1977

1977: Frank Zappa rinasce ad Halloween

Oggi Frank Zappa avrebbe compiuto 77 anni. Chissà quanti altri album avrebbe firmato, oltre ai 62 in tre decenni scarsi di carriera (a cui sono seguite decine di opere postume) che definiscono il percorso unico di un genio capace di sgretolare le barriere tra generi e stili musicali e di usare la stessa furia iconoclasta per scagliarsi contro l’American way of life. Ma nella densa discografia del musicista spicca un anno privo – o quasi – di uscite, il 1977, che segna gli ultimi frangenti di un periodo creativo ricco di tensioni e difficoltà, ben testimoniato dai sei leggendari concerti di Halloween tenuti al Palladium di New York.

Le registrazioni integrali dei live di quarant’anni fa, rimasterizzate a 24 bit, sono state pubblicate per la prima volta in una chiavetta USB a forma di candy bar con 158 file wav e booklet digitale, in una confezione che comprende anche maschera e costume da Frank Zappa: un’occasione unica per ascoltare sedici ore di musica che marcano un importante passaggio nell’imprevedibile e scintillante biografia artistica del musicista.

Per comprendere l’importanza del momento fotografato da Halloween 77 è bene tornare indietro di un paio di anni, fino al giugno del 1975, quando esce One Size Fits All: insieme al successivo Bongo Fury, pubblicato a ottobre, include le ultime incisioni con l’incarnazione delle Mothers (“of Invention” va e viene nella ragione sociale) che comprende tra gli altri Tom Fowler al basso, George Duke alle tastiere, Napoleon Murphy Brock al sax, nonché un ritrovato e spumeggiante Captain Beefheart.

Proprio allora cominciano i problemi che costelleranno il biennio seguente, a cominciare dalla progressiva rottura con il manager Herb Cohen, che porta nel 1976 alla fine della DiscReet Records, con conseguenti cause incrociate e congelamenti di capitali. I live diventano l’unica vera fonte di guadagno e tra il 1975 e il 1977 Zappa e i suoi musicisti girano più volte Europa, Canada e Stati Uniti, toccando anche Giappone e Oceania.

Inoltre c’è da gestire il master di un nuovo disco, Zoot Allures, che Zappa riduce da doppio a singolo e consegna direttamente alla Warner Brothers, ma non è tutto. Da anni Zappa è impegnato nella gestazione di canzoni che dovrebbero uscire sempre per la WB proprio nel 1977, e come consuetudine fanno già parte delle scalette dal vivo: l’opera è un ambizioso quadruplo LP e si intitola Läther.

La Warner Brothers, però, giudica troppo rischiosa la pubblicazione del lavoro e chiede a Zappa di suddividerlo e spezzettarlo. Il musicista si oppone: porta quindi i master agli stabilimenti della Phonogram, fa eseguire le prove di stampa nel formato originale quadruplo e sceglie come data di uscita il giorno di Halloween.

Il momento è perfetto, perché proprio il 28, 29, 30 e 31 ottobre di quell’anno Zappa sarebbe tornato al Palladium di New York: ci era già stato nel dicembre del 1976, e da quei concerti aveva anche tratto un live, Zappa in New York, pubblicato dalla Discreet Record nei primi mesi del 1977, ma subito ritirato dalla Warner. L’etichetta si intromette anche nella relazione tra Zappa e la Phonogram, e rincara la dose comunicando l’intenzione di pubblicare il materiale del live e del quadruplo, smembrandolo e riadattandolo in cinque uscite, programmate tra il marzo del 1978 e l’inverno del 1979.

Zappa è mortificato e furioso al punto da interrompere un rapporto – seppur limitato alla sola distribuzione – che durava da un decennio: intenta causa alla Warner, dando il via a una battaglia che lo vedrà vittorioso solo nei primi anni ’80. Nel frattempo fa quello che ha sempre saputo fare meglio: suona.

Il tour autunnale del 1977 comincia l’8 settembre a Tempe, Arizona, e si conclude alla fine dell’anno a Los Angeles. Zappa lascia a casa gli ottoni e si porta dietro una band che è un concentrato di tensione elettrica, espressione di un rock duro e progressivo, ma elastico al punto da allungarsi verso il jazz, l’avanguardia e il cabaret.

Il veterano, per modo di dire, è Terry Bozzio, con lui da un paio d’anni: il batterista non è solo un valido partner dietro le pelli, ma anche un’ottima spalla per sketch e siparietti. Patrick O’Hearn accompagna Zappa al basso da un annetto, il percussionista Ed Mann neanche da sei mesi. I due tastieristi Peter Wolf e Tommy Mars hanno superato le audizioni poco prima dell’inizio dei live, insieme a un bravo chitarrista, dotato anche come cantante, che però (orrore!) non sa leggere la musica: Adrian Belew.

Zappa gli insegnerà le canzoni nei fine settimana antecedenti l’inizio del tour, e (come scotto?) gli farà subire ogni tipo di angheria sul palco. “C’è bisogno di uno che si metta in testa un casco lampeggiante e si muova come un robot! Che ne dite di Adrian?”, ricorda il chitarrista nelle note di Halloween 77. All’epoca, con i suoi ventott’anni da compiere, è il membro più vecchio della band, Zappa escluso.

Halloween: il musicista californiano celebra da qualche anno la sua festa preferita al Felt Forum, un teatro newyorchese nel complesso del Madison Square Garden.

Nel 1977 l’appuntamento si sposta negli spazi eleganti e storici del Palladium per sei concerti, due il 28 e 29 ottobre, uno il 30 e gran finale il 31, proprio nel giorno in cui sarebbe dovuto uscire Läther. Zappa decide non solo di fare registrare tutto dal fido Kerry McNabb, ma anche di riprendere le le serate, producendo il materiale che poi finirà in Baby Snakes, uscito nei cinema nel 1979.

La scaletta dei primi quattro concerti è identica, ma ogni pezzo splende dell’urgenza e del giovanile nervosismo dei musicisti, a partire dal pezzo di apertura, “Peaches En Regalia”, interpretato in una versione più veloce e rutilante del solito: i cambi di ritmo, le modulazioni e le riprese dei temi sono impeccabili e, grazie al bel lavoro di rimasterizzazione, si apprezzano ancora di più le finezze timbriche e di arrangiamento apportate da ognuno.

Il boogie sinistro e orrorifico di “The Torture Never Stops”, da Zoot Allures, sembra perfetto per la ricorrenza della vigilia di Ognissanti, ma si adatta bene anche al momento tormentato che sta attraversando Zappa, assillato da ex manager, avvocati, “giornalisti che si portano dietro le tipe alle interviste per potersele poi scopare più facilmente” e, ovviamente dalla Warner Bros.

L’etichetta è il bersaglio principale del musicista: in “Titties ‘N Beer” afferma che averci a che fare è come stare all’inferno, un paragone che lascia costernato il diavolo interpretato da Terry Bozzio. Il batterista è al centro di un altro noto duetto, “Punky’s Whips”, in cui racconta come sia stato sedotto e ingannato dall’immagine effeminata di Punky Meadows, frontman della glam band Angel.

E se O’Hearn non si trattiene e accenna a “In-A-Gadda-Da-Vida” degli Iron Butterly quando parte una tirata anti-hippy, Adrian Belew è il protagonista assoluto di Flakes”, che Zappa introduce così: “Questa canzone parla di gente che non fa quello che dovrebbe. C’è una grande concentrazione di questi non-cittadini [in originale denizens, ndr] in California. Detto in parole povere, il problema è che tutti quelli che si trasferiscono in California lo fanno per ottenere l’assegno di disoccupazione, dell’assistenza sociale o entrambi”.

Sempre nelle note di Halloween 77 è lo stesso chitarrista a ricordare come è nata la canzone: “Una notte ero nel seminterrato di Frank, mi stava facendo sentire una canzone che aveva in mente di insegnare alla band. Aveva una specie di cattivo retrogusto folk e, tanto per ridere, ho cominciato a cantarla alla Bob Dylan. Frank ha sogghignato: ‘Questo nel concerto lo mettiamo’”. L’imitazione di Belew è veramente spassosa, come lo sono i divertissement del periodo tra fine ’60 e inizio ’70 (con il raro ripescaggio di un singolo delle Mothers, “Big Leg Emma”) che si alternano alle ricercatezze di “Envelopes”, alla versione strumentale di “Coneheads” e alle lunghe improvvisazioni di “Wild Love”, comprese tra i venti minuti e la mezz’ora della serata di Halloween.

Di fronte a questo circo musicale raffinato e controllatissimo, il pubblico sghignazza e si diverte sempre di più, viene invitato sul palco per essere irriso in gare di ballo sui ritmi di leggendaria difficoltà di “The Black Page #2”, gode di battute e sketch politicamente scorretti (ora e allora) e viene investito dalla potenza della doppietta finale, composta da “Camarillo Brillo” e da una trionfale “Muffin’ Man”.

Dopo questo “riscaldamento” lungo due giorni (e dodici ore di live, più altrettante di soundcheck), Zappa e i suoi possono osare di più: il pubblico è dalla loro parte, molti hanno comprato i biglietti per tutti i concerti, tanto che vengono riconosciuti e salutati dal palco. “Stink-Foot” e “The Poodle Lecture” aprono le danze del 30, in cui trovano posto la seconda esecuzione in assoluto della celebre parodia di Peter Frampton “I Have Been in You”, le première di “Dancin’ Fool” e “Jewish Princess”, un’insolita “King Kong”e il finale scatenato con “San Ber’dino”.

L’ultima serata – proposta da sola in un triplo cd –  riprende le scalette precedenti, ma aumenta il livello dello spettacolo sul palco, come le sequenze live di Baby Snakes ben dimostrano. Tra spettatori presi a frustate e altri invitati a gareggiare nell’imitazione di Zappa stesso, torna sul palco il bassista delle Mothers of Invention Roy Estrada, e interpreta un personaggio che si eccita alla vista di una maschera di gomma nell’operistica “The Demise of the Imported Rubber Goods Mask”. 

Il finale con la strumentale “Black Napkins” è un’ulteriore celebrazione dell’arte chitarristica di Zappa e le tinte ancora più scure di “The Torture Never Stops” paiono risentire dell’approccio grandguignolesco e teatrale di Alice Cooper, fino a qualche anno prima sotto l’ala protettiva della Straight Records – fondata proprio da Zappa e Cohen – prima di finire sotto… Warner.

A proposito di etichette: è proprio durante la serata di Halloween che il musicista californiano, oltre a consigliare di fare sempre il gesto delle corna quando si firma un contratto discografico, ovviamente per eliminare il malocchio, annuncia la nascita della Zappa Records, la più longeva delle creature discografiche partorite dal musicista.

Ci vorrà quasi un anno e mezzo per vedere nei negozi il primogenito dell’etichetta, Sheik Yerbouti: tra i maggiori successi critici e commerciali di Zappa, il doppio è inciso insieme a questa nuova e giovane formazione e, pur includendo integralmente le registrazioni di “Jones Crusher” del 31 (un’altra splendida performance vocale di Adrian Belew) e la già citata “Jewish Princess”, contiene solo una parte delle novità suonate al Palladium in quei giorni del 1977.

Le altre protagoniste delle scalette newyorchesi (comprese quelle del dicembre 1976, sempre al Palladium) sono proprio i brani di Läther, che – lo ricordiamo – doveva uscire proprio quel 31 di ottobre. Un paio di mesi dopo Zappa porta le prove di stampa Phonogram del quadruplo LP alla KROQ di Pasadena e, affinché gli ascoltatori della radio californiana non aspettino “da 3 a 5 anni per ascoltare la mia splendida musica”, li invita a registrare il suo nuovo disco, che trasmette per intero: dà così vita a una serie infinita di bootleg che alimenteranno il mito del disco “perduto”.

Läther uscirà così come era stato pensato solo nel settembre del 1996, poco meno di tre anni dopo la morte di Frank Zappa.

Felicità, dipendenze e piaceri

Forse devo prenderne atto. Ne sono dipendente. Anche stanotte, nonostante sia piuttosto tardi, mi sono guardato su Rai Click un’altra puntata di “Blu Notte”. Era il caso della Croara, questa volta. Un altro caso irrisolto, un delitto commesso da queste parti. Lucarelli un po’ gigioneggia come sempre, ma in fondo è bravo, molto bravo a raccontare le storie. Ecco, uno dei piaceri della vita, per me, subito dopo la triade (non in quest’ordine) “sesso-cibo-sonno” è quello di ascoltare e raccontare storie. Forse per questo scrivo. Forse per questo scrivo qua.
Lucarelli descrive Bologna, una città che conosce bene, in maniera diversa dal solito. Diversa da quella di cui parla Pazienza, diversa da quella delle cronache del ’77, diversa da quella di Brizzi. Vede il lato “paesano” di Bologna, e di conseguenza anche il lato oscuro, che, come ben sappiamo, ogni paese ha. Queste descrizioni mi fanno rabbrividire di piacere, perché ho la sensazione di non conoscerla del tutto questa città che mi ha adottato ormai sette anni fa, e che ho vissuto (per quello che ho fatto) pienamente e senza risparmiarmi.
Bologna ti coccola, me ne sono reso conto oggi, seduto in Piazza Maggiore. San Petronio mi sembrava enorme, eppure la sua facciata ormai così familiare, era affettuosa, e gli altri palazzi della piazza sembravano avvolgermi e abbracciarmi. Talvolta l’abbraccio si fa soffocante, ma talvolta, quando si ha freddo, è così bello coprirsi fino a sentire quasi che ti manca il respiro.
Non so quanto resterò in questa città. Non lo so. Ma so che mi resterà dentro. E non è detto che io non ci ritorni. Io, che raramente torno sui miei passi.
Torno brevemente al caso di “Blu Notte”. I genitori di Lea, la vittima, hanno fatto pubblicare il diario della figlia. In una pagina lei dice che la sua unica aspirazione è essere felice.
Ecco.

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