In(dig)nazione

La vera impotenza, secondo me, c’è quando non si riesce, metaforicamente, ad arrestare o a controllare la più bastarda delle dimensioni: il tempo. Mi spiego.
Se devo risalire, dal punto di vista temporale, appunto, all’inizio, a quando ho sentito per la prima volta il sentimento misto di schifo e paura che governa spesso la mia vita, mi trovo in difficoltà. Uno a zero per il tempo. Il 1994? Forse. Ma la “scesa in campo” non è abbastanza. Per capire, allora, mi attacco ad un libro che ho appena letto, Teledittatura, opinabile, forse, per alcuni meccanicismi e per uno sguardo troppo immediatamente rivolto a teorizzazioni che si rifanno alla Scuola di Francoforte, ma prezioso per le cronologie che contiene. Se il 1994 segna uno scarto forte tra il prima (gli affari) e il dopo (la vita politica, chiamiamola così), è dall’inizio che il nostro si è appoggiato alla politica, e questa non è una novità, per consolidare i suoi affari. L’hanno fatto in molti, si dirà. Sì, ma lui, ammettiamolo, è stato molto più efficace di altri.
Prendiamo allora il 1976: due anni prima della mia nascita tutto (molto) era già stabilito. Dal “Piano di rinascita democratica”, alle prime campagne elettorali sulla piccola Telemilano, a favore della destra DC e dei socialisti craxiani.
Saltiamo in avanti di vent’anni, cercando di distrarre il nostro avversario, il tempo, con un tunnel, temporale ovviamente. Si credeva che tutto fosse finito. E invece no. Perché, quando si sarebbe dovuto fare qualcosa, non lo si è fatto, mantenendo in vita uno stato di illegalità che c’è ancora adesso.
Immaginate una macchina parcheggiata in un posto dove non dovrebbe stare. Nonostante le multe, la macchina non si sposta. E, ancora più grave, non viene spostata.
Stiamo arrivando a tracciare le linee di parcheggio ad hoc intorno alla macchina. Dove non c’era un parcheggio, adesso c’è.
Le strisce sono praticamente tracciate. Protestare, ormai, è tardi.
Due a zero per il tempo.
Due, come gli anni passati senza satira in televisione: lo ricorda molto bene Gabriele. La satira di cui parla la Guzzanti in Viva Zapatero!. Non stiamo parlando di stragi, omicidi, calunnie. Direi anche di furti, ma ormai… Stiamo parlando di satira, qualcosa che c’è da sempre e ovunque, e in termini ben più pesanti che da noi, anche nella vituperata America (da noi, per esempio, sarebbe possibile fare un “sito civetta” del governo come questo?). Bene: guardiamoci indietro, e vediamo due anni, cento settimane, settecento giorni senza satira. Quei due anni, ormai, sono andati.
Tre a zero.
E quando avevano cancellato Raiot? Tutti in piazza, nei teatri, solidarietà, movimento e movimentismo. Tanta indignazione. “Siamo indignati”, dicevamo. Oh. “E’ indegno che…” Sì, cazzo, siamo indignati! E poi?
Non mi ricordo quando tutto è finito, non mi ricordo perché è finito, perché non si andava più nei teatri, perché non si manifestava più. Sarà stato l’arrivo dell’estate, non ricordo, ma ormai è andata.
Quattro a zero.
Nel frattempo passano le leggi, e ci mancherebbe, no, se uno andasse a discutere il lavoro del Parlamento… Però passano le leggi che ci facevano orrore, per le quali abbiamo fatto marce e girotondi, e che vanno a toccare le basi dell’ordinamento: giustizia, fisco, codice penale. Anzi, molte di queste leggi sono già passate.
Cinque a zero.

“No, non vedo il rischio di una dittatura vera e propria, vedo però il rischio di un regime a libertà fortemente limitata, conforme agli interessi economici, istituzionali e culturali del partito-azienda e dei suoi alleati, con conseguenze reversibili solo con enormi difficoltà e in tempi non brevi (…).” (Paolo Sylos Labini, “Il Cavaliere ineleggibile e il D’Alema smemorato”, in Micromega dicembre 2000)

Sei a zero.

Cappotto.