Ritorno a scuola

Insomma, sono davanti al portatile tutto il giorno per preparare le lezioni da tenere alla nota-università-con-le-scale-mobili, e ho poco tempo per scrivere sul blog quanto e quando vorrei.
Tra l’altro questa preparazione continua ad essere difficoltosa. Quando devo preparare le diapositive mi si blocca PowerPoint e quando devo preparare le clip video mi si blocca VirtualDub. Ma io resisto.

Insomma, già qualche settimana fa ricevo una mail da un’agenzia di pubblicità di Bologna, che recita (sic):

“Re: sua lettera del 24 febbraio. Se è ancora interesato ad un colloquio, mi chiami”.

E io chiamo, nonostante l’interese per quello che fanno in quell’agenzia non sia mica così grande. Ma sapete com’è… E vado al colloquio. Quando vado ai colloqui nelle agenzie di pubblicità (tre colloqui in tutto compreso questo, che credete) capita sempre un momento in cui viene recitato il seguente copione.

Interno giorno. La sala riunioni dell’agenzia di pubblicità. Il capo dell’agenzia dà un’occhiata al curriculum di Francesco, che attende una domanda.
Capo: “Ma lei, scusi se glielo chiedo, con le cose che ha fatto… Insomma, qui le parole si usano in maniera diversa, sono piegate ad un bieco interesse commerciale. Mi dica: che ci fa unocomelei [giuro, mi dicono così: secondo me si confondono con qualcun altro] in un posto come questo?”
Francesco: “Sa, con l’arte, o come la vuole chiamare, non si mangia”
Capo: “Ah”
Francesco: “Eh”

Alla fine dell’ultimo colloquio, il Capo di turno si alza e mi dice: “Che ne dice se la metto alla prova subito?”. Come in un film, proprio in quel momento entra nella stanza il giovane art director e porge delle bozze di volantino al Capo, tanto che mi chiedo se ci siano i microfoni nascosti, da qualche parte.
“Ecco, guardi. Questi sono dei volantini che noi abbiamo fatto. Io perfidamente ho fatto togliere tutte le parti scritte. Ci provi, le scriva lei”. Detto questo mi dà un bloc notes e una penna e il “brief”, cioè le indicazioni sul prodotto in questione. Io rimango un po’ perplesso, chiacchiero con il capo, abbozzo a voce un paio di slogan, e, alla fine, la spunto: manderò i miei compiti per casa via mail.

Ieri ho chiamato l’agenzia di pubblicità, perché volevo dire loro che ancora non sapevo nulla della data dell’inizio del mio seminario alla nota-università-con-le-scale-mobili, e che quindi non sapevo quando potevo iniziare il mio periodo di prova. Il Capo si è mostrato molto comprensivo: “Sa, il mio socio vuole che lei provi a lavorare su qualcosa di più complesso, tra un paio di giorni ci faremo sentire. Dimenticavo: ho letto le prove che ha fatto, quelle dell’altra volta… Beh, benino, sono andate benino”. Io mugolo qualcosa, ma il Capo incalza: “Se permette…” “Prego” “Un sei più, diciamo”. E ridacchia.
Il punto è che la campagna sulla quale mi sono esercitato aveva a che fare con il mondo dell’automobile, e io non ho neanche la patente.
“A professò, ma proprio quel capitolo mi doveva chiedere?”