Archivi mensili: Ottobre 2010

Metastasi

Avrei voluto scrivere, tra qualche settimana, un post sulla mia esperienza su Facebook. Abbiamo aperto l’account di Maps e quindi anche io sono entrato nel magico mondo del social network più diffuso nei Paesi sviluppati: il mio girovagare tra i profili, richiedere amicizie e accettarne da conosciuti e sconosciuti, l’interazione sulla piattaforma sono tutte cose che mi hanno fatto pensare.

Ma c’è qualcosa che è più urgente da dire, secondo me.
Proprio su Facebook, da una decina di giorni, alcune donne e ragazze hanno iniziato a postare sul loro profilo frasi come: “A me piace sul divano”, “A me piace per terra”, “A me piace sul letto”. Prima una, pooi tre, poi cinquanta: questi messaggi sono aumentati nel giro di pochissimo. “Che senso ha?”, mi sono chiesto (una domanda che mi capita spesso di pronunciare, quando sono in giro su Facebook). Poi me l’hanno spiegato (a voce, eh): si tratta di una campagna per la prevenzione del tumore al seno, promossa in questo mese; quelle risposte (evidentemente maliziose e provocatorie, seppure all’acqua di rose) si riferiscono alla domanda “Dove poggi la borsa appena rientri a casa?”. “Che senso ha?”, mi sono chiesto nuovamente. Mi hanno spiegato, sempre a voce, che l’anno scorso la domanda nascosta era “Di che colore è il reggiseno che indossi in questo momento?”. Lo scopo era il medesimo: sensibilizzare le donne sulla prevenzione di quel tipo di cancro.
Attenzione: sui profili di queste persone compariva solo la risposta, senza link né altro che rinviasse ad una pagina del Ministero della Salute, che patrocina la campagna. Esattamente come l’anno precedente.

Allora mi sono fatto due domande. La prima è stata: “Che senso ha fare una campagna del genere in rete, considerando che gli stati, i messaggi, le sollecitazioni in genere su Facebook, per un utente medio come Maps, sono decine e decine ogni ora?”. Una campagna fallita, insomma. Ma mica solo per motivi “tecnici”.
Mi sono infatti chiesto anche che senso avesse parlare alle donne con un linguaggio da uomo. Perché di questo si tratta: la domanda della campagna di quest’anno prevede chiaramente di attirare l’attenzione attraverso risposte che abbiano comunque un retrogusto “sessuale”. Esattamente come l’anno precedente, dove si parlava di reggiseni.
Reggiseni imbottiti, forse?
No, perché io non sono una donna, ma considerando che uno degli esiti più probabili per certi carcinomi al seno è la mastectomia, che accidenti di senso ha parlare proprio di reggiseni? Ma che senso ha di parlare di sessualità in genere, considerando la seconda domanda, la valenza comunque sessuale del capo di abbigliamento sopra citato e, soprattutto, il fatto che presumo che una donna con un seno solo possa sviluppare delle legittime insicurezze proprio sulla sua capacità di essere attraente dal punto di vista erotico?
Ma non ce l’ho con i creativi assoldati dal Ministero, no: mi domando, però, se per una simile campagna per il cancro al testicolo, avrebbero usato una frase come “Tira fuori le palle e affronta la malattia”.
Ce l’ho invece con quelle donne che sono state, ancora una volta, ad un gioco improntato alla mentalità maschilista dominante e che, ancora una volta, si ritorce contro di loro come un boomerang affilato. Così non si va avanti. Soprattutto quando, sempre su Facebook, tra un “A me piace sul caminetto” e “A me piace sul tappeto”, ho visto uno scambio tra due ragazze. Una diceva: “E sei noi donne ci incazzassimo veramente?” e un’altra non rispondeva, non commentava. Semplicemente, cliccava sul tasto “Mi piace”: un gesto minimo, inane e sconsolato simile al sorriso di chi rimane a terra, senza la forza di alzarsi.

Tre racconti, due persone, un vino

Amiche e amici, si replica: come già accadde più di otto mesi fa, martedì 19, domani, alle sette di sera, Egle Sommacal ed io vi proponiamo un reading musicale. Il luogo è l’Osteria Il Rovescio, in via Pietralata 75/A, a Bologna: su musiche originali di Egle, leggerò un paio di cosine, due estratti da racconti presenti nella raccolta La guerra in cucina e un racconto inedito. In abbinamento, un vino.

Per saperne di più, cliccate sulla locandina, che magicamente si magnificherà, e andate sul sito di Scritti Erranti, che organizza la rassegna che si apre proprio martedì. Accorrete!

Confessional Poetry

Sapevo solo vagamente chi fosse Robert Lowell, a cui è intitolata la prima traccia del nuovo disco dei Massimo Volume, Cattive abitudini. Ho scoperto che è stato il fondatore della “Poesia confessionale”, ma è divertente (e bellissimo) che la pagina Wikipedia dedicata al poeta parli di “poesia confusionale“.
Non c’è nulla di confusionale, in Cattive abitudini: le linee di chitarra traggono forza dal rumore e leggerezza dai silenzi, quando sono più o meno rarefatte. La batteria è una sicurezza, amalgamata al basso: insomma, sono tornati i Massimo Volume, come ce li ricordavamo, e come li abbiamo visti dal vivo dal 2008 a oggi. Dentro e fuori dall’onda ho parlato molte con Mimì, Vittoria, Egle e Stefano:  la reunion è stata un successo e i live ne sono la conferma, ma il disco? La domanda, insomma, che sicuramente oltre che da a me gli è stata posta da tanti altri. “Tanto vale dirlo subito, confessarlo“, avranno pensato.

chi l’avrebbe mai detto
di ritrovarci qui,
giugno 2010
in un pomeriggio
di pioggia e di sole
seduti di fronte
alle nostre parole?

(“Robert Lowell”)

Forse è vero, forse nessuno di voi l’avrebbe detto, ma eccoci, il disco è già iniziato da qualche secondo e sono loro, proprio loro, non c’è dubbio. Non si sono fatti tentare da impasti di riverberi, basi elettroniche più o meno raffinate, né dai sorrisi della gente sotto il palco più giovane di quando loro stessi avevano iniziato a suonare, vent’anni fa. Si sono chiusi in uno studio sulle rive del Po, quest’estate, e hanno tirato fuori un’ora di musica potente e lucida, su cui e con cui Clementi, ancora una volta, racconta storie popolate da luci e sensazioni che in una manciata di righe ti si piantano nella testa. I testi sono scritti su carta intestata di diversi alberghi, dalla Svizzera a Londra, da Rimini a Venezia, e il libretto riporta, oltre ai bellissimi disegni di BJ, solamente quelli e qualche nota tecnica. Mi è venuto voglia, ascoltando il disco, di prendere un atlante e immaginare dei viaggi, seguendo quegli alloggi temporanei con nomi altisonanti, ma le parole mi hanno riportato a loro con pressante dolcezza. E così sono stato a “Coney Island” ,in una stanza chiusa a chiave, tra i deliri di Leo e le asprezze delle donne descritte da Clementi, l’ossessione del tempo, scandito da arpeggi e distorsori, fino al letto di morte di qualcuno, trasfigurato nei ricordi e nella fantasia di un impossibile ritorno.

te ne sei andato docile
tra le mie braccia
nella tua arida notte
che un giorno sarà la mia

(“Mi piacerebbe ogni tanto averti qui”)

E d’accordo, a nessun poeta o scrittore piace sentirsi rivolgere la domanda “Ma quanto c’è di autobiografico in tutto questo”, però l’idea che Lowell fosse messo là in cima non per caso è arrivata, ma è stata subito spazzata via da un’apertura melodica e armonica che i Massimo Volume hanno raramente mostrato. Un trio femminile (Vittoria Burattini e Marcella Riccardi, una titolare e una “ex”, e Angela Baraldi) accompagna e innalza la consapevolezza, il cui dolore sfocia poi in “Fausto”, disperata e urlata: non a caso quest’ultimo brano contiene una citazione da “L’urlo” di Ginsberg, dove però la distruzione della generazione del poeta avveniva per follia; nel nostro “mondicino” basta scegliere di apparire per una serata in tv per perdersi rimanendo vestiti (lontani dalla nudità primitiva e folle di Ginsberg), “intonando il vestito al tema della puntata”.
Ma lo si può anche non fare: si può anche scegliere di ricordare, di non tradire. Così come si può tornare, quasi dieci anni dopo essersene andati, perché si ha davvero qualcosa da dire. E lo si fa alla perfezione.

(Ancora una volta avrò i Massimo Volume ospiti a Maps, venerdì 15 ottobre alle 16. E neanche a dirlo, Cattive abitudini è il nostro disco della settimana).

Torna in cima