Neighbours 6
Qualche notte fa sono stato svegliato da un rumore strano. Mezzo addormentato ho pensato: “Un pianto. Un forte pianto. Che succede?”. Mi sono tirato su sul letto, e ho capito che quello non era un pianto, ma un gemito proveniente dall’ultimo piano. Un po’ sorridendo, un po’ incazzato perché svegliato ancora una volta dagli amplessi dei miei vicini di casa, mi sono addormentato. Non prima di avere sentito distintamente i due orgasmi, separati. “Abbattiamo il mito dell’orgasmo simultaneo”, ho pensato, rifiutando di partecipare in alcun modo al loro piacere da lontano.
Il giorno dopo, verso l’ora di pranzo, ero nella mia stanza che controllavo la posta elettronica. Dall’ultimo piano provengono delle urla, ma di tipo diverso. Una voce femminile dice, lamentandosi: “Ma mi avevi promesso che avrei lavorato con te anche l’anno prossimo” (per evitare facili incomprensioni: il vicino dell’ultimo piano fa il barista, e anche che le sue partner occasionali: portarsi il lavoro a casa. Bah.). Silenzio. Ancora silenzio. Io tendo l’orecchio.
“E NON MI TOCCARE, CAZZO!”, urla lei.
Ancora silenzio, poi una risatina maschile. Una porta sbattuta. E poi della musica tamarra, sparata a palla.
La musica. Il vero problema del vicino dell’ultimo piano è la musica che ascolta. Stamattina mi ha svegliato verso le dieci. Il problema, ripeto, non è l’ora, ma la musica. Io non so dove prenda i dischi che ascolta, ma vi dico che Los Cuarenta, in confronto, potrebbe essere definita una raffinata collezione di musica da camera.
Stamattina il vicino dell’ultimo piano ha ascoltato una canzone sola, cantata in inglese da un uomo che non conosco. Intendiamoci: dopo averla ascoltata una volta ho pensato di regalargli tutti i dischi di Michael Bolton, meno dannoso. Solo che, ad un certo punto, completamente fuori ritmo, fuori dalla melodia, fuori da tutto, il vicino barista ha urlato uno straziante “Goodbye”. E basta. Ha spento lo stereo. Quest’uomo sta soffrendo. E, di riflesso, frantuma anche le mie, di palle. Aiutatelo, aiutatemi.