Finalmente, dopo settimane di telefonate a vuoto e incontri mancati, D., il precedente proprietario della casa in cui vivo, è passato da me a prendere la posta che ancora gli arriva al suo vecchio indirizzo. D. scrive, disegna, traduce, e, visto che gli pare poco, ha anche costruito per metà la sua casa, ora mia. Ha fatto la cucina in muratura. Ha realizzato una bellissima libreria su misura, che si è portato via – tanto che sospetto che la sua nuova casa sia stata scelta solo perché c’entrava perfettamente la libreria – e, soprattutto, ha posato il parquet.
Ed è stato proprio il pavimento la prima cosa che D. ha notato, esclamando, con accento britannico (mica per posa, è proprio inglese): “Che meraviglia!”, mentre, dietro di lui, appariva il suo pargolo quattrenne. Un bimbo bello, ma un po’ chiuso, spesso imbronciato: neanche il gelato alla fragola che stava mangiando riusciva a farlo sorridere. D., nel frattempo, era praticamente fermo nell’ingresso (che è ancora in fase di sistemazione) e continuava a fare commenti estasiati sul lavoro che ha fatto l’omino del parquet. “È più bello di quando l’avevamo messo noi, ma complimenti, che bello, complimenti.” Ad un certo punto, per rompere l’imbarazzo, offro da bere a padre e figlio, e mostro loro camera e sala-cucina. E anche lì D. dice che gli piace molto tutto. Io sono contento: insomma, ci ha vissuto per anni, l’appartamento l’ha rimesso a posto lui, mi sento quasi orgoglioso. Do un bicchiere d’acqua al bimbo e preparo un paio di cose per me e per D. Sto per passargli il bicchiere, quando sento un rumore sordo, seguito da un rumore liquido. Inequivocabile.
Il bimbo ha vomitato sul mio bellissimo, lucentissimo, apprezzatissimo parquet. A getto. Il vomito, non il parquet. L’inglese, allora, l’ho fatto io: con perfetto aplomb sono andato a prendere straccio e secchio, mentre i conati del pargolo si tramutavano in urla disperate e invocazioni alla mamma. Ho evitato di dire: “Il gelato alla fragola vomitato di fresco nutre il legno”. Ho preferito stare in silenzio, per impedire che lo spirito di Erode mi prendesse.
Infine ho accompagnato il desolato e imbarazzato padre e il congestionato figlio alla porta: entrambi mortificati e sporchi di vomito. E D. si stava anche dimenticando di prendere la sua posta.
P.S. D., se dovessi leggere queste parole: it’s dramatization. Comunque: do not try this at home. Not mine, anyway.
Qui c’è lavoro per Stefano Parquet!
bella foto a corredo del racconto.
cos’è, l’ultimo tuo capodanno?
stee
‘cipicchia, mokia mi batte sul tempo e su stefano parquet.
there’s no place like home, anyway.
battendo tre volte i tacchi delle mie scarpette rosse.
ROTFL
Woland
ciao, capitata qui passando per l’intervista a Remo: diavolo che schifo… odio il vomito…
Senti, parlando di doppi lavori, io lavoro il sabato sera ad uno showroom (Poltrana Frau, conosci? giusto per fare un po’ di pubblicita’).
Un pomeriggio ho assistito ad una scena molto simile: un padre stava portando in collo la figlia che dopo un po’… gli ha fatto la pipi’ addosso!! Non solo, ma il liquido (come dice mia madre “pipi’ d’angelo perche’ di vergine), ha sgocciolato tutto sul pavimento per nostra grande soddisfazione che abbiamo pulito. Per fortuna che il pavimento, pulito e’ tornato come prima, ti immagini il padre che puzzava di “piscio vergine” fino a quando e’ tornato a casa??!