Einstürzende Neubauten – LAMENT (BMG)

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“LAMENT”, ammoniscono le note del disco, è la documentazione di un’installazione-spettacolo legata ai temi della Prima Guerra Mondiale messa in scena in Belgio in questi primi giorni di novembre. Tuttavia, anche “solo” ascoltata, l’ultima pubblicazione dei tedeschi travolge da subito per la potenza espressiva: Kriegsmachinerie, “La macchina della guerra” è un fragore metallico crescente, puro rumorismo Neubauten, sì, ma anche la “corrispondenza sonora” dell’aumento di spesa per gli armamenti dei Paesi poco prima dell’inizio delle carneficine.

E che dire dei tubi in Der 1. Weltkrieg (Percussion version): suonano secondo la rappresentazione matematica dello scorrere quotidiano del primo conflitto mondiale, ritmando la voce di Blixa Bargeld che snocciola nomi e date delle entrate in guerra degli attori dell’epoca. “LAMENT”, però, non è cerebrale, né didascalico: gli Einstürzende Neubauten compongono una narrazione originale, palpitante e visibile, quasi teatrale del conflitto tramite canzoni più canoniche e rielaborando composizioni di altri.

Esempio perfetto è il nucleo centrale dell’album, da cui il lavoro prende il titolo: nella prima parte riduce all’osso il canone del “lamento”, con le due parole “Macht” e “Krieg” che si ripetono ossessivamente, per poi tornare ai rumorismi della “Spirale Discendente” della seconda parte. La conclusione è toccante: una rielaborazione di un mottetto del 16° secolo, sulla quale poggiano registrazioni d’epoca finora inedite di prigionieri di guerra che recitano, ognuno nella sua lingua, la parabola del Figliol Prodigo.

E ci sono bellissime cover di brani pre-jazz di un plotone di soldati afroamericani, del classico folk antibellico Where Are All the Flowers Gone, di un misconosciuto pezzo di cabaret dai toni pseudofuturisti che arriva dalla Lipsia del 1920 (in cui viene nominato per la prima volta “pubblicamente” Hitler)… “LAMENT” è una continua scoperta, un viaggio appassionante, complesso e stratificato; un’opera scura e sardonica che ha la forza e il coraggio di lambire i confini della riflessione storica e filosofica sulla Guerra e, quindi, sull’Uomo.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di novembre 2014 de Il Mucchio Selvaggio