That's All, Folks!

I miei non hanno mai voluto che io tenessi animali. O meglio, non hanno mai voluto che io tenessi cani o gatti in casa, visto che vivevamo (e madre e padre tuttora vivono) in un piccolo appartamento. Però, in qualche modo, ho avuto compagnia animale.
“Posso avere un animale piccolo, per favore, per piacere?”
“Niente topi. E niente colture batteriche”
Scartati gli organismi unicellulari, comodi da portare in giro, ma non molto comunicativi (si lamentavano: “Ohè, ho una cellula sola, eh, come cazzo vuoi che ti riporti il bastoncino?”), ripiegai su altro. Nell’ordine: una cavalletta zoppa, che chiamai ironicamente “Zomp”. Lei non capì mai lo spirito onomastico e se ne andò per sempre in un caldo mattino d’estate. Senza neanche salutare. Un vermino bianco, senza nome (o forse lo chiamavo “Verme”). Si nutriva di terra, defecava terra. Grandi esseri, i vermi. Domineranno il mondo, un giorno. Non lui. I vermi sono grandi esseri se i dieci centimetri quadrati di terriccio dove vivono vengono bagnati. Se no, si seccano. Nel vero senso della parola. Insomma, si seppellì vivo da solo.

Una delle coverfish di una rivista di Golia

Ma ho avuto anche due pesci. Prima Golia. Cicciotto, con la coda lunga lunga e molto vanitoso. Ogni volta che si muoveva, pareva dicesse “Veh, che coda. Che bellezza che sono”. Una notte lo sorpresi che si masturbava. Aveva la vaschetta davanti al televisore, ma non riuscì a cambiare canale in tempo. C’era un documentario sui pesci pagliaccio.
“Mi sono addormentato davanti alla televisione” disse lui sbiancando (un pesce rosso che arrossisce? Ma andiamo).
“Seh”, dissi io.
Capii che aveva bisogno di qualcuno, di compagnia. I pesci pagliaccio costavano troppo, gli comprai un altro pesce rosso, Abramo (in onore del pesce di Arnold). Non un gran che di pesce. Magrino, colore smunto, senza particolari forme. Un po’ il corrispondente ittico domestico della signora Pina Fantozzi. Ma insomma.
Un giorno passai davanti alla vasca.
“Mamma, i pesci rossi nuotano a dorso?”
Così morì Golia.
Abramo se ne stava in un angolo fischiettando. L’ho sgamato perché uscivano le bolle.
“Non c’entro niente, io, mi dispiace, se ne vanno sempre i migliori, come farò, un momento fa era lì immobile, adesso è lassù immobile, che disgrazia.” Dopo pochissimo Abramo cambiò l’arredamento della vaschetta. Dopo un altro po’ morì anche lui. Non chiesi niente a mia mamma, avevo capito che i pesci preferiscono lo stile libero.

Tutta ‘sta pippa inutile per che cosa? Per questo. Me l’ha segnalato P. “Il paradiso di Tom e Jerry”. Ma vi rendete conto? Una specie di rinuncia totale: il gatto e il topo che sempre si corrono dietro che ad un certo punto vengono fulminati da un infarto. Tom che cade dal tetto e gli si spacca la testa. Jerry schiacciato da una trappola. Un definitivo “That’s all Folks” (lo so, erano i Looney Tunes, non Tom e Jerry, non rompete le palle, ché il discorso è serio). Dicevo. “Il paradiso di Tom e Jerry”, con i cani sagomati sulle nuvolette, con il cimitero virtuale, con lo sconto agli iscritti al sindacato.

Caro Golia, se mi senti, attento a quello che ti dico. Sei stato veramente il mio unico animale domestico. Abramo ti ha attaccato qualcosa, lo so. Non gliene faccio una colpa. Non sia mai. Non so neanche che fine hai fatto, forse mia madre ti ha solo buttato nel cesso, non lo so. Non hai avuto nulla: niente cerimonia, niente funerale, niente banda. Niente lapide in marmo di Carrara, niente di niente. Perdonami, se puoi. Avresti potuto essere il primo pesce rosso sepolto nel Paradiso di Tom e Jerry.
Forse è stato meglio il caro vecchio cesso.