Sono tornato all’Ikea. A dire il vero ci sono tornato (e ci tornerò) parecchie volte, ma quella di ieri è stata particolare. Io e i miei fidi accompagnatori, John D. Raudo e Fede MC, abbiamo rubato il furgone dei Settlefish, per riempirlo di legno svedese a forma di mobile, di viti e immancabili brugole. Siamo arrivati al parcheggio dell’Ikea alle 1945, un quarto d’ora prima dell’orario di chiusura.
Sono andato avanti, lottando contro il tempo. Ho appena fatto in tempo a vedere che la ragazza nella piscina di palle di plastica stava occultando il cadavere di un bambino, dimenticato dai genitori, o chissà, barattato per un divano angolare (“Seeduten”). Mi ha allungato dei buoni per delle patatine in truciolato e ho chiuso un occhio.
Sono andato avanti, lottando contro il tempo. Ho appena fatto in tempo a vedere che la ragazza nella piscina di palle di plastica stava occultando il cadavere di un bambino, dimenticato dai genitori, o chissà, barattato per un divano angolare (“Seeduten”). Mi ha allungato dei buoni per delle patatine in truciolato e ho chiuso un occhio.
Arrivo alla prima tappa: la trasformazione di un ordine cartaceo in ordine vero: alchimia scandinava. Ma c’è la fila. E un’insopportabile muzak diffusa dagli altoparlanti. Una situazione drammaticamente simile a quella dei Blues Brothers quando sono chiusi in ascensore a pochi metri dall’ufficio delle imposte. Finalmente la commessa mi dà retta, solo che io ho trattenuto il fiato, ed esplodo in un suono cupo e gutturale, ma abbastanza articolato da sembrare una frase. Alla commessa si inumidiscono gli occhi e sussurra “Ho mentito, non so lo svedese, ma non lo dica a nessuno, se no mi licenziano e devo ridare all’Ikea sei quintali di librerie che ho preso in usufrutto”.
Chiarito l’equivoco, la commessa si rilassa. Pure troppo, perché mentre mi stampa gli ordini, mi dice che dei cassetti Bjornborg non arriveranno presto. “Tipo?” chiedo io. Lei ci pensa: “Mah, un paio di mesi.” Sbianco in volto. “No, di quel colore non ce li abbiamo”, mi dice fissandomi, poi riguarda lo schermo del computer. Batticchia sui tasti. Mi riguarda: “Ah no, arriveranno all’inizio della prossima settimana.” E sorride. Sono tentato di fare una delazione al capo del personale, ma devo sbrigarmi.
La muzak continua, il tempo è poco. Lascio FedeMC a prendere quello che a me sembra – grosso modo – un tavolo per la cucina. Per sicurezza appunto il nome dell’oggetto su un foglietto, aggiungo caratteri a caso per farlo sembrare più svedese e glielo do. “Intanto vado a vedere una sedia girevole”, gli dico, e lo lascio in fila. Dopo trentacinque secondi esatti mi suona il telefono. E’ FedeMC che mi chiama, gabbato dal commesso, che gli ha detto che “PatrickSjoberg” è una consolle non un tavolo da cucina. Allungo del valium a Fede, risolvo il malinteso, altro foglio e via.
Intanto la muzak è interrotta sempre più di frequente da avvisi a concludere gli acquisti, ché qui si chiude, italiani maledetti, mai una volta che rispettiate una regola una. In effetti sono le otto meno un minuto. Io ho i miei fogli, i miei appunti, sono pronto. Ma Fede e John non hanno ancora comprato niente, e pare brutto. Quindi ecco che uno compra una abat-jour (Fede: “Ma dove saranno le abat-jour?” John: “Eh, saranno giù: abagiù”. E poi uno dice che si porta dietro della gente a caso.), l’altro un pallone di pezza (“Nordhal”), delle patatine d’abete e una birra.
Arriviamo alle casse. Pago. E mi rendo conto di avere speso 60 euro al minuto. Record nazionale. Il direttore Ikea (“Thor”) viene a complimentarsi con me, ma io non posso perdere tempo, devo andare a ritirare delle cose al deposito esterno.
Nel parcheggio incontriamo due ragazzi che ci chiedono un passaggio. Inscatoliamo anche loro, in un comodo pacco piatto (“Baaren”), e via.
Seduti in tre sui sedili anteriori del furgone sembriamo i Devil’s Rejects. Iniziamo a discutere animatamente, urliamo, veniamo quasi alle mani, ridiamo sadicamente. Da dentro i “Baaren” solo deboli respiri.
Decidiamo di non uccidere sadicamente i due autostoppisti perché nessuno di noi vuole fare la parte di Baby, la bionda.
Chiarito l’equivoco, la commessa si rilassa. Pure troppo, perché mentre mi stampa gli ordini, mi dice che dei cassetti Bjornborg non arriveranno presto. “Tipo?” chiedo io. Lei ci pensa: “Mah, un paio di mesi.” Sbianco in volto. “No, di quel colore non ce li abbiamo”, mi dice fissandomi, poi riguarda lo schermo del computer. Batticchia sui tasti. Mi riguarda: “Ah no, arriveranno all’inizio della prossima settimana.” E sorride. Sono tentato di fare una delazione al capo del personale, ma devo sbrigarmi.
La muzak continua, il tempo è poco. Lascio FedeMC a prendere quello che a me sembra – grosso modo – un tavolo per la cucina. Per sicurezza appunto il nome dell’oggetto su un foglietto, aggiungo caratteri a caso per farlo sembrare più svedese e glielo do. “Intanto vado a vedere una sedia girevole”, gli dico, e lo lascio in fila. Dopo trentacinque secondi esatti mi suona il telefono. E’ FedeMC che mi chiama, gabbato dal commesso, che gli ha detto che “PatrickSjoberg” è una consolle non un tavolo da cucina. Allungo del valium a Fede, risolvo il malinteso, altro foglio e via.
Intanto la muzak è interrotta sempre più di frequente da avvisi a concludere gli acquisti, ché qui si chiude, italiani maledetti, mai una volta che rispettiate una regola una. In effetti sono le otto meno un minuto. Io ho i miei fogli, i miei appunti, sono pronto. Ma Fede e John non hanno ancora comprato niente, e pare brutto. Quindi ecco che uno compra una abat-jour (Fede: “Ma dove saranno le abat-jour?” John: “Eh, saranno giù: abagiù”. E poi uno dice che si porta dietro della gente a caso.), l’altro un pallone di pezza (“Nordhal”), delle patatine d’abete e una birra.
Arriviamo alle casse. Pago. E mi rendo conto di avere speso 60 euro al minuto. Record nazionale. Il direttore Ikea (“Thor”) viene a complimentarsi con me, ma io non posso perdere tempo, devo andare a ritirare delle cose al deposito esterno.
Nel parcheggio incontriamo due ragazzi che ci chiedono un passaggio. Inscatoliamo anche loro, in un comodo pacco piatto (“Baaren”), e via.
Seduti in tre sui sedili anteriori del furgone sembriamo i Devil’s Rejects. Iniziamo a discutere animatamente, urliamo, veniamo quasi alle mani, ridiamo sadicamente. Da dentro i “Baaren” solo deboli respiri.
Decidiamo di non uccidere sadicamente i due autostoppisti perché nessuno di noi vuole fare la parte di Baby, la bionda.
No, non avrei voluto esserci. No. Eppure sì, abagiù avrei voluto sentirla dal vivo.
Stamattina ci hanno consegnato 441 chili di mobilia svedese. Solo a pensare alla domenica di montaggio mi è venuto da piangere… Non è che tu, Fede e John volete fare un po’ di pratica con Pax e Billy?
Vi offro un po’ di palline svedesi surgelate e salmone marinato…
ci tengo a sottolineare che abagiù, lampadina a basso contenuto energetico (più costosa dell’abagiù stessa) e palla comprate da me e dal raudo, sono andate perse 12 secondi dopo averle messe nel furgone.
Fmc
buone le patatine d’abete?
io sono un fan della segatura solubile per il lattuccio.
c’è poco cosa dire: Devil’s Rejects è una bomba (come diceva elio…)!
così “western” e così “on the road” da meritare di essere evocato in ogni piccola situazione di agognata violenza metropolitana.
persino qui dalle parti di gorizia…
quante matite ti sei fottuto?
l’ultimo acquisto che ho fatto ad ikea è un enorme tappeto di raffia che occulta il pavimento (ed il relativo sporco) di metà soggiorno. è stato drammatico il trasporto in macchina (certo forse avere un’auto sportiva non aiuta).
il gatto ci si fa le unghie con godimento e lascia vivere il divano.
più ikea e più amore.
ste
Da questo resoconto credo che se ne potrebbe ricavare un simpatico cortometraggio. Con i tempi ci siamo. O uno spot pubblicitario, Thor te ne sarebbe grato.
ecco io adesso non vorrei sembrare quello fissato con la Svezia.
con la musica svedese.
no.
però qui trovi Patrik Sjöberg.mp3
http://suchgreatheights.se/hemstad/website/jellyfisk.html
ciao,
enzo
Siete ancora in tempo per partecipare al montaggio delle ante di Pax e Billy…
woland: mi sa che, nel frattempo, ci sei stato, vista la seconda spedizione di domenica scorsa. ma del resto questo blog mica può parlare solo di ikea, no, e che palle. anche se…latifah: no, basta montare roba ikea, bastaaaa!fedemc: ma dici per davvero o è una boutade? no, perché se no è evidente che se le sono rubate i nostri autostoppisti. e quindi abbiamo un motivo per.kekkoz: le patatine d’abete spaccano. con lo sciroppo d’acero, poi…anonimogoriziano: recupera il primo, “la casa dei mille corpi”. è anche meglio.ste: io le matite non le vorrei, ma quando torno a casa me ne trovo sempre tre nella borsa. ma perché?giorgi: almeno ricapitalizziamo. vuoi fare la produttrice? oh, è un ruolo di graaande responsabilità e onore…enzo: la prossima volta andiamo all’ikea di casalecchio io e te e gli proponiamo un dj set. ma tanto ci sarà uno (1) svedese che lavora in quel negozio?
buongiorno! ok, non puoi ricordarti chi sono e me ne farò una ragione, ti leggo (e ascolto) e qualche volta persino commento. oh me spudorata. e poi all’ikea non si resiste. e comunque io di matitine ho la casa piena.
e sì, non volevi le matite ma sono le matite che volevano te…
come i prodotti tipici all’autogrill, finiscono suicidi nelle tasche (canzone dei punkreas in sottofondo)…
il commento sotto è mio. ste
[…] passati otto mesi da quando ho scritto l’ultima volta dell’Ikea. Ci sono tornato una volta, all’inizio dell’estate. E ieri. Tra […]