l’amica a.

Un racconto su Voices from Italy

Mi piace che, ogni tanto, le mie parole vengano richieste al di fuori di ambiti strettamente lavorativi: è bello farle sgranchire e scorrazzare in territori naturalmente più liberi di quelli di articoli, spot, trasmissioni, post, eccetera. Quando mi ha contattato il collettivo Microphotographers, mi è stato solo detto di scrivere qualcosa sulla famiglia. “In che senso?”, ho chiesto. “In quello che gli vuoi dare tu”, mi hanno risposto. Sapevo, certo, dell’esistenza di questo gruppo di fotografi di stanza a Milano, e di una di essi, A., avevo già parlato qua; conoscevo anche Voices from Italy, ed è proprio là che è finito il mio racconto, intitolato “La foto di famiglia”.

Mi capita, ogni tanto, di voler giocare con il surreale, con il fantastico: ripenso, quando sento di volere scrivere in questo modo, allo sfasamento tra ciò che è narrato e ciò che dovrebbe essere che si trova talvolta nei racconti di Buzzati o in certi episodi di Ai confini della realtà. Poi non arrivo neanche lontanamente a quei risultati, ma sono quelle le immagini e le parole che ho in mente rileggendo questa storiella. Oltre, certamente, alla gioia di vedere ruzzolare parole, pensieri e idee senza limiti se non quelli delle battute e della scrittura su un tema tanto vicino quanto complesso.

Back (to the days)

Se per caso ve lo foste chiesti, sì, ci sono ancora. Ma non ditelo troppo in giro.
Come se non fosse ormai evidente che il 2008 è stato un anno di merda, anche il primo mese del 2009 non scherza. Ma, come un monaco tibetano non tanto certo della sua fede che sta su un ponte di corda sospeso nel vuoto durante una tempesta di meteoriti, eccomi qua.
Per essere positivi, vediamo le cose belle successe da un mese abbondante a questa parte:
– ho avuto, prima di tutto, la conferma che (nonostante le apparenze) sono una persona molto fortunata, perché sono circondato dagli amici migliori che uno si possa immaginare: senza di voi non ce l’avrei fatta, grazie, grazie, grazie, grazie;
– poi: questo è il primo post che scrivo sul nuovo iMac: avete presente quando le persone vi dicono che passare ad Apple è tuttunaltracosa? È vero;
– il concerto dei Calibro 35 al Locomotiv Club, e la session che hanno fatto a Maps: del primo ci sono delle foto che ho scattato, a breve la session sul sito della trasmissioncina che ho l’onore di condurre;
– sempre rimanendo su Maps: siamo di nuovo sbarcati in America, evviva;
– il mio pianoforte è di nuovo accordato;
– sempre a tal proposito, più o meno, ho finalmente comprato alcune cose che desideravo da tempo.
Ecco, tutto il resto è più o meno una schifezza. Ma, in fondo, sono ancora vivo, no? Alla faccia di chi mi vuole e mi ha voluto male.
Come bonus track, vi segnalo un progetto bellissimo della mia amica fotografa Arianna, rivolto alle persone che, come me, sono nate alla fine degli anni ’70. Avete presente quando la vostra mamma o il vostro papà vi sollevavano dalla quiete pigra di un pomeriggio per pronunciare solennemente “Adesso andiamo a fare una foto”? Se eravate in casa a leggere i vostri giornalini o a giocare con le bambole venivate presi e portati in terrazzo. Ecco, Arianna sta iniziando a raccogliere queste foto di noi-bambini-sul-terrazzo, con gli occhi stremati dal sole contro (“Se no la foto viene buia”) e forse sapendo che, in fondo, il terrazzo e la nostra vita erano già un surrogato di qualcosa. Le foto sono qua: se indovinate chi sono, vincete un giornalino. Davvero.
Di |2009-01-29T21:00:00+01:0029 Gennaio 2009|Categorie: I Me Mine|Tag: , , , , , , , , |10 Commenti

Sempre sul pezzo

Il messaggino della cara A. mi ha fatto ricordare una notizia a proposito della possibilità di ricavare diamanti dalle ceneri dei defunti. Defunti che si conoscono, si spera. La notizia è di sette mesi fa. Vabbè, questo mica è un giornale.

Mi immagino una ragazza che si confida con le amiche. Mostra l’anello che le ha regalato il suo ragazzo: è enorme, le altre amiche sbalordiscono. “Che ci volete fare, Giorgio è fatto così”, dice lei civettuola, “un giorno o l’altro ve lo presento.” Al che, un’altra, mostrando un diamante su una collana: “Permettete che vi presenti Carlo.”

O anche una signora anziana, mentre prende il the con le amiche: “Il mio povero marito mi portava sempre in palmo di mano. Adesso io lo porto al polso.”

Del resto, un parente è per sempre.

Di |2007-02-06T21:11:00+01:006 Febbraio 2007|Categorie: I Am The Walrus|Tag: , , |5 Commenti

Cartoline dalla Sardegna

Io non mando più cartoline, a nessuno. Le cartoline mi fanno tristezza. Mandavo, un tempo, quelle bruttissime, ad un’amica, ma sono poco costante. Ma la forma-cartolina mi affascina. Quindi, beccatevi queste. E non lamentatevi, poteva andarvi peggio con le diapositive, ingrati.

Lunedì 21 agosto 2006
Il primo pasto sardo è una pizza, tremenda. Fuori dal ristorante c’era scritto “forno a legna”, ma secondo me c’era un forno tipo quei caminetti inglesi, con la legna di plastica, con sotto una lampadina rossa, con effetto riverbero. Il cameriere, alla fine, non ha detto – come si usa – “tutto a posto?”, altrimenti gli avrei detto, semplicemente, “no”. Peccato.
Baci a tutti.

Martedì 22 agosto 2006
La casa che A. mi ha regalato per questi giorni a Santa Teresa di Gallura è splendida: ci sono i vetri colorati, il giardino interno. Ma soprattutto è pieno di fermaporte. Il vento è tremendo. Ancora una volta ho dei rimpianti a non essermi iscritto a “discipline dell’acqua” all’Università di Malibu Beach. Salutate la zia.

Mercoledì 23 agosto 2006
La spiaggia di Santa Teresa si chiama Rena Bianca, ed è uno splendido carnaio. Per contratto, quando posizioni il telo, devi essere circondato da persone di Forza Italia. Ma mi dicono che nella vicina Costa Smeralda sia peggio. In spiaggia ti offrono delle riduzioni per entrare allo Smaila’s: solo quaranta euro. Mi chiedo quanto sia il prezzo pieno.
Dite alla zia che Briatore ancora non si è visto. Al massimo, glielo saluto.

Giovedì 24 agosto 2006
Nella casa dai vetri colorati ieri è entrato un uccellino, spaventato da un gatto. Ho avuto una mezza crisi di panico, ma mi sono riscattato subito depositando nel cassonetto il cadavere di un topo, abbastanza grosso, con il quale il gatto ha giocato per un po’. Il gatto è diventato il mio mito: si chiama “Palle”, perché A. credeva che fosse una femmina, e poi l’ha girato.
Saluti.
P.S. Non fate leggere questa cartolina alla zia, ché secondo me si scandalizza per questa cosa delle palle.

Venerdì 25 agosto
I sardi sono ospitali, come da leggenda: quando vai nei negozi di alimentari ti fanno assaggiare tutto. Mi sono innamorato di una salsiccia al mirto. Lei mi provoca e io me la magno. Ieri ho comprato del pecorino al mercato: sono nel mezzo di un mènage a trois. Perverso e gustoso, come piace a me.
Baci.
P.S. Come sopra: la zia non capirebbe.

Sabato 26 agosto
Il mare è mosso, quindi le escursioni all’arcipelago della Maddalena sono sospese. Rimane quindi Rena Bianca, sulla quale ostento numeri di “Cronaca Vera”, una mia imprescindibile lettura estiva. I forzitalioti fanno finta di niente, ma li vedo leggere i titoli della prima e della quarta di copertina con interesse. Che mi sia ormai mimetizzato?
Cribbio!

Domenica 27 agosto
Ho lasciato per un pomeriggio Santa Teresa, e sono andato in un posto chiamato Valle della Luna. Meraviglioso, e occupato da freakkettoni e punkabbestia, che hanno infilato le loro tende ovunque. Una ragazza si è fatta un bidè tra due rocce, noncurante della mia presenza. Almeno credo.
Sto pensando di scrivere delle cartoline separate per la zia, dite che si offende?
Abbracci.

Lunedì 28 agosto
La vacanza sta finendo, accidenti, un anno se ne va. Ma ho risentito, dopo tanto tempo, “Curre curre guagliò”, diffusa da un baracchino in un posto che si chiama “Valle dell’Erica”. Meraviglioso anch’esso. Quasi quasi lo rilevo e mi sistemo qua. Zia, mi finanzi?
Carissimi abbracci, zia ti penso sempre, il tuo nipote preferito.

Martedì 29 agosto
Sono tornato a casa, dopo un volo un po’ turbolento: a causa del vento rischiavamo di dover atterrare a Bologna, invece che a Firenze. Già mi immaginavo, unico tra i passeggeri, a urlare “Mitico” come Homer Simpson, per il cambio di rotta. Invece il prode capitano ce l’ha fatta, e i passeggeri hanno applaudito, come da copione. Dai discorsi che ho sentito non appena si sono aperte le porte, ho capito che il nostro non è solo un popolo di santi, poeti, navigatori e commissari tecnici: siamo anche dei provetti piloti, che parlano di flap e altitudini come niente. Ciò mi rassicura in caso di prossimi eventuali malori dei comandanti: un paio di ore al giorno a giocare a Flight Simulator e passa la paura.
Baci.

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