Archivi mensili: Luglio 2024

Dagli archivi: John Garcia – ST

John Garcia – John Garcia (Napalm Records), 25 luglio 2014

7

Ho ascoltato John Garcia nell’ora più afosa di una delle giornate più infuocate di giugno, amplificando l’effetto del disco stesso. Fin dalla traccia di apertura “My Mind”, infatti, l’inconfondibile voce dell’ex-Kyuss (ma anche Unida, Hermano, Slo Burn, fino all’ultima incarnazione Vista Chino) mette addosso il caldo soffocante, massiccio e allo stesso tempo rassicurante del deserto statunitense. Luoghi che, a dire il vero, non ho mai visto, ma che ormai associo a certi suoni di chitarra e, appunto, al timbro vocale di Garcia sin da quando ho sentito per la prima volta Welcome to Sky Valley, vent’anni fa.

Potrebbe sembrare noioso parlare ancora dei Kyuss, ma per quanto nel disco ci siano tentativi di addentrarsi più decisamente in territori blues (“The Blvd.” e soprattutto “Confusion”, per sola chitarra) e l’inaspettata sei corde pulita di Robby Krieger dei Doors nella conclusiva “Her Bullets Energy”, Garcia e soci (Danko Jones, Tom Brayton, Mark Diamond e, uh!, Nick Oliveri) battono ancora (bene) i sentieri tracciati agli inizi degli anni ’90. Per chi le ha amate, percorrere quelle strade è una piacevolissima e torrida avventura ancora oggi. Chi, invece, non le ha mai potute sopportare, be’, continuerà a lamentarsi del caldo, del sole accecante e della sabbia nelle scarpe, mentre noi faremo su e giù con la testa, felici e sballati.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di settembre 2014 de Il Mucchio Selvaggio

Dagli archivi: To Rococo Rot – Instrument

To Rococo Rot – Instrument (City Slang), 21 luglio 2014

8,5

Altri ascolti raccomandati
To Rococo Rot – The Amateur View
Arto Lindsay – Encyclopedia of Arto
The Notwist – Neon Golden

La mutua ammirazione tra Arto Lindsay e la band strumentale tedesca nasce qualche anno fa: il musicista rimane colpito dal primo live newyorkese del trio al punto di scrivere, qualche tempo dopo, un elogio dei To Rococo Rot sull’edizione tedesca di Electronic Beats, in occasione della ristampa di Veiculo, The Amateur View e Music is a Hungry Ghost, lodando l’approccio sperimentale del gruppo.

E, quattro anni dopo Speculation, la band chiede a Lindsay di suonare e cantare nel nuovo album: la richiesta è di lavorare insieme esclusivamente in studio, al momento, creando le melodie da zero. Un azzardo, certo, ma è impressionante quanto il contributo di Lindsay si amalgami dolcemente con i luoghi sonori creati da Robert Lippok alla chitarra e elettronica, dal fratello Ronald alla batteria e da Stefan Schneider al basso.

“Many Descriptions”, la traccia di apertura, è sintomatica del proverbiale (e spesso mancato) equilibrio tra riconoscibilità e innovazione, chimera di tanti, sul quale si regge tutto Instrument. Perché è come se la voce e la chitarra di Lindsay fossero una sorta di tassello mancante: qualcosa che dà ancora più forza ai brani, pur preservandone la paternità. Il musicista tuttavia non può essere considerato solo uno special guest: basti pensare a come, nel finale di “Classify”, il suo cantato si spezzetti in sillabe e sussurri diventando un effetto nelle mani di Robert Lippok, o alla conclusiva “Longest Escalator in the World”, dove la sua chitarra porta l’ascoltatore a vette davvero toccanti.

Tuttavia anche quando i tre rimangono “da soli”, Instrument procede benissimo: ci sono momenti più inaspettati e uptempo, come “Pro Model”, che sfrutta piccoli beat e sequenze digitali, e la quadratissima “Spreading the Strings”, costruita su una cadenzata e minimale melodia al pianoforte. “Down in the Traffic” e “Baritone”, dal canto loro, non ci fanno scordare la provenienza germanica del gruppo, che non è mai parso così fresco e innovativo da diversi anni a questa parte.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di settembre 2014 de Il Mucchio Selvaggio

Dagli archivi: The Acid – Liminal

The Acid – Liminal (Infectious Records), 7 luglio 2014

7

Il segreto è stato svelato dopo l’uscita dell’ep che ha preceduto questo album di debutto: ormai si sa che dietro a The Acid ci sono Ry X (alla voce, spesso sussurrata, tra il confidenziale e l’inquietante, autore di un buon ep, Berlin), Adam Freeland (quello di “We Want Your Soul”) e Steve Nalepa (professore di “music technology” e compositore lui stesso, recentemente definito da LA Weekly come “the professor of party”). Potrebbe sembrare i tre siano stati messi apposta insieme in un’operazione quasi da reality: ma la Infectious non è una major e i tempi di certo non sono adatti a trovate del genere.

Certo, la ricerca dei suoni, dei beat, la commistione à la alt-J (non a caso compagni di etichetta) di elettronica e analogica, il vocoder e l’autotune sdoganati da James Blake che ritornano… Insomma, il sospetto che si tratti di qualcosa costruito a tavolino c’è, ma c’è anche la buona musica del trio, che forse non supererà la prova del decennio, ma che per ora è qualcosa di interessante da ascoltare. La chitarra acustica si scambia con i synth nel ruolo da protagonista di alcuni brani (“RA” e “Basic Instinct”), la voce di Ry X si moltiplica in “Red” e i pezzi (spesso cupi e misteriosi) sono sporcati da rumori e ruvidezze, come in “Ghost”. Un debutto forse per gioco, che magari non avrà seguito, d’accordo: ma intanto perché non goderne?

Recensione pubblicata originariamente sul numero di luglio 2014 de Il Mucchio Selvaggio

Dagli archivi: Mark Kozelek – Live at Biko

Mark Kozelek – Live at Biko (Caldo Verde), 1 luglio 2014

Live at Biko, dal locale di Milano dove si è tenuto il 6 aprile, raccoglie quattordici tracce che provengono per lo più da Benji, ma anche da Admiral Fell Promises e da Perils from the Sea, il risultato della collaborazione di Mark Kozelek con Jimmy Lavalle. L’album live esalta la bellezza dei brani, anche quando sono interrotti sorridendo “perché non funzionano in Italia” (“I Love My Dad”), ma permette soprattutto di sentire il nostro che scherza e chiacchiera con il pubblico, lodando True Detective (a parte l’ultimo episodio) e minacciando di spaccare la faccia ai ragazzi che gli dovessero chiedere quando esce il disco in vinile. “Con le ragazze, per un po’, ci parlerei”. E poi ne cazzia un paio per avere parlato su “Dogs”. Grande, grandissimo, Kozelek.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di maggio 2014 de Il Mucchio Selvaggio

Torna in cima