Uno dei momenti più belli e normali della mia vita è quando finisco un libro e mi appresto a leggerne uno nuovo. Momento bello, importante ed emozionante. Insomma, si esce da un mondo e si entra in un altro mondo. Ma, per quanto i mondi possano essere avvolgenti, siamo comunque noi-in-un-dato-momento a leggere. Quindi la nostra vita, in senso lato, si mischia, è influenzata ed influenza la lettura. Inoltre, per quanto uno possa sapere di un libro prima di averlo letto, è difficile sapere tutto e sapere come la lettura influenzerà lo stato d’animo. Un’ulteriore premessa. Difficilmente leggo più di un libro alla volta e difficilmente non finisco un libro.
Adesso, giochiamo.
Due tra i libri più belli letti in quest’anno sono stati Appuntamenti al buio di Cornell Woolrich e Norwegian Wood, Tokyo Blues di Haruki Murakami. La tristezza di quest’ultimo è cosa nota, altro che. E anche la sua bellezza. Tant’è che quando dicevo che lo stavo leggendo, tutti mi guardavano con due occhi così. Non solo perché il libro era triste, ma perché in quel momento stavo vivendo uno dei dolori sentimentali più grandi della mia vita. E ovviamente il libro parla, tra le altre cose, di amori impossibili (avevo scritto “umori”, ecco) e sofferenze assortite.
Anche mia madre l’ha letto, quel libro. “Ma qui si ubriacano tutti e si suicidano”, mi dice. La guardo con lo sguardo-pieno-di-vita. Per fortuna non sa niente del cellulare.
Insomma, con il libro di Murakami ho vissuto il mio dolore riflesso, come le pagine se ne fossero preso un po’. Forse il mio dolore era tanto che sono stato io ad intristire il libro, non viceversa.
Appuntamenti al buio (Stile Libero Einaudi, 2000), finito di leggere ieri, è un noir scritto da Woolrich, un tipo strano, legatissimo in maniera morbosa alla madre, incapace di avere a che fare con altre donne. Scrive in maniera molto efficace ed avvincente. Solo che anche questo libro… È la storia di un ragazzo che ha solo la sua ragazza al mondo. Viene uccisa in maniera bizzarra mentre passa un piccolo aereo nel cielo e lui decide di fare provare a tutte le persone a bordo di quell’aereo ciò che ha provato lui, cioè la perdita della donna che amano di più al mondo. Il libro, ogni tanto, presenta frasi come queste:
“Lei si chiamava Dorothy, ed era deliziosa; non era facile descriverla, ma non per la stessa ragione: non si può descrivere la luce. Si può dire dove è, non che cos’è. Ci saranno state ragazze più belle, ma non più adorabili. Era una qualità che veniva da fuori e dentro di lei, un minuscolo particolare. Era il primo amore di ogni uomo, l’amore di cui ci si rende conto solo quando lo si è perduto e si guarda indietro a riflettere. Era la promessa fatta al principio e che non può essere mantenuta oltre un certo punto – e infatti non lo è mai” (p. 5)
“Mi piace vedere una coppia che si diverte, finché può. Poi ci sarà tutto il tempo per soffrire” (p. 141)
E adesso mi trovo davanti alla libreria, guardo i dorsi dei libri, pensando a cosa mi potranno nascondere. Chiudo gli occhi e scelgo.
Ci vuole APRIRE gli occhi e vedere BENE questi fari del cervello che sono i nostri occhi, per scegliere e non essere vittima del micidiale sistema mercantile che domina i libri. Per non aggiungere confusione volontaria alla confusione voluta da chi tira profitto del sistema mercantile della letteratura oggi.
adesso hai postato eh? ma ciò troppo sonno per leggere, ripasso domani 😀
tokio blues l’ho odiato, credo per le stesse ragioni per le quali lo hai amato tu. Ai dolori si reagisce in modo diverso per fortuna.
Una domanda a te, ma a tutti i blog-isti in verita’. Non si finisce per rimanere intrappolati in tutte queste parole? Nelle proprie e in quelle degli altri. Non so, qualcosa mi convince poco. In tutti i blog. Alla fine forse l’amore per le proprie parole e per se stessi finisce per lasciare in ombra cose che meriterebbero di risaltare di piu’. Questo voler necessariamente ricondurre a noi stessi tutto quello che vediamo intorno. Questo voler, alla fine, non concedersi.
Lo so, non c’entra niente questo con quello che c’e’ scritto qui, in piu’ non ti conosco e quindi non vuole essere una critica alla tua persona. Era piu’ una riflessione generale, una perplessita’. Postata qui per caso.
stamattina sono andata in biblioteca, ho adocchiato quattro copertine che mi ispiravano e ne sono uscita con questi libri:
Jonathan Franzen – Le correzioni
Javier Marias – Domani nella battaglia pensa a me
Trueba – Quattro amici
AA. VV. – Yeats è morto
per il resto, tokyo blues mi ha quasi ucciso, e quell’altro che hai nominato non l’ho mai letto, ma direi che sono sul punto di farlo. appena ho letto questi 4, Woolrich sarà li per me.
“domani nella battaglia pensa a me” è il titolo più bello in assoluto sentito fin ora. (ok anche se importato dalla vecchia inghilterra) e il libro in sè piacevole
urka, hai aperto da una settimana e già scateni il diBBattito! 😀
trovato qualche dorso che ha attirato la tua attenzione? che so…qualcosa tipo un “Io, dugongo” o un più melassoso “Dugongo story”? :-))
Oddio, oddio. Uno alla volta. Dunque, iniziamo con ordine.Per Cana: hai perfettamente ragione, e io ne so qualcosa del sistema mercantile dei libri, in prima persona, dico. Ma del resto non me la sento di condannare in toto il sistema della commercializzazione della letteratura in Italia. L’underground (anche se non sono sicuro che tu intendessi tirare in ballo quello) inizia a starmi sulle palle. Per l’anonimo o l’anonima: ovviamente i blog sono espressione di chi li scrive. Ma poi dipende dalle persone. Io ho un rapporto molto particolare con le parole, e dico molto particolare, quasi vitale. Ovviamente, per motivi puramente ontologici, questo rapporto è forte soprattutto con le mie parole, ma dipende, ripeto. Difficile generalizzare. Io, per conto mio, mi concedo molto al prossimo, e le mie parole sono anche per chi legge, anzi, soprattutto. Se no chi me lo faceva fare a renderle pubbliche? Scrivo da abbastanza tempo per rendermi conto che c’è qualcuno là che legge. E ne tengo conto. Per Fio: innanzitutto bentornata! E occhio a quando leggi Woolrich 🙂Per Bradipa: le “k” qui sono bandite 😉 E, ad onor del vero, ho aperto il blog un mese fa. E ancora non mi capacito della quantità di persone che lo legge. Niente a confronto dei vari blogstar, lo so. Ma non importa. Ringrazio, tanto, ancora. 🙂Per EPistole: i dorsi erano tutti senza dugonghi, quindi ancora non ho scelto il prossimo libro, anche se ne ho quattro con me, da portare in quella che ormai considero la mia vera casa: “Rock Springs” di Richard Ford, “Teatro” di Pinter, “Cosmopolis” di DeLillo e “Il ragazzo sbagliato” di Willy Russel. 🙂 Dugongos rock.
ciao sono tornata, l’anonima dell’altra volta. Non voleva essere una critica alle tue parole. Mi sono trovata un po’ per caso a navigare in questo mare magnum di blog, arrivando qui seguendo link qua e la’ e muovendomi poi da qui seguendo i link sul tuo blog. E’ un fenomeno che conosco poco, questo dei blog, lo osservo un po’ dall’esterno e resto perplessa. Forse e’ l’insieme a lasciarmi perplessa, questa mancanza di struttura, di livelli semantici. Ognuno per se’ e link “orizzontali”. E blog-isti che in qualche modo “si inseguono”, ognuno prendendo dall’altro frammenti di stile, di punteggiatura. Ripeto, non e’ il tuo blog che non mi convince, e’ il fenomeno in se’. Forse e’ troppo giovane, forse in realta’ deve ancora prendere forma. P.S. ma si dice blog-isti? P.P.S. ma che sono i permalink? parlarne tanto e non spiegarlo non e’ un po’ come restare chiusi nel ghetto del mondo dei blog? ci sono altri che vi leggono, come me. Mica scriverai solo per i blog-isti, credo 🙂
hai perfettamente ragione sui permalink, non scrivo solo per i blogger (si dice così, credo). essi (i permalinks) non sono altro che dei link che puoi avere sulla data della singola cosa che posti (detta “post”), in modo tale da poterla richiamare in maniera univoca. 🙂 io vedo il fenomeno dei blog come scrittura, come una forma di scritura e tant’è. non ho voglia di teorizzarci sopra, almeno per ora. frequento anche altri posti in rete dove le parole personali hanno senso (messaggerie, chat, e cose del genere). ma devo dire che qui nel mondo dei la qualità è un bel po’ più alta. e questo mi fa piacere. tutto qua. ciao, anonima. e grazie, sul serio 🙂
Domani vado a prendere il libro di Murakami.
Hai già letto Black Cat di Martyn Bedford Stile Libero Noir Einaudi?
Alice, attenta a Murakami e non dire che non te l’avevo detto. No, il libro di cui tu parli non l’ho mai letto. Ma i libri in regalo li accetto volentieri. Accettatemi, quando dico queste cose. (Mantengo ovviamente la polisemia del termine)
Prego, e basta (dall’anonima che passa ogni tanto). Mi ha colpito quel “sul serio” nel tuo “grazie, sul serio”. Come se la paola “grazie”, da sola, non fosse sufficiente ad asserire l’autenticita’ del tuo sentire.
Quel “sul serio” è un rafforzativo. Nel “grazie”, nel mio “grazie”, c’è già molto.
C’era un po’ di provocazione nel mio commento precedente, legata ad una sensazione di svalutazione delle parole (troppe, troppe, in giro per la rete). Ma e’ il mio punto di vista, forse un po’ fuori tempo. E’ stato comunque un piacere scambiare queste opinioni con te. Ciao.