Càpita
Mi capita, a volte, di mandare degli scritti in giro.
Mi capita spesso che questi scritti non vengano considerati.
A volte capita che vengano pubblicati.
Ma spero che ciò che mi è accaduto ieri capiti una tantum.
Tempo fa mando delle mie poesie ad una rivista letteraria, o sedicente tale. Non ricevo alcuna risposta, fino a che, qualche giorno fa, trovo una mail intitolata: “E’ uscito il primo numero di Rivista”. Il testo della mail è formattato malissimo: al posto di ogni accento e ogni apostrofo, un punto interrogativo. “Curioso”, pensai. “Simbolico”, penso ora. Ma andiamo con ordine. Leggo il testo della mail e trovo il mio nome tra gli autori pubblicati. “Però almeno una mail personale per avvisarmi…” In fondo alla selva di “?” ci sono le indicazioni per avere la rivista. “Manco gratis?”, mi chiedo. Costa cinque euro a copia. Scrivo per chiedergli come mandare i soldi e se ci sono spese di spedizione. La risposta è breve e concisa, come un comunicato dell’Anonima Sarda.
Nessuna spesa di spedizione. Appena arriva l’ordine spediamo. Nascondi il dinero (sic) e scrivi il motivo della spedizione.
E poi una firma, con il solo cognome di uno dei redattori della rivista.
Metto i cinque euro in una busta e aspetto.
La rivista arriva ieri. Ha un’impaginazione, una carta e una qualità di stampa pessima. Ma passino, queste cose. Hanno pubblicato due poesie tra quelle che più mi piacciono, ma:
– di una hanno tagliato l’epigrafe, senza ovviamente chiedermi niente né avvisandomi;
– dell’altra hanno stampato l’ultimo verso nella pagina successiva;
– hanno sbagliato a scrivere il mio cognome.
Mi capita, a volte, di incazzarmi come una bestia.