E così, anche per queste feste comandate, mi sono trovato nella piccola cittadina alla periferia nordorientale dell’impero che mi ha dato i natali. Ultimamente a Gorizia pare vada moltissimo passare le serate sul Corso principale della città, più precisamente ad un incrocio che presenta sui due dei quattro lati tre locali: uno fighetto, uno medio, uno alternativo. La perfetta alternanza e scelta in scala, in un raggio di cento metri quadrati scarsi. Mi sono trovato lì, quindi, sia venerdì che sabato sera, un po’ a disagio, per la noia e per il non sapere che fare quando vedi delle persone che non incontri da cinque o anche dieci anni. Che si fa, in questi casi? Si accenna ad un saluto con la mano o con la testa, li si ignora, ci si sbraccia in gesti plateali? Ogni volta che penso ad una possibilità credo sia quella sbagliata, quindi di solito faccio dei piccoli gesti plateali e silenti, per lo sconcerto di chi mi sta vicino, che crede sia preso da un attacco epilettico.
La cosa che mi ha sconvolto, però, è un’altra. Quando sono in mezzo alla gente e non sono coinvolto in una conversazione non posso fare a meno di sentire le parole degli altri. Pezzi di discorsi, rimasugli di frasi, colgo tutto. Venerdì e sabato sera più di metà dei discorsi che ho captato aveva a che fare con l’alcool, o perché le persone che parlavano erano ubriache, o perché parlavano di bevute immonde e colossali, o perché parlavano delle conseguenze delle stesse. Spesso tutte e tre le cose insieme.
E mi sono reso conto di come a Gorizia più che in altri posti ci siano numerosissime persone, anche giovani, ad un passo dall’alcolismo inteso come malattia, ad un passo dal tavernello di mattina o dalla vodka del primo pomeriggio. L’alcool e il quasi alcolismo sono cose socialmente accettate, anzi, sono incentivate e, in un certo senso, protette. E ve lo dice uno che, forse per reazione a tutto questo, ha fatto l’astemio fino a che non ha lasciato quella città. Questo fenomeno è immerso in un clima stagnante, in cui altri tipi di discorsi si spengono dopo poco, suicidandosi, in cui l’innalzamento del tono di voce è assolutamente proporzionale alla mancanza di contenuti. Siamo oltre il discorso fàtico, siamo al nulla on the rocks.
“Ghiaccio, non rocce”, come diceva Eddie Valiant in Roger Rabbit, quando ordinava un drink al Club Inchiostro&Tempera.
“I am a rock, I am an island”, invece, cantavano Simon&Garfunkel. E ogni goriziano è un’isola. Vi basti questo esempio. Tra le altre persone ho incontrato anche un ragazzo che non vedevo da tempo, ovviamente in un luogo-da-aperitivo, che mi ha detto che adesso fa il contadino vicino Ancona. Un uomo di mezza età si avvicina a noi e sente i nostri discorsi. Ovviamente è ubriaco, e attacca bottone col ragazzo.
“Dov’è questo posto?”, gli chiede.
“Vicino ad Ancona”, risponde lui.
“Non me ne frega un cazzo. È lontano”, ha detto l’uomo, e se n’è andato barcollando fino al bancone. Quello è sempre e comunque un posto vicino.