Dagli archivi: The Dodos – Individ

Dagli archivi: The Dodos – Individ

The Dodos – Individ (Morr Music)

7

Al sesto disco i Dodos aumentano la posta: le percussioni di Logan Kroeber sono più variegate, massicce e incalzanti, le chitarre di Meric Long passano sovente attraverso pedali, si riproducono in loop, costruiscono strati spessi e densi. Alcuni brani del precedente Carrier avevano questa caratteristica, ma erano immersi in una generale leggerezza che abbiamo amato sin dal secondo disco del duo di San Francisco, quel Visiter che rimane tuttora la loro prova migliore. In Individ le proporzioni sono rovesciate a partire dalla lunga canzone che apre il lavoro, “Precipitation”: giochi sul pedale del volume, linee di chitarra una sull’altra, la voce di Long che raddoppia, poi un’acustica, in un crescendo lungo e sentito fino a un deciso cambio di tempo.

Si prosegue in maniera quasi marziale fino al quarto brano in scaletta. “Competition”, che insieme a “Goodbye & Endings” ha avuto il compito di anticipare l’album, è il trait d’union con il suono tipico dei Dodos: il ritmo rallenta un po’ a metà album, i suoni si semplificano. Il resto (recita il comunicato) “suona come essere all’interno di un tornado”, proprio quello che si allontanava dall’uomo raffigurato nella copertina del lavoro precedente. Qui la copertina è stracolma di colori e linee (e il tratto ricorda curiosamente quello di Fellini). Insomma, un buon disco, per quanto un lavoro di cesello avrebbe permesso risultati ancora migliori.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di gennaio 2015 de Il Mucchio Selvaggio

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