Una delle cose che più faccio per lavoro è parlare con le persone, tentando di conoscerle. Chi arrivasse qui per caso, senza leggere la pagina “Chi sono” lassù, potrebbe pensare che io sia un prete, uno psicanalista o una spia. No, parlo del lavorare come giornalista: attività meno redditizia, ma anche meno rischiosa e (nel mio specifico caso) più indipendente di quelle citate.
Spesso i rapporti si riducono ai dieci minuti di una telefonata o all’oretta che le band passano in studio quando fanno un live a Maps; talvolta, però, accade avere la possibilità di passare un po’ più di tempo con qualcuno, come mi è accaduto meno di tre settimane fa quando ho presentato Player One, di Ernest Cline, al Modo Infoshop.
Già dall’intervista telefonica del pomeriggio sono riuscito a intuire come fosse l’autore del romanzo, che mi aveva comunque dato molti indizi. Ma poi, quando l’ho incontrato la sera stessa e sono andato a cena con lui e la moglie, ho capito che si trattava di una persona carina, disponibile e, soprattutto, modesta, qualità talvolta irrintracciabile in musicisti, scrittori, eccetera. Qualità rara in genere, direi.
E invece questa sensazione di amichevolezza e benessere (nonché alcuni passioni comuni per la cultura pop anni ’80) ha decorato la cena, la presentazione e le chiacchiere fatte alla fine, prima di salutarci. Un sentimento che pare abbia caratterizzato tutto il “tour” italiano di Ernest: potete leggere il divertentissimo resoconto dei giorni passati in Italia sul suo blog. Secondo me anche solo questo post potrebbe farvi venire voglia di comprare il suo romanzo d’esordio: per me sarebbe così.
Ma il fatto che abbia risposto a una mia mail (perché succede di scambiarsi gli indirizzi con alcuni, ma poi non ci si scrive mai) ha confermato ancora quello che pensavo di questo nerd con il dono innato del saper raccontare le cose.
Mi rendo conto che sarò forse professionale per alcuni aspetti del mio mestiere, ma sono di certo terribilmente “sentimentale” quando trovo delle persone simpatiche e alla mano lungo il bizzarro percorso lavorativo sul quale trotterello da anni.
* Il titolo, oltre al pessimo gioco di parole con rara avis, fa riferimento a uno degli “slam poem” di Cline, in cui si conia una parola, “airwolf”, appunto, per indicare qualcosa di strepitoso. Leggetelo o sentitelo.
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