Philip Selway – Weatherhouse (Bella Union)

6,5

Weatherhouse, a differenza di Familial, è stato concepito con una band, per quanto ridotta: Adem (Ilhan) e Katherine Mann (meglio nota come Quinta) sono i due polistrumentisti che hanno suonato dal vivo con Selway e che hanno contribuito molto alla produzione e agli arrangiamenti della seconda prova solista del batterista dei Radiohead.

Proprio il lavoro di scrittura e produzione stacca il disco dal suo predecessore, praticamente tutto voce e chitarra: qui archi e piano sono preminenti e usati bene, insieme a una miriade di altri strumenti. Buon esempio è l’apertura “Coming Up for Air”, il pezzo migliore del disco: la giusta combinazione di elettrico, elettronico e acustico e un ritmo massiccio e quasi marziale, cadenzato, che ritorna in molti brani.

La voce di Selway ricorda nella strofa Brendan Perry dei Dead Can Dance, mentre nel ritornello si sentono echi delle sperimentazioni britanniche di fine ’80. Il fantasma dei Radiohead fa capolino in “Ghosts” (ehm) e “Around Again”, ma è comprensibile. Sorprende, in questi pezzi, il lavoro fatto sulla batteria, quasi assente in Familial, come se Selway si fosse riconciliato con il suo lavoro full-time. Purtroppo, però, la seconda parte dell’album cade nei difetti di qualche anno fa: linee melodiche piatte e testi scontati fanno tornare il disco su livelli banali, lo sviluppo delle tracce diventa prevedibile e l’entusiasmo iniziale tende a evaporare. Peccato.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di ottobre 2014 de Il Mucchio Selvaggio