vicini di casa

Neighbours 12

Qualche tempo fa la vicina dell’appartamento di sopra, N., se n’è andata cercar la fortuna in giro per il mondo. “Affitterò l’appartamento a qualcuno”, mi aveva detto. “Fammi sapere”, avevo replicato io, dimenticandomi poi della cosa. Qualche mese fa ho iniziato a sentire dei rumori provenire dal piano di sopra. Passi pesanti, che facevano scricchiolare lievemente anche alcune cose intorno a me.
“Sono i solai di legno: materiale elastico, e quindi con capacità ottime di trasmissione delle vibrazioni, senza incorrere in deformazioni”, pensavo aggrappandomi a brandelli di nozioni di educazione tecnica delle medie e fisica delle superiori. “Qualcuno c’è” concludevo, “ma non è detto che sia un ciccione: gli stessi tonfi li sentivo quando N. si muoveva nel suo appartamento, e N. non è di certo una cicciona.”
Poi ho scambiato due parole con N. su Skype.
“Sì, c’è un nuovo inquilino, ho affittato l’appartamento”, mi ha detto. “Non si è presentato?”
“Veramente no”, le ho scritto io, pensando che continuo a conoscere pochissime delle persone che vivono nel palazzo dove abito.
“Gli dirò di farsi vivo”, mi ha assicurato lei. Nessuno si è ancora presentato, almeno fisicamente alla mia porta. Perché ormai le abitudini del misterioso vicino del piano di sopra sono ormai assodate, soprattutto nelle ore notturne. Ama guardare la televisione, forse a letto, un tempo a volumi più alti di ora, sempre tra mezzanotte e l’una. Poi, presumo, spegne televisore e abat-jour e si mette a dormire. Per qualche minuto c’è silenzio. Poi, nella quiete della notte che ci può essere in una viuzza del centro storico di Bologna, si sente yyaaaaawwwwnnn. Uno sbadiglio quasi ferino, ma che ha in sè anche il godimento dell’aver raggiunto il riposo dopo una giornata faticosa. Lo sbadiglio che vorrei fare io, ma che non mi viene. “Perché?”, mi chiedo. Ma nel frattempo sento che il mio vicino si addormenta e anche io decido che posso assopirmi.

Di |2011-02-28T08:00:00+01:0028 Febbraio 2011|Categorie: I've Just Seen A Face|Tag: , , , |0 Commenti

Neighbours 12

Quando si abita in una via stretta, diventano vicini anche quelli che vivono due numeri civici più in là. Soprattutto se hanno la finestra della camera che dà sulla strada, e sono giovani e sguaiati (sto invecchiando, ‘mbè?).
Domenica ho lavorato, di mattina. E ho dormito poco la notte prima. Tornando a casa dalla radio avevo un solo desiderio: dormire, nonostante io non sia tipo da pennichella. Comunque, dopo pranzo mi sono messo a letto, intorno alle 14. Poco dopo, una voce inconfondibie mi ha svegliato, quella di Lady Gaga e della sua hit “Poker Face”. Una delle forme meno ispirate dell’arte umana occidentale delle contemporaneità. E i vicini che cantavano a squarciagola. Maledette siano le playlist: già, perché dopo Lady Gaga mi sono toccati Tiziano Ferro, Eros Ramazzotti e altri. Sempre in versione simil-karaoke. Mentre rimanevo inerte a subire, disteso sul letto, mi sono detto che questo è il Paese reale, altro che “compilazione degli Afterhours”, con tutto il rispetto.
A metà pomeriggio hanno finito, e io sono rimasto in stato catatonico per buona parte della giornata.
Cala il buio, e sale il sonno, che ormai è talmente enorme che ha un suo codice fiscale, SNN qualcosa. Ma fa caldo, e non riesco a dormire fino all’una passata. Quando finalmente sto per addormentarmi sento delle persone che, apparentemente, discutono per strada, proprio sotto la mia finestra. In realtà è solo perché non sono un tipo impressionabile che non penso che queste persone siano nella stanza di là, oppure appese su delle impalcature sulla facciata del mio palazzo. La discussione è animata, animatissima: colgo la musica, ma non le parole, se non a sprazzi. “Ci sono delle regole, e vanno rispettate”, “Questa è disonestà pura”, “Che strategia imbarazzante hai usato”. Sono loro, i miei vicini, e probabilmente stanno discutendo di politica internazionale, di strategie geoeconomiche, dei risultati del G8. Ma poi, una frase che sento distintamente mi fa comprendere la tremenda verità. “Ma scusa, il colore viene prima o dopo la scala reale?”. I deficienti stanno giocando a poker, ma con una tale animosità che pare siano su un tavolo verde alla Fiera del Bestiame di Pizzighettone, nel momento dell’asta dei tori da monta. Vanno avanti così per un paio d’ore, urlando punti e puntate e, orrore!, riproducendo i toni dei commentatori delle partite di poker alla televisione (che non ho mai visto, ma da quello che ho capito hanno bizzarramente riciclato dei giornalisti che si occupavano di wrestling, dal tono che usano).
E ripenso al Paese reale, prima di addormentarmi, finalmente, con un ultimo pensiero: se nel pomeriggio ascoltavano quella canzone di Lady Gaga e poi di sera giocavano urlando a poker, spero che la prossima volta, in controtendenza, rimangano affascinati da “Bridge over Troubled Water” e vadano a giocare a carte su un fiume.

Neighbours 11

In realtà questo nuovo (e inaspettato) capitolo della saga che racconta le vicende dei miei vicini di casa, è uno spinoff dell’episodio numero nove, perché la protagonista è la stessa.
Caratteristica della mia vicina di casa è che la incontro sempre quando sono di fretta, e lei ha voglia di chiacchierare. Specifico: io, a dire la verità, sono sempre di fretta, e lei ha semprevoglia di chiacchierare. Quando è da sola, parla al telefono. Tantissimo, a voce altissima. D’inverno, chi se ne frega. D’estate, con le finestre aperte, capirete…Comunque, scendo trafelato le scale di casa, dopo avere mangiato qualcosa per pranzo. Un gradino dopo l’altro mi chiedo se quello che ho ingurgitato nei sei fantozziani secondi che posso concedermi tra il lavoro della mattina e quello del pomeriggio sia effettivamente commestibile. Poi mi domando  se, qualunque cosa esso sia, io l’abbia scartato. Passo velocemente la lingua in bocca, non sento traccia di cellophane, e… E lei è lì, davanti al portone del palazzo, apparentemente immobile.
– Ciao Francesco, come va?
– Ciao… Eh, – dico io ansimando – di fretta.
Ma queste parole hanno su di lei l’effetto di un granello di sabbia nel deserto. E la vicina inizia a parlarmi dei cazzi suoi. No, perché poi forse lei lo sa che, essendo inverno, non sento le sue telefonate, e quindi non sono mica aggiornato sulla sua vita. E infatti…
– L’hai sentita la mia cagnetta?
– No – dico io. Del resto è inverno, le finestre sono chiuse. Mi chiedo se la cagnetta, d’estate, farà delle interurbane. Semmai, internazionali, visto che…
– È uno Yorkshire Terrier, piccola così, e ha sempre voglia di giocare…
Il tempo scorre veloce, ma solo per me.
– È un cane piccolo – continua lei, e io capisco che non do l’idea di essere Piero Angela, ma so cos’è uno Yorkshire Terrier. – Pesa poco più di un chilo, ma arriva al massimo a un chilo e sei.
Ecco, alla quantificazione del peso massimo di un essere vivente, io vengo preso dallo sconforto, come se tutto fosse già disegnato, previsto, predetto. Mi immagino Dio che dice: “E questo lo chiamiamo Yorkshire Terrier, ecco, gli mettiamo dei peli qua, dei peli là… Massimo un chilo e sei, eh, che se no non ci stiamo coi conti. Segna.” E se uno Yorkshire Terrier volesse ingrassare fino ai cinque, dieci, mille chili? Non può? Posso prendermela con il Papa, in ogni caso?
Ma la vicina continua.
– Me l’hanno regalato i miei figli per Natale… Ma capisce tutto, anche se è piccolo…
Aridaje, sembra che voglia giustificarlo. Io, intanto, affascinato dalla Licia Colò del piano di sotto, sto perdendo secondi preziosi e autobus, insieme. Di colpo, l’illuminazione: non ho aperto bocca, ma so cosa dire per stroncare la conversazione, ho la frase. Ma la vicina, che ha un master in loquela, mi anticipa.
– Insomma, è un topo.
– Sì – dico io. Sposto il peso in avanti. – Be’, devo proprio andare.Dentro di me penso, mentre salgo sull’autobus: “Un chilo e sei.”
Di |2009-02-19T00:21:00+01:0019 Febbraio 2009|Categorie: I've Just Seen A Face|Tag: , , , , |1 Commento

Neighbours 10

Immaginatevi una calda e silenziosa mattina d’estate. Una stradina piccola piccola, con dei palazzi vecchi vecchi, e della musica che si diffonde nell’aere. Oh, ma chi sarà che accarezza sì soavemente questo violino alle 10 del mattino? E le note rimbalzano allegre e garrule tra i muri delle case, e si infilano (con un filotto perfetto) nelle orecchie dormienti di chi scrive queste righe, trapassandole, e riducendo il malcapitato (me) alla nevrosi.
Mi piace dormire quando sono in vacanza, in ferie, quando non devo alzarmi presto, cosa che accade cinque e a volte anche sei giorni su sette. Mi piace anche la musica, che discorsi, ma a comando.
Il violinista, invece, sa che deve provare i fortissimo delle varie composizioni di Bach, Vivaldi, Corelli e altri, esattamente nelle mattine in cui posso dormire.
In particolare, sa che deve darci dentro quando sono distrutto. Per esempio quando torno alle 4 del mattino dalle vacanze dopo un viaggio durato tredici ore.
Alle 10 del mattino del 19 agosto (come ha fatto del resto per tutta l’estate), il violinista attacca il suo studio, e io mi sveglio. Tachicardico, perfettamente a tempo con lui.
Il violinista a volte è intonato, a volte meno (non lo biasimo: io ho suonato quello stesso strumento per otto anni, prima di capitolare). Indovinate quando lo è meno?
Insomma, mi metto i tappi, niente. Decido di alzarmi e, finalmente, di dirgli qualcosa. Con gli occhi iniettati di sangue, esco di casa, vado al numero civico a fianco, mi pongo come un cavaliere medievale sotto la sua finestra e lo chiamo. Niente. Guardo i nomi sui citofoni del palazzo: sono tre. Nessuno di loro è “Violinista”, quindi li suono tutti e tre. Fanculo.
Di colpo, silenzio. Sento solo il suo metronomo. Si affaccia alla finestra un ragazzo belloccio: occhi azzurri, moro. Non mi dice neanche “Sì”, o “Prego”. Mi guarda. E vedo subito la sua gran faccia da culo, nascosta dai ricci.
– No, scusa – dico io. – Potresti gentilmente chiudere le finestre, quando suoni? (Evito di dirgli che stavo dormendo, il discorso non cambia.)
Lui mi guarda come se gli avessi chiesto la madre in prestito per una porno crociera e gli avessi anche estorto dei soldi.
– E come?
Io, pronto a tutto, mimo il gesto di uno che chiude le finestre.
– Ma questo è un orario consentito – fa lui, e aggiunge con uno sguardo “Cazzo vuoi?”
Quello che vorrei, in quel momento, è fargli ingoiare il violino, pezzo per pezzo.
– Sì, lo so, ma…
– Fa caldo! Come faccio a studiare! Chiuditi tu le tue finestre!
A quel punto, desisto. Perché vorrei strangolarlo con le corde. Tutte e quattro.
Torna dentro e ricomincia.
Raramente ho provato tanto odio per una persona. Cioè, io ho sempre suonato in casa, e lo faccio tuttora. Non si è mai lamentato nessuno, ma se succedesse, chiuderei le finestre.
E adesso, la maledizione dovuta alla maleducazione.

Che tu possa, durante il concerto più importante della tua vita, arrivare al momento della cadenza. E siccome per preparare questo concerto hai perso affetti, affitto, e sei ormai affatto solo (nell’assolo), tu abbia – in cuor tuo – riposto tutto nel concerto e in quel momento che attendono tutti. Che tu possa iniziare la cadenza. Prime note, tutto bene. Anche le seconde. Ma poi, nell’unica pausa della tua barocchissima interpretazione, ti possa scappare un peto, fragoroso. E immediatamente dopo, che il mi cantino del tuo violino si spezzi, schiaffeggiandoti una guancia e impigliandosi ai ricci e ti costringa a rimanere là, impalato sul palco, a metà cadenza, da solo, senza assolo. Che tu la notte possa andare a casa, distrutto, prendere finalmente sonno alle cinque del mattino, pensando alla tua vita affettivamente ed effettivamente finita. E che tu possa essere svegliato, pochissime ore dopo, dal tuo nuovo vicino. Un violinista che suona quello stesso concerto molto meglio di te. Perché lui studia sempre.

Neighbours 9 – New Year's Edition

Nella nuova casa, nella quale abito da sei mesi, non mi sono mai preoccupato dei vicini. Nel senso che non ho mai avuto problemi di alcun tipo. Ho suonato spesso il piano, quasi ogni giorno, ad ore decenti, e anzi, ho ricevuto solo apprezzamenti. Un po’ di cortesia, ma insomma, si mettono sempre in saccoccia.
Per la mia intima festa del 31, quindi, non mi sono posto il dubbio di dare fastidio. “Non suonerò il piano, e poi è l’ultimo dell’anno”, ho pensato mentre preparavo con l’amico M. un bel cd di mp3 che avrebbe accompagnato le danze. E infatti a mezzanotte (più o meno, chiaro) le danze sono partite. E sono arrivate anche altre persone. Tutti a ballare il Disco Samba, capolavori come “Bette Davis Eyes” e robaccia del genere. All’una e trenta la modalità random ha scelto “Everybody Needs Somebody to Love” dei Blues Brothers, e la mia vicina ha deciso che non ne poteva più. Mi arriva una telefonata sul cellulare da un numero che non conosco.
“Francesco, buon anno, eh, auguri, sono la vicina di sotto. Insomma, tanti auguri, buon 2007, però la musica che arriva nel pozzo luce è insopportabile. Però auguri.” Riesco a capire che non si tratta della scelta della musica (se no le lamentele sarebbero arrivate su “I’ve had the time of my life”, quanto meno), ma del volume. Quindi mi sono trovato costretto a smorzare tutto.
“Mi è arrivata una telefonata dalla vicina del piano di sotto”, ho detto. “Mi dispiace, basta musica della discoteca, metto Vivaldi”.
La gente che c’era ha capito che non scherzavo quando ho chiuso le finestre e nella stanza si sono diffuse le note delle “Quattro stagioni”.
Dopo i lapalissiani commenti del tipo “E vabbè, però è l’una e mezzo, è Capodanno”, eccetera, abbiamo trovato una soluzione e abbiamo ballato con la musica bassa fino alle quattro del mattino, senza che nessuno si lamentasse. Uno a zero per i giovani.

Ma è l’epilogo quello che mi ha sorpreso. Alle undici e mezzo del mattino mi arriva un messaggio dalla vicina. “Ancora tanti auguri e buon anno. E scusa per ieri notte.”
Sono rimasto di sasso. Lei che chiede scusa a me? Mi è sembrato comunque un gesto carino. Quest’anno inizia nel segno dell’ammore. E del ballo silenzioso, ovviamente. Ancora buon 2007 a tutti.

Neighbours 8 – Sneak Preview

Ancora non mi sono trasferito nella nuova casa, questione di giorni. Ma, come immaginerete, sono spesso lì per fare lavori, lavoretti, stucchi, affreschi, trompe l’oeil… Vabbè: sono lì per montare mobili Ikea, e basta. Cuore di truciolato.
Ho passato in questo modo anche il giorno del mio compleanno (venerdì: grazie, sì, ho espresso il desiderio, ma che carin*, non dovevi), giorno scelto dal fato per il recapito a casa mia di elettrodomestici e di un armadio di tre metri per due. Che è stato montato da due omini prezzolati. Omini prezzolati che, come da accordo, non solo hanno montato il bestione (frase che scritta così ha un sentore di zoofilia snuff), ma hanno anche eliminato i vari imballaggi, portandoli via con loro.
E si sono portati via anche un cartone che sembrava vuoto, ma in realtà conteneva istruzioni e viti di un pezzo che dovevo montare io. Ho realizzato la cosa troppo tardi, e ho pensato che avevo un’unica possibilità per non tornare in quel posto maledetto alle porte di Bologna, e mi sono precipitato giù dalle scale.
Sulle scale ho incontrato una graziosa vecchietta che, come tutte le graziose vecchiette, quando sentono un giovane che avanza alle loro spalle, anche se zoppo, in sedia a rotelle, sciancato o tutt’e tre le cose, si mettono di lato come se stessero passeggiando lungo l’Autosole nel pomeriggio del 14 agosto. “Vada, vada, che lei è giovane, e io sono lenta.” Trascuro lo scarto logico tra le due opposizioni, penso che alla fine qua, 9 giugno dopo 9 giugno, iniziamo a vedere la terza decina, e mi comporto da perfetto vicino. Forse troppo, nel senso che, dieci minuti dopo che mi sono presentato già mi dice che mi tratterà come suo nipote e mi carezza il viso (giuro). E poi iniziano i guai. Sempre fermi sulle scale, mi informa che:
– in quel palazzo ci sono continuamente dei furti;
– sono previste grosse spese per rifare questo e quello.
Inizio ad essere preso da un vago senso di ansia, e sono tentato di chiedere alcune delle pastiglie che sicuramente la signora tiene nella borsa. Glisso, e intanto arriviamo al portone. Lei mi carezza ancora, mi chiama per nome, mi dice “chebelgiovine” (che sa un po’ di gerontofilia snuff).
Ma io ho una missione da compiere.
“Mi scusi signora, devo fare una cosa”, dico, e con gesto atletico mi sporgo nel cassonetto sotto casa e inizio a ravanare nella monnezza, per cercare l’imballaggio perduto.

Epilogo. Alla fine l’ho trovato. E quindi la mia dose di culo per il 2006 l’ho usata tutta. In un cassonetto.
Il secondo tragico epilogo. Delle orrende spese di cui sopra si discuterà nella prossima riunione di condominio. La prima riunione di condominio della mia vita.
Stasera.
Alle 21.
In perfetta contemporanea con Italia – Ghana.

Neighbours 6 – Compagni che sbagliano

Ne è passato di tempo dall’ultima puntata, eh. E ne sono passate di case. Beh, prima di lasciare – tra poco – questa in cui vivo, non potevo non darvi ragguaglio del mio vicino di casa.
Ho intuito la presenza di un essere umano nell’appartamento accanto in maniera decisamente sottile: sono stato svegliato una mattina da “La Locomotiva” di Guccini sparata a palla. Il che è sempre meglio che essere svegliati da “Faccetta nera”, anche se il mio sogno sarebbe quello di essere svegliato da Tori Amos che mi canticchia nell’orecchio. Se proprio devo essere svegliato.
Insomma, il vicino non si accontentava, però, di farmi ascoltare un cd, no. Ci suonava e cantava sopra. Dopo ripetuti ascolti mi sono reso conto che era la versione dei Modena City Ramblers. E ho capito che si trattava di una situazione pericolosa: eh già, perché ci si può invasare (nel dumilasèi) dei Modena City Ramblers solo in tre casi:
1. quando si ha un’età compresa nella fascia teenageriale;
2. quando si è uno dei Modena City Ramblers;
3. quando si è il risultato di un esperimento di congelamento del corpo, iniziato intorno all’aprile del 1994, e finito, evidentemente dodici anni dopo.
Peraltro mi rendo conto che queste tre opzioni potrebbero essere combinate tra loro, ma evitiamo i cattivi pensieri.
Alla settantesima volta in un fine settimana che si sente “La Locomotiva”, girano le palle anche a tutti, probabilmente anche a Guccini. Che poi, cantare, con tanto di chitarra, canti rivoluzionari da soli è un triste segno dei tempi. Dopo l’incazzatura, quindi, avrei voluto organizzare per il compagno-vicino quanto meno una manifestazione di quartiere, di palazzo, di pianerottolo, qualsiasi cosa per farlo sfogare e per riavvicinarlo al suo habitat.
Ma lui mi ha preceduto: adesso non ascolta (suona-e-canta) solo “La Locomotiva”, ma tutto il primo disco dei Modena City Ramblers, Riportando tutto a casa, a.d. 1994, con particolare enfasi (ma che ve lo dico a ffà) su “Contessa”.
Anche il vicino, insomma, vuole il figlio dottore.

Neighbours 6

Qualche notte fa sono stato svegliato da un rumore strano. Mezzo addormentato ho pensato: “Un pianto. Un forte pianto. Che succede?”. Mi sono tirato su sul letto, e ho capito che quello non era un pianto, ma un gemito proveniente dall’ultimo piano. Un po’ sorridendo, un po’ incazzato perché svegliato ancora una volta dagli amplessi dei miei vicini di casa, mi sono addormentato. Non prima di avere sentito distintamente i due orgasmi, separati. “Abbattiamo il mito dell’orgasmo simultaneo”, ho pensato, rifiutando di partecipare in alcun modo al loro piacere da lontano.
Il giorno dopo, verso l’ora di pranzo, ero nella mia stanza che controllavo la posta elettronica. Dall’ultimo piano provengono delle urla, ma di tipo diverso. Una voce femminile dice, lamentandosi: “Ma mi avevi promesso che avrei lavorato con te anche l’anno prossimo” (per evitare facili incomprensioni: il vicino dell’ultimo piano fa il barista, e anche che le sue partner occasionali: portarsi il lavoro a casa. Bah.). Silenzio. Ancora silenzio. Io tendo l’orecchio.
“E NON MI TOCCARE, CAZZO!”, urla lei.
Ancora silenzio, poi una risatina maschile. Una porta sbattuta. E poi della musica tamarra, sparata a palla.

La musica. Il vero problema del vicino dell’ultimo piano è la musica che ascolta. Stamattina mi ha svegliato verso le dieci. Il problema, ripeto, non è l’ora, ma la musica. Io non so dove prenda i dischi che ascolta, ma vi dico che Los Cuarenta, in confronto, potrebbe essere definita una raffinata collezione di musica da camera.
Stamattina il vicino dell’ultimo piano ha ascoltato una canzone sola, cantata in inglese da un uomo che non conosco. Intendiamoci: dopo averla ascoltata una volta ho pensato di regalargli tutti i dischi di Michael Bolton, meno dannoso. Solo che, ad un certo punto, completamente fuori ritmo, fuori dalla melodia, fuori da tutto, il vicino barista ha urlato uno straziante “Goodbye”. E basta. Ha spento lo stereo. Quest’uomo sta soffrendo. E, di riflesso, frantuma anche le mie, di palle. Aiutatelo, aiutatemi.

Di |2004-07-05T13:13:00+02:005 Luglio 2004|Categorie: I've Just Seen A Face|Tag: , , , , |9 Commenti
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