Ultimamente mi capita spesso di sentire usare questa parola da persone vicine e lontane, con le quali parlo, mi scrivo, scambio pareri. Mi capita spesso. Ovviamente non si tratta di reumatismi, né di ossa rotte e ferite, se non in senso metaforico.
Si parla, insomma, di dolori d’amore, o emotivi in genere. Il dolore invade il mondo.
Mettiamo delle cose in chiaro: ho estremo rispetto per il dolore altrui, e in genere per i sentimenti altrui. Una sorta di pudore. Per cui penso che ogni dolore sia a sé stante, che ogni dolore sia irripetibile e non paragonabile agli altri. Altra cosa: personalmente ho avuto una vita emotiva e sentimentale normale, nella media (sempre che esista una media del dolore). Ho vissuto molto intensamente, e ne sono contento, e ne ho prese di mazzate. L’ultima, lo dico, è stata veramente pesante. Quasi pirotecnica. Ma anche le mazzate, secondo me, servono, alla fine.
Non sto facendo discorsi ottimistici, non mi sento un ottimista. Guardo le cose e le persone che mi circondano e me stesso. E traggo delle conclusioni, ovviamente soggettive, personali e provvisorie.
Sento sempre più spesso parlare di dolore, metaforizzato in vari modi, e rispetto il dolore del prossimo. Però…
Pensate a questo: due persone ferite, spaventate dalla vita, dal dolore possibile, rimangono distanti, non si avvicinano, perché hanno paura. Paura poi di stare male. Nonostante – e questo è il bello – si piacciano, seppure in maniera superficiale, seppure solo istintivamente. E rimangono a guardarsi da lontano.
È una visione che mi atterrisce. Non credo all’anima gemella (e tutto il discorso che sto facendo non è personale, no), però credo (in negativo) alle possibili occasioni perse. E credo profondamente che valga la pena di vivere. Detta così suona molto “Viva la gente // La trovi ovunque vai”. Ma io, con “vivere”, intendo la vita tutta. Sesso, tradimenti, amore, sofferenze, gioia, disperazione, tristezza. Tutto.
Abbiamo sofferto (uso un plurale ecumenico). E/Ma siamo qui. Vivi. Ovvio che non vogliamo, o non vorremmo, soffrire ancora.
Ma per me il gioco vale comunque la candela. Soprattutto quando si tratta d’amor (senza la “e”).
È aperto il dibattito.
Queste forse banali riflessioni nascono anche da un bellissimo scambio di messaggi che ho avuto con il mio amico M., ultimamente pendolare da Piacenza a Milano. Mi dice che sull’interregionale per Bologna delle 1850 c’è sempre qualcuno che piange. E aggiunge: “C’è una concentrazione di infelicità su questo treno mostruosa, trovo qualcuno che piange tutti i giorni. Non c’è tempo per pensare a sé se non in treno”.
Sai cosa? Non è cercare di scantonare il dolore, è acquisire voglia di crescere. Crescere significa costruire. E significa vivere nel presente. Non è scantonare il dolore, è smettere di scappare di liana in liana e affrontare, per una buona volta, quello che hai davanti. Mi deprime il fatto che non ci siano commenti a questo post. Meriterebbe delle riflessioni. Io non ho riflettuto, ho semplicemente, teneramente sorriso leggendolo. Oh, che figata: abbiamo tutti e due il poster di Abbey Road in camera: non ci posso credere.
Ma è davvero possibile scegliere di “non vivere”? Si può davvero scegliere di scappare davanti alle passioni? (tutte). Non sono convinta. O forse sono troppo ottimista. O cretina. Sil.
Si, Sil, e’ possibile scegliere di non vivere, di non provare le emozioni, di non scoprire la persona che hai di fronte… per paura. Non mi e’ mai capitato, e probabilmente visto il mio carattere, non mi tirero’ mai indietro, ma ne ho incontrate di persone cosi’. La cosa terribile che questi uomini e donne (ma vista la mia esperienza, piu’ che altro uomini), per proteggersi ti feriscono, ti colpiscono allo stomaco, e riescono a colpirti dove piu’ fa male, quasi sapessero che li, in quell piccolo centimetro quadrato di te, sei debole.
Ultimamente ne ho subite di fughe, tante. Ti avvicini a qualcuno, ci si piace, si sta bene insieme, poi catastrofe, inspiegabile… A volte mi sono chiesta se sono io a non riuscire a capire, a decifrare i segnali dell’altro, a illudermi. Possibile, ma mi rendo sempre piu’ conto che si ha paura di innamorarsi, con tutto quello che comporta.
Perche’ non e’ tutto piu’ facile, senza masturbazioni mentali, specie all’inizio, quando sarebbe meglio vivere le situazioni, le emozioni, le persone? C’e’ una sola consolazione per quelli che non si tirano indietro: ogni volta, ci si fa piu’ forti, e chiusa la porta, si e’ di nuovo in piedi e pronti a ripartire… perche’ si sa che ne vale comunque la pena…. Solo due giorni fa ho bagnato di lacrime il tram che mi portava casa, di nuovo sola… F.
quando capita in autostrada è ancora peggio. Tutti in coda, qualcuno piange e tu come fai a passare un fazzoletto?
Sul mantenere le distanze verso una storia d’amore, ci sono passata anche io molto tempo fa. Ripensandoci a posteriori, direi che il mio caso era un’esorcizzazione della paura di prendere un’altra mazzata; alla fine quando ho incontrato chi mi faceva battere forte il cuore, questa paura è sparita. Secondo me, ci sono alcuni che a forza di teorizzare sul fatto della paura del soffrire, e ne conosco alcuni, finiscono per crederci veramente. In sintesi: riflettere troppo sulle faccende d’amore, non puo’ che far male;-)
sentire, vivere, mettere un po’ in ordine quello che si ha dentro e poi ributtarsi nella vita in un vortice di io, tu, noi. Boh. anche io sento che il pensare troppo sia inutile… dire il dolore è molto difficile.
Dovrò prendere quel treno, dalle situazioni tristi ho sempre assorbito il meglio per la rinascita.
Ultimamente non ho visto Uomini “scappare davanti all’amore”: ho visto parecchi cretini comportarsi da tali, ho visto persone superficiali spacciarsi per filosofi, ho visto gente vuota che cerca di riempirsi con l’energia altrui. La mia domanda, F, era: se è vera passione, vero amor (copio!), vera emozione… che potere hanno cervello e paura?
Per quanto riguarda me, sempre pochissimo. Niente, praticamente: ogni volta ci ricasco, e ogni volta sono felice di cadere. E il dolore… beh… si impara a dargli la buonanotte, ogni sera. Sil.
D’accordissimo Sil, hai ragione, ci sono anche persone cosi’… forse quando dicono che hanno paura di innamorarsi, prendono solo per il culo (passamela…) quelli/e come noi, che ci credono all’amor… Il mio cervello e’ in linea direttta con il cuore, il collegamento non si interrompe mai, forse sta qui il problema… e anche io, ci ricasco sempre.. F.
hmmh….F mi ha rubato le parole dalla tastiera,condivido tutto ciò che dice ma mi chiedo:
assecondare la fuga di chi ha paura di amare o fare qualcosa per evitarlo?cioè,ho il diritto di insistere e fargli capire che vale la pena rischiare? S.
Ma cosa si “rischia”? Di voler bene e non essere ricambiati? Un “no”? Una telefonata che non arriva?
E allora? Può davvero bastare questa (misera) paura a farci venire l’anoressia sentimentale? Più ci penso, e più mi sembra decisamente peggio non “rischiare”: che squallore, il vuoto! Sil.
Caro Fra(tello/ncesco), il dolore. Già. Sono vere molte delle cose che dici. La cosa che fa più impressione è pensare a quanto dolore diffuso ci circondi, a quanto questo dolore sia in fondo dolore quotidiano, comune, un po’ come l’aria, o la pioggia. Le pene d’amore si diceva un tempo. Quando ci siamo dentro stiamo male come delle bestie. E come questo dolore scompaia o sembri davvero poca cosa di fronte al dolore vero, quello profondo, quello che ti strappa le viscere, il dolore della morte. Credo ci sia una grande differenza tra il dolore della vita e quello della morte. Il dolore d’amore è vitale, è attraversato da eventi, da contrasti, da recriminazioni, rimpianti, accuse, risentimenti. Spesso si dice, di una persona che non vogliamo più vedere per me è come se fosse morta. Ma il come se fa una differenza abissale. La morte ti pone davanti al nulla ineluttabile. Nessuna azione, atto, pensiero, può cambiare le cose.
Quando una persona che ti è vicina muore gli altri dolori diventano quasi carezze lontane. Poi ti abitui, ritorni a sorridere alla vita. E a soffrire per amore, a volte. E ad avere paura di piccole cose.
Chiedo scusa per l’errore di tag html. 🙂
conosco entrambi i tipi di dolore e quello di cui parli tu,martino,è uno strappo all’anima indelebile,così intimo che non credo debba essere “pubblicato”.si parlava di pene d’amore ben consapevoli che esistono dolori più devastanti e definitivi. S.
Accetto il rimbrotto, anonimo. Ma la protezione dell’intimità si confone spesso con il tabù. E guardare in faccia i tabù con serenità, alle volte, è buona cosa. E chi mi conosce sa che le mie parole non erano supponenti. Ma amichevolmente comprensive e complici.
mi dispiace che tu mi abbia frainteso:non era un rimprovero.no,no.ma solo una personalissima opinione.tabù? naaa,solo gelosissima della mia intimità.guardare in faccia i tabù con serenità è sempre una buona cosa! S.
Percepire il dolore é percepire la vita nel suo inevitabile paradosso.
V.
ho provato mille sfumature di dolore, dal tragico al sottile. il dolore purifica, allontana, stordisce, rafforza e indebolisce. dicono che si possa imparare qualcosa, se si sopravvive.
Can do you no harm if you feel your own pain.
Sai di chi è, no? 🙂 seee, lo sai…
Quello che volevo dire è che il dolore non è qualcosa di quantificabile nè tantomeno classificabile. Nessuno può riuscire ad entrare nel dolore di un’altra persona. Si vivono esperienze simili, tragiche o meno, ma non si reagisce mai alla stessa maniera, non siamo tutti uguali. Si soffre per la morte di qualcuno, per la perdita dell’amore, per un’unghia rotta…ma chi può stabilire se sia più o meno lecito stare male, in quel preciso modo, per un determinato motivo?…il resto l’ho già detto in altra sede, direttamente allo scrittore del post:)
E se il dolore che si prova fosse la misura della nostra volontà, del nostro desiderio di amare ed essere amati? Vederlo in questo modo non lo renderebbe “più sopportabile”? Mah! Dubbi che possono venire solo in una domenica triste come questa. Sil.
Grazie, non pensavo di scatenare tutto questo. Qua sotto ci sono scritte cose bellissime e complesse. Le leggerò con calma. Magari ne riparliamo.Un abbraccio.