Archivi mensili: Ottobre 2004

Referrers – Gente che cerca altro – 9

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
9. eccesso di peluria negli adolescenti maschi

Non ha il coraggio di parlarne con la Debby, no. Sì, è la sua migliore amica, ma da troppo poco. E poi, diciamoglielo, un po’ piaceva anche a lei. No, non gliel’ha rubato, no. Un po’. Forse. Quasi quasi avrebbe preferito parlarne con Marta. Era la più esperta, diciamo. Aveva già fatto almeno almeno uno sega al suo ragazzo. Ma secondo le altre era andata ben oltre. No, non aveva scopato, ne erano sicure, ma ci era andata molto vicino. A Marta piaceva dire in giro cosa faceva col suo tipo, e forse raccontava un po’ troppo, esagerava. Ma forse no. A lei, invece, non andava di dire niente. C’erano dei momenti in cui sembrava che tutte si raccogliessero, come per magia, col solo scopo di parlare di quello che facevano con i loro ragazzi. Chi ce l’aveva, il ragazzo, poi. Sì, perché a questi ristretti circoli partecipavano anche due o tre della compagnia che, si sapeva, non avevano mai oltrepassato il bacio con la lingua. Le loro tette erano rimaste ben chiuse nei reggiseni, per non parlare del resto. Nonostante la loro poca esperienza, partecipavano, forse per apprendere ed imparare. Infatti pendevano dalle labbra di Marta. Le aveva viste una volta da sole che si dicevano che alla fine Marta raccontava un sacco di cazzate, che non aveva fatto la metà delle cose che si vantava di avere provato. Ma il loro sguardo tradiva invidia.
E lei? Lei niente, sorrideva, contenta di stare con uno dei ragazzi più carini della scuola. Punto. Arrossiva quando le venivano fatte delle domande dirette, rivelava poco di sè. Ma quella cosa…
Il problema è che aveva visto Marco nudo. Ed era pelosissimo. Ben diverso dalle foto che aveva visto su Internet, qua e là. Voleva parlarne con qualcuno. Non è che le facessero schifo, quei peli, solo che le sembravano un po’ troppi. Insomma, erano coetanei, lei e Marco. Secondo il suo punto di vista un ragazzo di sedici anni, quasi diciassette, non poteva avere tutti quei peli. Ovunque. Ne avrebbe parlato con qualcuno. Ma prima avrebbe fatto una ricerca lei. Proprio su Internet. Quando provò con “uomini pelosi”, capì due cose. La prima: Marco non era così peloso. La seconda: uomini più pelosi di Marco erano molto molto ambiti. Doveva essere più precisa.
“Eccesso di peluria negli adolescenti”. Ebbe un attimo di esitazione. “Maschi”, aggiunse. Già doveva combattere con i suoi, di peli. Non voleva sapere niente di ragazzine e di peli.

Dopo un paio di giorni un nuovo blog con sfondo fucsia, pieno di faccine e di finestrelle compariva in rete. Il nome? “Mipiaccionopelosi.splinder.com”. Dopo un altro po’ di tempo era una blogstar. Ma soprattutto aveva fatto l’amore prima di tutte le sue amiche.

Stranezze di ieri (a.k.a. inutilia)

Mi sono sentito per tutto il giorno perseguitato da un profumo di uomo che non riconoscevo. Mi sono chiesto di continuo chi dei miei colleghi, coinquilini, passanti, potesse averlo messo. Solo adesso mi rendo conto che ho cambiato deodorante dopo anni. Spiazzante. Che sia dipendente del deodorante vecchio? Ma poi: chi se ne frega? E che è sto odore? Argh.

Potenza dei blog e delle stupide liste (leggo / ascolto)che sovente li aprono. Per la prima volta ho ricevuto una mail da un autore di un libro che sto leggendo, che mi ha chiesto che ne pensavo del suo libro. Il punto è che l’autore lo devo intervistare. Gli ho detto di portare pazienza, ma forse avrei fatto meglio ad ordinarglielo.
Nel frattempo, fingo di rileggere Il giovane Holden. Metti che si faccia vivo Salinger…

Ecco l’intervista ad Ayzad!

In una vetrina ho visto questo. Notate il suo sguardo indifferente. Questo è essere dei professionisti. A meno che non sia una performance della vetrinista sulla crisi imperante, per cui anche i manichini sono costretti a calarsi le braghe. Anche una performance di una vetrinista sarebbe un segno inequivocabile della crisi imperante, a dire il vero.

Prima di vedere Lei mi odia, il cinema in cui ero ha proiettato per due volte di seguito la pubblicità della Duplo (sì, quella “dentale-labiale”). Due volte di seguito.
Da come reagisco, ora, ad un qualsiasi snack al cioccolato, posso affermare che la cura Ludovico funziona.

Terziario avanzato

Ormai è diventata un’ossessione
che mi perseguita a colazione,
alzo gli occhi dalla tazza fumante,
e rimango a guardar un poco sognante
i mirabili versi composti con cura
da un vero genio della scrittura.
Lo immagino sognare di argute prose,
di saggi ficcanti, di parole estrose,
di liriche colme di aspri concetti,
o dolci e lisce come confetti;
ma trovatosi privo di denari,
il nostro ha scritto di alimentari,
mantenendo passione e ardore,
ha composto versi pieni d’amore.
L’oggetto descritto non è un bambino,
né una donna, o un paesaggio marino.
Il nostro poeta ogni indugio ha rotto,
e ha composto un’ode al biscotto.
Prende in mano la confezione,
rilegge i versi con attenzione.
Continua a dire che non è un cretino,
se ha donato parole a un frollino;
e la sua donna piena d’affetto,
gli versa il caffè e nasconde il pacchetto.

Di |2004-10-22T18:25:00+02:0022 Ottobre 2004|Categorie: I Am The Walrus|Tag: , , |8 Commenti

L'intruso: ancora un post sulla sala da biliardo?

Ci ero tornato, per puro caso, il primo giorno in cui aveva aperto, il primo settembre, con C., che mi ha battuto. Ma non era per quello che non ci avevo più messo piede, ma solo perché la mia vita, ultimamente, è un frenetica al punto tale da non permettersi due colpi a stecca. Terribile.
Il primo settembre lui non c’era. Oggi sì.
Pensate a qualcosa che non ci sta in un contesto che amate. L’amante della vostra donna nella vostra camera da letto. Uno scarafaggio che zampetta su una pizza quattro stagioni (priva di olive, metti che uno si possa confondere). Una cacca su un cuscino di velluto in una vetrina di Cartier (questa non è mia, ma non ricordo la fonte). Cose così, insomma.
Nella mia amata sala da biliardo stasera c’era una macchina per il videopoker. Che, voglio dire, non è un intruso in sé. Ma del resto, nel mondo, non sono intrusi neanche gli amanti., gli scarafaggi e le cacche. Esistono. Il punto è dove stanno.
La sala da biliardo ha un’aura mitica. Tutte le persone che ci hanno messo piede, anche se appartenenti all’altro sesso, e quindi tendenzialmente non interessate allo splendido gioco, ne sono rimaste affascinate, come del resto gli avventori della sala rimangono affascinati dalle fanciulle che ci capitano. E sono tendenzialmente interessati ad esse. La sala da biliardo è popolata da birre, sigarette, panini al prosciutto, carte sbattute con forza, panini, scrocchi delle bocce, rumore di stecche, luci al neon.
Adesso nella sala da biliardo c’è una macchina per il videopoker. Due vecchini le stavano seduti accanto, giocando noncuranti a ramino. Lei lampeggiava e sbriluccicava, cercando di attirare la loro attenzione.
Per ora ha vinto il ramino. Speriamo bene.

No news is good news … but we have news

Poco prima di finire una mattinata di lavoro abbastanza inutile ti balza agli occhi un flash dell’Ansa che dice che Andreotti è stato assolto, almeno per le cose che ha fatto dopo il 1980. Prima: vabbè, è passato del tempo, stai a spaccare il capello…
Mentre pranzi il telegiornale ti informa che è passato il progetto di stupro costituzionale di Calderoli.
Vai dal medico che quando guarda l’irritazione che ti tormenta entrambi i popliti da mesi non trattiene un “E la madonna.” Inizia a sciorinare nomi di pomate e unguenti scrivendoli sulla ricetta, tu lo ascolti solo un po’, fino a che non dice qualcosa come “Relaxar Sin”, allora drizzi le orecchie ti rendi conto che ti ha detto “Bisogna rilassarsi“, e ti rendi conto che il “Relaxar Sin” non si compra. Aggiunge che non se ne parla di mangiare latticini. E ovviamente ieri ti sei comprato dei formaggi buonissimi. Poi aggiunge “E niente crostacei” e ti viene da rispondergli “Ma come, ho sei chili di aragoste nel congelatore, e come faccio, adesso?”. Ma sai che lui non riderebbe.

Vado a mettere i dischi per la festa della mia radio, al posto di mr. Papero. Solo musica stupida e danzereccia. Ci mancherebbe altro.

P.S. Questo potrebbe anche valere una candidatura ai Poverino’s, ma attenzione: per i primi due punti i poverini siamo tutti noi.

"Poiché ecco, era là"

Lo vedevo quasi ogni giorno, nella libreria, che mi guardava in maniera discreta. Ma io facevo finta di niente. “Insomma”, mi dicevo, “mica posso leggerlo quando capita: è un libro importante, uno di quelli di cui si parla ancora tanto, di una delle autrici fondamentali del ventesimo secolo. Ci vuole il momento propizio per iniziarlo.” E non lo leggevo mai, come è facile immaginare.
Poi l’ho preso, l’ho aperto, ho riconosciuto con un sorriso la prima nota frase (“La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comperati lei”), l’ho guardata e non l’ho letta e sono entrato nel romanzo, esattamente con la stessa emozione con cui ci si tuffa nell’acqua: farà freddo, il corpo reagirà allo shock, si fluttuerà poi tra le parole.
L’acqua era piacevolmente calda, più del previsto.
Non è stata una lettura complessa, perché mi sono dimenticato subito di avere a che fare con un Capolavoro: ero troppo impegnato a seguire i pensieri dei personaggi, anche se “impegnato” non è la parola giusta. Diciamo meglio: “scorrevo” con i pensieri dei personaggi, su e giù, dentro e fuori, come nell’acqua e le parole mi urtavano e mi facevano rotolare e mi rimettevano in piedi, per urtarmi di nuovo.

Volubile, tremebondo, l’orologio in ritardo spandeva la sua voce nella scia del Big Ben, il grembo pieno di minuzie. Battuti, sbaragliati dall’assalto dei carri, dalla brutalità dei furgoni, dall’avanzare impaziente di legioni di uomini angolosi, di donne sfarzose, dalle cupole e dalle guglie di caseggiati e di ospedali, come la spuma di un’onda esausta, gli ultimi avanzi di quella grembiulata di minuzie parvero infrangersi sul corpo di Miss Kilman, che sostava un istante immobile in strada per mormorare: “E’ la carne!”.

Ho atteso anche io la festa della signora Dalloway, e ho cercato di scambiare qualche parole con ciascuno degli invitati, mi sono emozionato (c’era il Primo Ministro, lo sapevate?), ho ammirato la compostezza della padrona di casa. Sono impazzito con Septimus, ho pianto con Peter Walsh. Sembrano frasi fatte, ma non lo sono. Quando si sta nell’acqua ogni movimento ed emozione è naturalmente spontaneo e aggraziato.
Poi ho finito il libro. E ho percepito la fine di Virginia Woolf.

… e si sentì sopraffare da una pena che sorse come una luna vista da una terrazza, che l’ultima luce del giorno morente inondi di spettrale bellezza.

Di |2004-10-12T15:19:00+02:0012 Ottobre 2004|Categorie: Paperback Writer|Tag: , , |23 Commenti

Spirito partyottico

Ne parlo con molto ritardo, è vero, ma mi capirete: ho dovuto digerire quello che ho vissuto.
Nell’ultimo fine settimana di settembre sono stato invitato a Cattolica per un dibattito sulla guerra in Iraq. Ma siccome conosco delle persone che abitano nella ridente località della riviera, sono arrivato il giorno prima dell’incontro, per stare con i miei amici. E sono uscito, sabato sera, con una mia coetanea. Quello che segue è la cronaca fedele di quello che è successo.

Siamo andati in un locale: sedie di paglia, tavolini di paglia, musica di paglia. Un perfetto locale estivo se non fosse stata la fine di settembre, o meglio, l’inizio dell’autunno. Nessuno voleva accorgersi del freddo. Le camomille e i the caldi venivano passati sottobanco, travestiti da cocktail strani ed esotici, guarniti, ovviamente, con decorazioni di paglia.
Poi ci siamo trasferiti in un Irish pub. Io credo che ormai in Italia ci siano più sedicenti Irish pub che pizzerie. Mi immagino uno che vuole aprire un locale, e pensa: “Sono ad un metro dal porto, farò la maggior parte dei soldi da giugno a settembre… Che locale faccio?” In quel momento vede il suo vicino che apre il locale-tutto-di-paglia di cui sopra, e decide, mestamente, di aprire un Irish pub. Ma ci crede, ed ha una lista di birre da fare invidia ad un locale di Dublino. Ma se ne fottono tutti, e ordinano solo delle medie alla spina. Ecco perché i proprietari di Irish pub iniziano, un po’ alla volta, a decorarli con sgabelli afro.
Ma torniamo a noi. In questo pub siamo in tanti, oltre a me e alla mia amica: uno di quelli seduti al mio tavolo tiene in bella vista un palmare. Chiedo che lavoro faccia, per avere un palmare. “Ha una ditta di cancelli elettrici”, dice la mia amica. “Ah”, dico io. E lo guardo mentre illustra le mille funzioni del suo orologio. Per testarlo, manda una mail dall’orologio al palmare, con un mp3 in allegato che viene fatto suonare sullo stereo del locale. Applausi a scena aperta. Immagino che, se ci fosse una giustizia divina, non dovrebbe ricordarsi dove ha messo il telecomando del cancello di casa sua.
“Sono stufa di stare qua”, dice la mia amica. “Uh?” faccio io, poco prima di premere il grilletto. Rimetto la pistola in tasca e ce ne andiamo.
Arriviamo in un altro locale che si affaccia una delle strade principali di Cattolica. C’è un freddo porco, ma ci sono ancora i tavolini fuori e gli avventori che li occupano (tra cui il vostro eroe) sono solo parzialmente salvati dalla presenza dei fungoni riscaldanti. Da dentro il locale un casino assordante. Intorno a me gli uomini e le donne sono tutti uguali, anche di età. Ovviamente statisticamente e biologicamente non è possibile, ma loro ci provano lo stesso. Ho visto una quarantenne che era vestita in maniera molto più sbarazzina della tredicenne che aveva accanto, che, dal suo, era conciata come una vecchia battona. Le accomunava uno sguardo triste. E mi sono reso conto che stavo vedendo la riviera romagnola alla fine di settembre, con le persone che si aggrappavano all’estate con i denti (che battevano dal freddo).
E poi via, verso un posto che si chiama “Foliès”. Nonostante ci abbia passato le tre ore più lunghe della mia vita, ancora non capisco se sia stato in una discoteca a forma di circo o viceversa. Dieci euro di ingresso. Dentro una bolgia infernale. La mia amica si mette a ballare, io non ne ho voglia, e rimango in vista, appoggiato ad un palco su cui c’è il dj e due che ballano (chiamiamole cubiste). Alla mia destra uno sconosciuto che mi inizia a guardare. Io lo guardo, gli faccio un bel cenno neutro a significare “ti ho visto, embè”. Lui si avvicina e mi urla nell’orecchio: “Girati, guarda che belle le cubiste”. Mi giro: una sembra Ken travestito da Barbie. L’altra, effettivamente, è bella, ma si dimena con tale convinzione al ritmo degli Aventura che capisco che non potremo mai avere un futuro insieme. Mi rigiro. L’uomo si riavvicina. E mi dà da bere il primo di una lunghissima serie di Cuba Libre. Gratis. “Sono Pierluigi”, mi fa. “Piacere”, urlo io. Ma lui non mi ascolta, rimane fisso a guardare le cubiste.
Ad un certo punto la musica si ferma e parte l’inno italiano. Una donna vestita con il tricolore inizia a volteggiare nell’aria, sostenuta da cavi d’acciaio, e sventola due bandiere italiane. Pubblico in delirio. Pierluigi mi dà un altro Cuba libre, io manco lo ringrazio, troppo scioccato da quello che ho visto finora. Vasco Rossi remix, tre canzoni una dopo l’altra. Sento distintamente un orgasmo collettivo. E poi partono i latinoamericani. Una ragazza mi viene davanti e si agita un po’ a trenta centimetri da me. Non la guardo neanche, perché non ne ho voglia. Pierluigi mi guarda come se fossi un alieno, e mi dà un altro Cuba Libre. “A te piace solo bere, eh?” Mi ha preso per un alcolista asessuato: meglio che anonimo? Poi un altro, alla mia sinistra, mi fa: “Quella lì…” Ma la musica e alta e non capisco. Urlo di ripetere. “Quella lì ne voleva, eh, di zucca gialla”. Zucca gialla. Parte “Meu amigo Charlie Brown”, mi unisco al trenino e con questo stratagemma guadagno l’uscita. Fuori fa freddo. Inorridisco. Mi è entrata in testa “L’estate sta finendo” dei Righeira e pare che non se ne voglia andare. Rabbrividisco, mi chiudo la giacca sul davanti e me ne vado a casa.

Rimanere ad ascoltare le storie

Ieri, scherzando, dicevo che per sentire il concerto dei Black Forest/Black Sea sarebbe stato bello avere un thermos e una bella poltrona. Quando sono arrivato al Covo mi sono reso conto che mi sarei dovuto sedere per terra, insieme alla cinquantina di persone presenti. Niente sedie comode, thermos dimenticato a casa. Un disastro, insomma. Mi ricordavo del Covo stipato all’inverosimile durante il concerto dei Franz Ferdinand, e sembrava quasi irreale stare là, con lo spazio intorno, la possibilità di stare seduti e di allungarsi anche un po’.

Di supporto ai BFBS c’era Christina Carter e la sua chitarrina. Se il protagonista di Rain Man avesse saputo suonare e cantare l’avrebbe fatto così. Solo che miss Carter non era brava quanto Dustin Hoffman, e quindi il suo concerto si è rivelato mortale. Ricordo un testo di una canzone di circa sei minuti (o sessanta, o uno, chissà): “Tu sei come una canzone. Una canzone mai completata.” Basta. Intorno a me si è presto creato il vuoto. Alla fine la Carter si è scusata dicendo che aveva la tosse. Ma secondo me ha dei problemi molto decisamente (ehm) maggiori.

Avrei voluto parlarne con lei perché mi si è seduta accanto durante il concerto dei BFBS, ma non è stato possibile. Perché sono rimasto del tutto rapito nell’ascoltare le melodie chitarriniche di Jeffrey Alexander e Miriam Goldberg. Lei suona il violoncello. Ecco, io ho sempre avuto un rapporto strano con il violoncello. A parte l’erotismo che emana qualunque donna che suoni questo strumento, intendo. Perché il violoncello è lo strumento ad arco che più ricorda, come timbro, frequenza ed estensione, la voce umana. Quindi ho sentito Jeffrey Alexander suonare accompagnando la voce della Goldberg e del suo strumento. E sono rimasto per un’oretta, come un bimbo, a sentire raccontarmi le storie.
Bellissimo.

Agenda: un po’ di cazzi miei

Ancora in piena sbornia per il successo delle Guida per la matricola (mi hanno già contattato Einaudi, Routard, Michelin, Good Year e l’ufficio legale del Comune di Bologna), vi segnalo alcuni appuntamentelli molto giovani, molto cool, molto scena. Molto.

Stasera alle 22 c’è il concerto dei Black Forest/Black Sea al Covo. Ascoltando il loro ultimo disco Forcefields and Constellations, preferirei sentirli in un contesto diverso dallo storico club bolonnaise. Che ne so, un teatro barocco, una sala da the, camera mia. Mi porterò una sedia comoda e un thermos. E delle cartine. Metti che mi perdo…

Domani ale 2230, tanto per inondare l’etere di monnezza, ricomincia la mia trasmissioncina Monolocane. Trasmetto dalla solita radio, 96.3 o 94.7 MHz se siete a Bologna, oppure in streaming. Partecipate numerosi, tanto non si vince niente. Però potete richiedere le canzoni e dedicarle, come si faceva un tempo. Oh, che romanticone. Se non ce la fate a sintonizzarvi questo giovedì, avete tutti i giovedì della stagione per farlo. Impegnatevi. Ecco il promo.

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Venerdì alle 18, per motivi che mi sfuggono, sono stato invitato al Mel Book Store di Ferrara per presentare il libro di Gianluca Morozzi Blackout. Secondo me il vecchio Moroz si è sbagliato. O forse vuole farmi ripetere la performance che ho fatto in radio nel luglio scorso. L’ultimo che ha parlato del libro è stato Aldo Busi ad Amici di Maria De Filippi. Ecco.
Infine, per aumentare la fuffa nella Grande Rete, ho aperto da qualche giorno un fotoblog.

Adesso mi manca soltanto un lavoro molto ben pagato e sono a posto.

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