Andare a leggere in piazza Santo Stefano a Bologna rende automaticamente più belli. Provate a passarci e a buttare un occhio alle persone che stanno sotto i portici con un libro tra le mani: vi sembrerà che la piazza sia invasa da una teoria di bella umanità e pure intellettuale, uau. Questo a colpo d’occhio. Poi, se vi avvicinate alle singole persone, ecco che la cornice meravigliosa della piazza perde di efficacia e quello che vedete è un mucchio di depressi che leggono Baudelaire a trentacinque anni, sottolineandolo, o di studenti che tentano di rendere piacevole qualche esamaccio di analisi studiato su appunti fotocopiati da una ciellina.

Ma in piazza non regna un silenzio da biblioteca, caratteristica che pare, in verità, anche le biblioteche stiano perdendo. No, ci sono delle voci, di vario tipo.
Qualche giorno fa, per esempio, sono andato con il mio bel libro e mi sono seduto sotto il portico vicino a quello occupato da uno che suonacchiava una chitarra. Visto che era privo di bonghi, non mi sono preoccupato e ho iniziato a leggere.
Dopo un po’ la melodia mi distrae. Mi sembra di conoscerla, quindi mi metto ad ascoltare. Il tizio ripete in maniera ossessiva qualcosa sulle farfalle, e mi chiedo: “Sarà di F. De Gregori? Sarà di F. Mannoia? Sarà di F. Venditti?” Continuo ad ascoltare, e mi rendo conto che le farfalle sono il secondo termine di paragone di qualcosa che non capisco. Il tizio continua a canticchiare, con la stessa melodia, qualcosa sulle farfalle. Mi rendo conto che potrebbe trattarsi di un entomologo in libera uscita, quando, finalmente, il mistero si rivela. “Le donne sono come le farfalle”, canta, cercando rime, assonanze e altri accostamenti poetici. E quindi le donne sono “farfalle con le spillette”, immagino nel caso di ragazzine che hanno capito la tendenza. D’altro canto alcune farfalle, non le più felici, hanno a che fare con gli spilloni: una spilletta che sarà mai. E poi, ancora, “le farfalle, come sono belle”, e via dicendo.
Dopo un quarto d’ora si esauriscono due cose: la capacità immaginativa del cantautore e le mie palle. Ed è proprio in quel momento che si svela il succo della canzone. Per non turbare gli animi gentili in ascolto, il nostro intona “le farfalle sono belle ma rompono le palle”, cantando sottovoce l’ultima parola.
A quel punto, soddisfatto, se ne va.

E attacca un omino che vive in piazza, facendo incetta di cianfrusaglie accumulate negli anni, che parla, parla, con una voce roca e nasale simile a quella sentita alla stazione di Genova Porta Principe qualche settimana fa: che sia uno standard? L’omino, però, parla, parla, si e soprattutto inveisce: contro i preti, contro i cibi, contro la storia e la geografia, contro tutto e tutti.
Poi, dopo qualche secondo di silenzio, esclama: “Quando devo cacare e non mi viene, penso all’umanità.”
Tutti sollevano gli occhi dal libro, dagli appunti, dalla donna e uomo che stanno baciando e irrompono in una standing ovation. Interiore.
Solo i turisti stranieri non capiscono e passeggiano canticchiando una melodia che assomiglia tanto alla canzone delle farfalle.