Non avevo mai letto niente di Daniel Clowes, ma a New York ho comprato senza batter ciglio Ghost World, da cui è stato tratto un buon film nel 2001. Mi è arrivato dalla Coconino, un po’ di tempo fa, il nuovo graphic novel di Clowes, Ice Haven. Si tratta di un oggetto particolarissimo: in ventinove storie brevi, ognuna scritta e disegnata con uno stile diverso (dal classico tratto anni ’30, alla strip modello Peanuts, dall’ipercolorato stile anni ’50 alle tendenze in bicromia più recenti), che ci portano nell’universo di Ice Haven, una piccola cittadina americana, e dei suoi abitanti.
Il ritmo di Clowes è perfetto, la narrazione non concede nulla alla soluzione facile, al colpo di scena, ma neanche all’eccesso di pathos. Tutto è brillantemente dosato, le singole storie sono perfettamente chiuse e allo stesso tempo portano avanti il racconto generale in maniera funzionale: il senso di comunità di Ice Haven fa sì che ogni singolo abitante della cittadina (ogni singola storia) sia organico rispetto alla vita della cittadina stessa (il graphic novel nel suo complesso).
Ma molto del gioco dell’autore sta nei registri, negli stili ripresi, che fanno sì che Ice Haven sia una specie di summa dei modi di raccontare americani, usati peraltro per descrivere e narrare una storia (o diverse storie) profondamente legate alla quotidianità statunitense. Compaiono quindi gli aspetti più tristi e nascosti della provincia, i minimarket gestiti dai coreani, le piccole riviste letterarie che nessuno compra, il caso di cronaca nera che compatta una città altrimenti disgregata (e di nuovo, come sopra, c’è un parallelo, visto che la vicenda del rapimento del bimbo è uno dei pochissimi eventi che lega diverse storie tra loro).
Un grandissimo libro, insomma. E magari, adesso, qualcuno di voi andrà in libreria per vederlo. Leggerà le prime pagine e, dopo tutto questo parlare di americanismi di qua e di là, scoprirà delle citazioni tanto involontarie (probabilmente) quanto precise di Amarcord. Anche lì un narratore ci introduceva in una città (di nuovo la città delle memorie dell’infanzia) e veniva tremendamente sbeffeggiato.
Adesso, davvero, correte a comprarlo.
non mancherò di dare uno sgurado…Anche perchè,per quanto lo stimi,Frank Miller non può essere l’unico autore americano da cui si ritenga poterci trarre qualcosa a livello cinematografico.
C’è davvero tanto…
non avevi mai letto niente di Clowes? ahi ahi ahi… comunque questo è davvero un capolavoro (l’avevo in inglese su Eightball, ma questa edizione della Coconinno è molto curata e in un bellissimo formato). Ti consiglio anche David Boring (sempre Coconinno) e Caricature (raccolta di storie brevi della Phoenix). Mi fa piacere che qualcuno parli bene di Clowes, qui in Italia (a parte Ghost World) non è molto conosciuto… bravo!
a presto,
Tom Savini
maxna: e invece speriamo proprio che ice haven rimanga un graphic novel. basta con i film dai fumetti, non se ne può più.tom: eh, caro, la vita è una. se è per questo non ho mai letto pavese, vittorini, faulkner e tanti altri. e non me ne vanto per nulla. 🙂
eh lo so, lo so…
(non ti offendere, comunque, volevo solo fare un po’ il saccentino) Ah, comunque mi sono accorto che ho sbagliato a scrivere Coconino…
ma non mi offendo mica. solo che, ogni volta che trovo un grande, mi rendo conto che ho poco tempo per scoprirlo…