Mi piace che, ogni tanto, le mie parole vengano richieste al di fuori di ambiti strettamente lavorativi: è bello farle sgranchire e scorrazzare in territori naturalmente più liberi di quelli di articoli, spot, trasmissioni, post, eccetera. Quando mi ha contattato il collettivo Microphotographers, mi è stato solo detto di scrivere qualcosa sulla famiglia. “In che senso?”, ho chiesto. “In quello che gli vuoi dare tu”, mi hanno risposto. Sapevo, certo, dell’esistenza di questo gruppo di fotografi di stanza a Milano, e di una di essi, A., avevo già parlato qua; conoscevo anche Voices from Italy, ed è proprio là che è finito il mio racconto, intitolato “La foto di famiglia”.

Mi capita, ogni tanto, di voler giocare con il surreale, con il fantastico: ripenso, quando sento di volere scrivere in questo modo, allo sfasamento tra ciò che è narrato e ciò che dovrebbe essere che si trova talvolta nei racconti di Buzzati o in certi episodi di Ai confini della realtà. Poi non arrivo neanche lontanamente a quei risultati, ma sono quelle le immagini e le parole che ho in mente rileggendo questa storiella. Oltre, certamente, alla gioia di vedere ruzzolare parole, pensieri e idee senza limiti se non quelli delle battute e della scrittura su un tema tanto vicino quanto complesso.