la nota sala da biliardo

L'intruso: ancora un post sulla sala da biliardo?

Ci ero tornato, per puro caso, il primo giorno in cui aveva aperto, il primo settembre, con C., che mi ha battuto. Ma non era per quello che non ci avevo più messo piede, ma solo perché la mia vita, ultimamente, è un frenetica al punto tale da non permettersi due colpi a stecca. Terribile.
Il primo settembre lui non c’era. Oggi sì.
Pensate a qualcosa che non ci sta in un contesto che amate. L’amante della vostra donna nella vostra camera da letto. Uno scarafaggio che zampetta su una pizza quattro stagioni (priva di olive, metti che uno si possa confondere). Una cacca su un cuscino di velluto in una vetrina di Cartier (questa non è mia, ma non ricordo la fonte). Cose così, insomma.
Nella mia amata sala da biliardo stasera c’era una macchina per il videopoker. Che, voglio dire, non è un intruso in sé. Ma del resto, nel mondo, non sono intrusi neanche gli amanti., gli scarafaggi e le cacche. Esistono. Il punto è dove stanno.
La sala da biliardo ha un’aura mitica. Tutte le persone che ci hanno messo piede, anche se appartenenti all’altro sesso, e quindi tendenzialmente non interessate allo splendido gioco, ne sono rimaste affascinate, come del resto gli avventori della sala rimangono affascinati dalle fanciulle che ci capitano. E sono tendenzialmente interessati ad esse. La sala da biliardo è popolata da birre, sigarette, panini al prosciutto, carte sbattute con forza, panini, scrocchi delle bocce, rumore di stecche, luci al neon.
Adesso nella sala da biliardo c’è una macchina per il videopoker. Due vecchini le stavano seduti accanto, giocando noncuranti a ramino. Lei lampeggiava e sbriluccicava, cercando di attirare la loro attenzione.
Per ora ha vinto il ramino. Speriamo bene.

Il Bretella

Non è il Bretella: lui ha le bretelle a pois!


Un altro post sulla sala-da-biliardo? Abbiate pazienza, ma volevo parlare di questo personaggio, Il Bretella, da molto tempo.

Capita, come ieri, che nella nota-sala-da-biliardo non ci sia nessuno. Forse perché è martedì grasso, non so mica. Anche se dubito che i clienti abituali che si trovano lì a giocare non vedano l’ora di mascherarsi e andare nei locali a tirare stelle filanti e coriandoli. Insomma, entriamo nella sala e c’è solo un tavolo occupato da un ragazzo piuttosto giovane e dal Bretella.
Il Bretella è un uomo dall’età indefinibile, ma diciamo tra i cinquanta portati male e i settanta portati bene, che ha comprato due oggetti rilevanti, nella sua vita: le bretelle (marroni a pois) e la pancia. La pancia del Bretella è di dimensioni enormi ed è tonda tonda: un affare del genere, è evidente, non esiste in natura, ma buoni artigiani possono produrne di cose così; chissà quanto gli sarà costata.
Il Bretella se ne starebbe anche per i cavoli suoi, e può farlo, ma attenzione: è l’Echelon del biliardo. Se il grande orecchio viene attivato da parole come “Osama Bin Laden” e “esplosione-Vaticano”, il Bretella è attivato nel momento in cui qualcuno dice cose come “io questo colpo proprio non lo so fare”. Ed ecco che il poverino che ha pronunciato queste parole è finito. Il Bretella arriva e, con falsa modestia, gli mostra il colpo, che esegue perfettamente. E gli altri venticinque successivi per vincere la partita. Ma il giocatore inesperto non se ne accorge, perché rimane affascinato dalla sua panza: è fatta, il Bretella, come un organismo parassitario, ha trovato la sua vittima. Inizierà a dispensare consigli di biliardo e di vita, snocciolandoli sempre accompagnati da “ma io non è che sia un professionista” o frasi del genere. Non si capisce se lui intenda affermare la sua non-professionalità nella vita o nel biliardo, ma è meglio non indagare. Il Bretella gioca al biliardo all’americana e a boccette, ma è il biliardo all’italiana il suo punto forte (sì, quello con birillini – il castello – al centro e tre bocce). Perché effettivamente in quel gioco del biliardo è possibile pianificare veramente una strategia a lungo termine: capite che la soddisfazione didattica è decisamente maggiore.

Avevo sempre visto Il Bretella dare lezioni-non-volute, a gratis, ma la situazione di ieri sera era strana. Il Bretella parlava più del solito, continuamente, un flusso continuo (veramente senza neanche un’interruzione) per due ore e più. Troppo anche per la naturale propensione all’insegnamento che lo caratterizza. Mi sono reso conto con orrore che il timido ragazzo che “giocava” con lui, gli aveva chiesto lezioni di biliardo. Ovviamente non sapeva che questo comprendeva anche un seminario sulla psicologia dell’avversario, un breve workshop di teoria dell’attacco, direttamente ispirato al pensiero di Von Clausewitz, e anche un panorama storico sui colpi celebri nella storia dei campionati mondiali di biliardo all’italiana. Il tutto eseguito, raccontato, messo in scena dal Bretella. Il ragazzo, ogni volta che stava per giocare, veniva spostato dal maestro, che, ovviamente, eseguiva il colpo perfettamente. All’allievo non restava che guardare. Anche perché “è già tanto che tu capisca il dieci per cento di quello che dico”, chiosava il Bretella ad ogni insegnamento. Le domande dell’allievo venivano considerate pochissimo, perché “è ancora troppo presto”. E alla fine? “Dai, sono un po’ più di due ore, facciamo due ore, sono venti euro”. Più il costo del tavolo, più la birra per il Bretella, che sicuramente, data la panza che deve nutrire, non era una birretta piccola. Alla fine, però, lo spirito didattico va oltre ogni forma di pagamento, e il Maestro inchioda l’allievo a gratis per altri quaranta minuti, forse parlandogli anche della sua vita e della sua panza.
La frase conclusiva della lezione è stata una definizione del biliardo: “È la matematica che sposa l’arte”. Quasi quasi la prossima volta preparo questi venti euro.

P.S. Ringrazio A. per il prezioso aiuto: mentre io giocavo, lei osservava e registrava. E rimaneva affascinata dalla pancia e dalle sagge parole che essa emanava.

Lezioni di stecca

Era da tempo che non tornavo nella nota-sala-da-biliardo, ma mercoledì sera alle dieci e mezzo ero già lì, con F. e P. che sistemavo il triangolo e mi facevo pervadere da quella calma olimpica che mi prende quando gioco. Dico sul serio. C’è qualcuno che si incazza e si innervosisce, quando gioca a biliardo. Io no. Anche se perdo. Devo essere sincero, non ho mai stracciato il panno, né ho mai fatto schizzare il boccino a velocità supersonica sul cranio di un energumeno. Ma insomma.
Proprio dietro di noi c’erano due uomini, intorno alla quarantina scarsa. Uno di Roma e uno di Bologna. Non che si fossero portati dietro le targhe della macchina. Ma si sentiva. Quello di Roma aveva portato l’altro a giocare e, da quello che sembrava, si era messo in testa di rivelargli i segreti della stecca. Ogni colpo, sia suo che dell’allievo, quindi, era preceduto da una disquisizione in romanesco su sponde, strisci, aggiustamenti, buche d’angolo. Una palla (è il caso di dirlo) terrificante. Anche perché, se fino a prima nessuno sentiva i cazziatoni che il maestro faceva all’allievo, adesso c’eravamo noi tre, là, che giocavamo sul tavolo accanto. La nostra concentrazione (si fa per dire) quindi era rotta da frasi come “Ahò, ma no, così m’a metti ammè” e statac! La palla del maestro finiva in buca. E il maestro si arrabbiava pure. Ma non sbagliava un colpo. E anzi, si muoveva e colpiva con la stessa spocchia con cui la mia professoressa di matematica del liceo ti prendeva il gesso di mano, ti scostava dalla lavagna su cui regnava un’equazione di sedici righe e la risolveva in uno, massimo due passaggi. Perfetto metodo d’insegnamento. Ogni tanto ho incontrato lo sguardo dell’allievo, imbarazzatissimo, che non guardava neanche il panno, ma semplicemente teneva la stecca in mano, tra uno statac! e l’altro. E mi sono accorto che il rapporto allievo-maestro era mantenuto anche sul piano fisico: il maestro, un romano alto e grosso, con la mascella prominente, un uomo che ostenta sicumera anche quando fa a fare la cacca, anzi, probabilmente soprattutto in quei momenti. L’allievo, timido, con una camicina a righe, righe che non osano essere quadretti per eccesso di pudore. Un uomo che, sicuramente, ha problemi di stipsi.

Quando sono andati a pagare c’ero anche io al banco. “Sono ventidue euro” ha detto loro l’omino del biliardo. Ho fatto un rapido calcolo: ventidue euro vuol dire che, minimo minimo, erano tre ore e mezzo che giocavano. Tre ore e mezzo di umiliazioni. Di colpi sbagliati dell’allievo e di statac! del maestro. Non ho voluto guardare chi ha pagato. Anche se, in cuor mio, lo so perfettamente.

Senso civico e sociale, "cinnazzi" e discobar(s?)

Piccole osservazioni di ieri sera e stasera.

Ieri sera: vado a vedere Caterina va in città di Virzì. Sulla strada, passo accanto ad una ragazza. Il mio passo, per qualche metro, è identico al suo, quindi, per pochi secondi, camminiamo uno a fianco dell’altra. In quei pochi secondi ci incrocia uno di quei personaggi che girano nella zona universitaria bolognese, e che di solito o ti chiedono una sigaretta o qualche moneta, o ti offrono del fumo o una bicicletta. Invece lui dice:
“Ah, che bella coppia. Preservativi?”

(Usateli, i preservativi, mi raccomando. Non lo si dice mai abbastanza. Poi, fino a che il governo fa pubblicità-regresso come quella che dice “Avete Idea Della Sofferenza”…)

Stasera sono andato con il caro F. a giocare a biliardo nella notasaladabiliardi. Nel tavolo accanto al nostro giocano dei “cinnazzi” (pronuncia: “zinassi”, cioè “ragazzini” o “ragazzotti”) che, di seguito, dicono le seguenti frasi.
1. “Che palle, però, domani, la scuola”
2. “Io l’ho sempre detto: dobbiamo fare un weekend a Brescia, ché lì ci sono fighe troie” (per la citazione esatta ringrazio il caro F.)

Dopo andiamo in un notodiscobar. Una schifezza di posto, ma serve per l’autostima, vero? Cioè, ti guardi intorno e vedi gente impazzita per “Papi Chulo” e stai meglio. Dopo un rum-e-pera (che F. chiama così, per ordinarlo, e la barista lo guarda e gli dice, un po’ stizzita: “waikiki”) e un cuba libre, inizio a guardarmi intorno. Qualcuno si bacia, qua e là. La cosa bella è che penso che, in un posto del genere, si può limonare solo in due casi:
1. hai rimorchiato quella sera, quindi, giustamente, limoni là;
2. il tuo rapporto di coppia è in crisi: chi si sognerebbe di portare la propria donna nel notodiscobar a ballare “Papi Chulo”?

Due note finali. La prima è che, dico veramente, tutto quello che scrivo è vero. La seconda è: ma perché i miei permalink non funzionano e rimandano all’inizio della pagina in cui c’è il post in questione? Aiuto.

Colpo partita: triplo filotto reale con pallino

Sono uscito, questa sera, e mica ero di umore buono. Andiamo a bere qualcosa. Ordino un martini cocktail e un bicchiere d’acqua.
“Non abbiamo bicchieri”, mi dice la cameriera.
La folla con me ridacchia e inizia a proporre che io beva l’acqua in un’urna, in una cisterna… La cameriera è simpatica e precisa che, insomma, ‘sta acqua me la devo pagare. Mezzo litro. La ordino senza bollicine, temendo il sovrapprezzo.
Il cocktail è così così. Sto per andarmene a casa, quando mi dicono: “Partita a stecca?”.

Il biliardo io l’adoro. Mi piace tantissimo, tutto. Sorrido e accetto.

Andiamo in una notasaladabiliardo, proprio sotto le due torri. Immaginatevi una sala da biliardo nel centro di Bologna. Fatelo veramente. È esattamente così. Sottoterra, in un palazzo con ascensore ingabbiato, cancello per entrare. Tavoli sparsi, fumo, neon. Popolazione varia e inevitabilmente bizzarra.
Nella notasaladabiliardo la televisione è sempre accesa, e c’è sempre qualcuno che la guarda: e pare non abbia fatto altro in vita sua. Immobile, se non fosse per la sigaretta che viene fumata, spenta, riaccesa. Età compresa tra i cinquanta e i centocinquant’anni. Ma si guardano le cose più normali. Lo so, potreste aspettarvi un porno, o quanto meno le pubblicità dei telefoni erotici. Stasera c’era “Porta a porta”. Mi sa che gli regalo qualche cassetta…
Nella notasaladabiliardo si bestemmia, più o meno ad alta voce, ma si sentono distintamente i rumori crocchianti delle palle, del primo colpo, delle stecche, dei gessetti che vengono strofinati sulle loro punte.
Ogni tanto i giocatori più esperti ti guardano, ma non te lo fanno notare. Meglio così.
Di solito nella notasaladabiliardo ci sono in prevalenza uomini. Ma a volte qualche donna ci scappa. Magari la ragazza di qualcuno, che è lì con i suoi amici. E lui, premuroso e amoroso, tenta di insegnarle a giocare. Lei, di solito, è negata. I suoi amici si sfiancano di sigarette e di birra e tremano ogni volta che lei prende la stecca in mano. Lui, imbarazzato, fa dei sorrisini di giustificazione. Che, spesso, servono a poco.

P.S. Il titolo del post… si può ascoltare qua.

Di |2003-10-10T04:07:00+02:0010 Ottobre 2003|Categorie: There's A Place|Tag: , , , |6 Commenti
Torna in cima