Jimi Hendrix: Voodoo Child

Dagli archivi: Jimi Hendrix: Voodoo Child (Bob Smeaton, 2010)

Jimi Hendrix, si sa, è una delle icone del rock: sembra una frase fatta, ma la parola “icona” può avere come significato quello di immagine condivisa e immediatamente riconoscibile. Ecco quindi che ci vengono in mente le copertine dei dischi o gli scatti dei concerti più famosi del chitarrista, spesso tratte dalle esibizioni a Monterey, Woodstock e all’Isola di Wight.

Perché un lavoro audiovisivo su uno dei più grandi musicisti del secolo scorso abbia un motivo di interesse, quindi, ci vogliono immagini e/o storie inedite o, quanto meno, poco viste: poco “iconiche”, appunto.

Jimi Hendrix: Voodoo Child riesce ad azzeccare in parte questo obiettivo: ripercorrendo in maniera rigidamente cronologica la vita e le opere del chitarrista mancino di Seattle, usa delle immagini effettivamente poco viste, ma organizza il materiale in modo davvero pacchiano.

Innanzitutto l’approccio filologicamente corretto di raccontare tutto attraverso la musica e le parole che Hendrix ha pronunciato nelle interviste tra il settembre del 1966 e lo stesso mese di quattro anni dopo (lo stesso usato dagli autori di Berlusconi Forever!) è rovinato dalla decisione di fare “leggere” le cose dette da Hendrix alla carta stampata dal musicista Bootsy Collins: quest’ultimo imita sì il tono calmo e dolce che Jimi aveva davvero ma, appunto, lo imita (come Neri Marcorè nel film di cui sopra! Ok, basta con i paralleli agghiaccianti).

Ma, soprattutto, nel raccontare il nostro si sente fortissimo il peso della famiglia, che ormai regola e amministra ogni uscita discografica legata a Hendrix, compresa la mega antologia West Coast Seattle Boy nella quale è incluso il DVD di cui stiamo parlando.

La scelta, non originale anch’essa, è parlare di Jimi, ma anche di James Marshall Hendrix: insomma, un po’ il figlio legatissimo al padre, a cui manda numerose lettere e cartoline, un po’ l’uomo che infiammò letteralmente i palchi di mezzo mondo. Solamente che nel parlare dell’uomo non si va a fondo, e nel parlare del personaggio non si racconta nulla che già si sappia. In particolare gli Hendrix hanno messo, evidentemente, un bel divieto a tutto ciò che riguarda sesso e droga.

Sì, Hendrix rilascia un paio di dichiarazioni che indicano un “libero arbitrio” nell’uso delle sostanze stupefacenti, ma sembrano, più che dei contenuti interessanti posti in un certo snodo del documentario, una spunta sulla riga “droga”: “Ok, ecco cosa dice, andiamo avanti”. Sul sesso le cose vanno più o meno allo stesso modo. Ora, non vogliamo di certo l’ennesima occasione di sfruttamento di questi lati del personaggio, ma ignorarli del tutto è smaccatamente censorio.

Allo stesso modo, ma in questo caso è un bene, non si specula sulla scomparsa di Jimi Hendrix, avvenuta nel settembre del 1970: con la sua morte si conclude il documentario, che rimane passabile per chi non sappia nulla o quasi di questo grande musicista, ma che aggiunge davvero poco alla sterminata quantità di materiale che lo riguarda.

Recensione pubblicata originariamente sul blog di Pampero Fundacion Cinema nell’aprile 2011

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