Archivi mensili: Ottobre 2024

Dagli archivi: Francobeat – Radici

Francobeat – Radici (Brutture Moderne)

7

Si chiama “Radici” la comunità per disabili mentali nei pressi di Riccione i cui ospiti hanno scritto i testi del terzo album di Francobeat, nome d’arte di Franco Naddei. Un lavoro di due anni, insieme a John De Le, Sacri Cuori, Giacomo Toni, Santobarbaro e Moro (solo per citare alcuni degli ospiti del disco) per un album che tocca ogni genere e forma musicale, che racconta storie dalla forza rivoluzionaria di quelle narrate da Rodari (intorno a cui era centrato il progetto precedente di Naddei). Il poeta, in una filastrocca, diceva che “il più matto della terra vuole fare la guerra”: ci sembra l’unica definizione di “matto” accettabile, che ben poco si applica agli autori delle liriche di questo album unico, coloratissimo e fantasioso.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di dicembre 2014 de Il Mucchio Selvaggio

Dagli archivi: A Winged Victory for the Sullen – Atomos

A Winged Victory for the Sullen – Atomos (Erased Tapes)

7,5

Dustin O’Halloran e Adam Witzie hanno scritto la musica, poi diventata il secondo LP a nome A Winged Victory for the Sullen, per una coreografia del Royal Ballet di Londra, andata in scena un anno fa. Tuttavia Atomos è godibilissimo anche di per sé: undici tracce (da “Atomos I” a “Atomos XII”: sì, manca un numero e nell’interno del cd, ironicamente, si scrive “Whatever Happened to IV”) costruite per lo più su violini, viola, violoncelli, pianoforte e synth modulare, suonato da Francesco Donadello, responsabile anche dell’efficace mixing del disco e di parte delle registrazioni.

I territori sono quelli dell’ambient e della neoclassica, non mancano inserti rumoristici, di elettronica e field recording; le percussioni compaiono (poco) solo in “VII”, già nell’ep omonimo uscito a aprile: una caratteristica rilevante, considerando la finalità performativa dell’opera. La musica è sospesa, per quanto ci siano meno vuoti e ripetizioni rispetto all’esordio del duo; si gioca su crescendo trascinanti, su quinte ripetute dagli archi combinate con solenni ribattute al piano, come in “VI”: il brano è uno dei vertici del disco, insieme a “X”, dove le linee dei violini ricordano Arvo Pärt. Capita che il dialogo tra piano e archi sia un po’ meccanico, ma ci sono delle eccezioni notevoli: la penultima traccia, ad esempio, porta a fusione perfetta le due anime di questo album più che interessante.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di ottobre 2014 de Il Mucchio Selvaggio

Dagli archivi: Peter Selway – Weatherhouse

Philip Selway – Weatherhouse (Bella Union)

6,5

Weatherhouse, a differenza di Familial, è stato concepito con una band, per quanto ridotta: Adem (Ilhan) e Katherine Mann (meglio nota come Quinta) sono i due polistrumentisti che hanno suonato dal vivo con Selway e che hanno contribuito molto alla produzione e agli arrangiamenti della seconda prova solista del batterista dei Radiohead.

Proprio il lavoro di scrittura e produzione stacca il disco dal suo predecessore, praticamente tutto voce e chitarra: qui archi e piano sono preminenti e usati bene, insieme a una miriade di altri strumenti. Buon esempio è l’apertura “Coming Up for Air”, il pezzo migliore del disco: la giusta combinazione di elettrico, elettronico e acustico e un ritmo massiccio e quasi marziale, cadenzato, che ritorna in molti brani.

La voce di Selway ricorda nella strofa Brendan Perry dei Dead Can Dance, mentre nel ritornello si sentono echi delle sperimentazioni britanniche di fine ’80. Il fantasma dei Radiohead fa capolino in “Ghosts” (ehm) e “Around Again”, ma è comprensibile. Sorprende, in questi pezzi, il lavoro fatto sulla batteria, quasi assente in Familial, come se Selway si fosse riconciliato con il suo lavoro full-time. Purtroppo, però, la seconda parte dell’album cade nei difetti di qualche anno fa: linee melodiche piatte e testi scontati fanno tornare il disco su livelli banali, lo sviluppo delle tracce diventa prevedibile e l’entusiasmo iniziale tende a evaporare. Peccato.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di ottobre 2014 de Il Mucchio Selvaggio

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