa, la voce ha detto: “La morte di Gesù Cristo”. Non ho aperto. Odio i parvenu dell’informazione.

Il mondo secondo Google (e un video che non c'entra nulla)

Pensavo: e se l’ordine delle cose del mondo fosse dettato davvero da un motore di ricerca, cosa succederebbe? Cosa potremmo scoprire?
Per esempio, questa sequenza di figure sono i primi risultati della ricerca immagini di Google per i versi immortali dell’epica “Trentatrè trentini” (oh, mica potevo farlo con la Genesi…).

Il che ci rivela alcuni arcani dietro allo scioglilingua: per esempio, i trentini in questione avevano problemi stomatologici, lungi da loro usare i cavalli, visto che ci sono le jeep (e poi: quel trentatrè com’è da intendersi? Pare fossero di meno). E ancora: il loro andare a Trento aveva evidentemente a che fare con un compleanno e, infine, i nostri protagonisti erano tutt’altro che sprovveduti, avendo messo su delle imprese di agriturismo da tutt’altra parte d’Italia. Dove i cavalli, peraltro, tornano. Ma come attrazione per turisti.

Buon fine settimana a tutti.

Di |2010-03-12T09:03:00+01:0012 Marzo 2010|Categorie: I Am The Walrus|Tag: , , , , |0 Commenti

Santi e tabacchi

L’altro giorno entro in un tabacchino: aspettavo un amico che non arrivava e ho deciso di comprarmi delle gomme da masticare e ripararmi dalla pioggia. Appena varco la soglia del negozio, un cliente mi dice: “Torna subito”. Immagino si riferisca al proprietario dell’esercizio, che poco dopo fa la sua comparsa. L’uomo si presenta urlando, ma con aria divertita, ed esclama senza indugi: “A quei tre stronzi, la prossima volta, gliela faccio vedere io. Mi tiro giù le braghe, mi metto carponi, e gli faccio parcheggiare la bicicletta tra le mie chiappe.” I pochi clienti nel locale non reagiscono, ma il silenzio viene di nuovo riempito dal vocione dell’uomo, che ripete la questione. “Quanti sono? Ah, ma vedono: giù le braghe e che mi mettano la bicicletta nel solco del culo.”
Poi serve un cliente e tocca a me. Gli porgo il pacchetto di chewing gum e due euro. Mentre mi dà il resto, sollevo lo sguardo e noto, in alto sul bancone, una foto che ritrae, senza dubbio nonostante il tempo passato, il proprietario che tiene un braccio sulla spalla di un monaco tibetano (per me potrebbe essere il Dalai Lama), davanti a quello che potrebbe essere un tempio buddista. E, ancora una volta, dubito della definizione di “pace interiore”.

Gialli senza mistero

Se ne è parlato tanto anche su altri blog, e io, appena appresa la notizia, l’ho diffusa come potevo. In sintesi la questione è che Maurizio Costanzo è diventato direttore responsabile dei Gialli Mondadori. Una collana storica, che ha compiuto da poco 80 anni. E fin qui nulla di strano: è solo l’ennesimo caso di gerontocrazia vigente nel panorama culturale italiano.
Il punto è che nel post di presentazione ai lettori sul blog della collana, Costanzo non fa mistero di non saperne una mazza di letteratura gialla. Cioè, è scritto nero su bianco, in maniera impudica, o meglio, con una consapevolezza assoluta dell’impunità (morale, giudiziaria, politica) che vige in Italia.
E voi direte: be’, qualcuno avrà commentato negativamente questa scelta: certo, solo che come spiega Sergio Altieri in un altro post, quei commenti sono stati cancellati. E, anche in questo caso, l’ammissione è là, evidente, alla portata di tutti. Iniziamo bene, insomma: un giallo in cui il colpevole, alla prima pagina, ammette la sua responsabilità e, sotto gli occhi di tutti, riesce a farla franca.

Ti racconto una storia

Tutti i racconti di Ali Smith potrebbero cominciare così, con un’interpellazione al lettore quasi sgraziata, che qualcuno potrebbe trovare superflua: uno sguardo in macchina proibito dalla grammatica del cinema, e sicuramente usato in maniera ruffiana da qualche scrittore. E invece i racconti che compongono La prima persona, ultima raccolta dell’autrice scozzese, sono puri e semplici come una chiacchierata. Creando un momento completamente surreale in un banale supermercato, o discutendo con la se stessa quattordicenne nella cucina di casa, l’io narrante di queste short stories affascina proprio per il modo che ha di raccontare. Ogni tanto si incontrano delle persone che rendono interessante il più banale degli accadimenti: ecco, Ali Smith, nella vita di tutti i giorni, è sicuramente una tipa del genere. Quando prende la penna, però, il taglio che dà al vituperato e, allo stesso tempo, celebrato quotidiano è illuminante.Illuminante nel senso proprio del termine: dalle righe di questo libro scaturisce la luce, o forse le parole riescono a rifrangerla in maniera tale che il lettore veda le parole e le cose di tutti i giorni in un modo completamente diverso, provando una specie di epifania pagina dopo pagina. Ci siamo tutti, in questi racconti: siamo noi l’operaio che rimane bloccato in un’intercapedine, viene licenziato e cerca un lavoro identico al precedente. Siamo noi quelli che rispondiamo male alla persona che ci ama, e ce ne pentiamo subito dopo per ripetere lo stesso errore. Siamo noi che, in letti e stagioni diverse, abbiamo la sensazione di vivere e rivivere le stesse esperienze, salvo poi non riuscire a farne tesoro e quindi commettere gli stessi sbagli.La Smith, in questo, è davvero eccellente, ma non si limita a rileggere il quotidiano. Il primo racconto della raccolta, per esempio, intitolato non a caso “Vero racconto breve” è un vero e proprio saggio sull’arte e sulla bellezza del racconto: ma di questo ci si accorge solo alla fine, quando l’occhio scorre oltre l’ultima parola del testo e si ferma, per un attimo, sulla pagina bianca che la segue. Fino a un minuto prima il lettore crede di assistere ad una serie di conversazioni tra l’autrice e una sua amica, o origlia con lei le conversazioni in un bar. Poi, si rende conto che è tutto lì, che la cosa più bella di chi narra è il fatto stesso che lo faccia, e ascoltare le parole scritte è pura gioia. Quindi non serve altro se non rispondere “Sì, dai”, quando, tra un racconto e quello successivo, si sente distintamente una voce che dice “Ti racconto una storia”.

Completamente notte adesso fuori casa mia e soltanto le sei di sera. Tutti i lampioni sono accesi. Tutte le macchine nella città oltre questa via stanno andando a casa o allontanandosi da casa, facendo il rumore che fa il traffico in lontananza. Più vicino a casa, nel giardino pubblico non illuminato, sotto un cielo che promette ghiaccio, qualcuno a noi invisibile passa in bici su uno dei sentieri, e grida a squarciagola. Ti amo. Difficile dire se è un uomo o una donna, poi nel buio grida quello che sembra un nome, lo grida nell’aria stellata sopra tutte quelle migliaia di morti antichi, e poi di nuovo le parole ti amo, e poi di nuovo il nome.
La me stessa quattordicenne guarda verso la finestra e lo faccio anch’io.
Hai sentito? diciamo all’unisono.
(Ali Smith, La prima persona, Feltrinelli, Milano, 2010, p. 113. Traduzione di Federica Aceto.)

Di |2010-03-01T08:20:00+01:001 Marzo 2010|Categorie: Paperback Writer|Tag: , , , , |0 Commenti
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