Dagli archivi: Bill Fay – Who Is the Sender?
Bill Fay – Who Is the Sender? (Dead Oceans)
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Niente preamboli: il quarto album del musicista britannico è splendido, come il precedente Life Is People, che aveva interrotto un silenzio di quattro decadi. La squadra è la stessa, a partire dal produttore Joshua Henry: ma se le registrazioni di allora durarono un mese, qui Fay e i suoi hanno occupato gli studi londinesi di Ray Davies per un paio di settimane scarse. Incredibile, data la qualità sopraffina delle canzoni e degli arrangiamenti: Who Is the Sender? è uno degli album meglio composti e suonati che possiate sentire, ma accorgetevene dopo qualche ascolto.
Lasciate prima che i suoni e le parole vi rapiscano, infondendovi il senso di meraviglia, mistero e speranza che era tutto racchiuso in “The Healing Day” di Life Is People: quella è la canzone “ponte” tra i due album, entrambi (come del resto anche gli altri lavori di Fay) intrisi di una spiritualità più vicina alla sacralità naturale che a dogmi e rituali. Si cita indirettamente la Prima Lettera ai Corinzi in “Something Else Ahead”, compare un riferimento cristologico in “Order of the Day” e anche il “sender” della struggente title-track potrebbe essere interpretato in senso religioso. Ma, oltre la Natura, per Fay è sacro l’Uomo, con tutte le sue debolezze (“A Frail and Broken One”), la sua violenza (“War Machine”), la sua irrequietezza (“Bring It On Lord”) e soprattutto la sua musica, dono e fonte di speranza.
L’affresco sonoro dipinto dal piano di Fay assieme agli archi, talvolta accompagnati da un organo, fiati, lampi di chitarra elettrica, bassi elettrici e non e accortissime percussioni è commovente. E c’è tempo, alla fine dell’album, per riprendere “I Hear You Calling”, da Time of the Last Persecution: ci piace pensare che la fabbrica sul cui pavimento giace il narratore sia la stessa che vedono le oche dall’alto nell’apertura di questo Who Is the Sender, “The Geese Are Flying Westward”: una vertigine dello sguardo che abbraccia il tempo e lo spazio e proietta ancora una volta Bill Fay tra i grandissimi della musica.
Recensione pubblicata originariamente sul numero di aprile 2015 de Il Mucchio Selvaggio