Dagli archivi: Nils Frahm – Solo
Nils Frahm – Solo (Erased Tapes)
7,5
Il primo Piano Day della storia è un’idea del musicista berlinese che ha deciso di festeggiare “fino a che il sole esploderà” l’ottantottesimo giorno dell’anno (il numero non è casuale, tanti sono i tasti del pianoforte), regalando il 29 marzo via Twitter un nuovo disco solista, l’undicesimo in dieci anni. I tre quarti d’ora dell’album sono l’estratto di nove ore di improvvisazione registrate nel gennaio 2014 su un M370, prototipo di pianoforte verticale alto più di tre metri e mezzo. E i ricavi della vendita delle copie fisiche di Solo servono a finanziare un’altra impresa del costruttore David Klavins, l’M450, che raggiunge i quattro metri e mezzo di altezza.
Frahm rimane insomma un sognatore e uno sperimentatore che tuttavia non perde mai di vista la musica: gli otto brani del disco (più placidi i primi, più incalzanti gli ultimi) proseguono la ricerca sul suono (stavolta senza elettronica) e sulla forma. Richiami impressionisti si intrecciano a momenti percussivi, la melodia talvolta si sposta dalla ribalta, lasciando lo spazio ad accordi distesi e all’ambiente. La peculiarità del pianoforte gigante è sfruttata al massimo, i microfoni ci fanno sentire scricchiolii, armonici e ogni minima variazione dinamica. E Nils Frahm, seguitando a non sbagliare un colpo, si conferma uno dei musicisti migliori dell’ultimo decennio.
Recensione pubblicata originariamente sul numero di luglio 2015 de Il Mucchio Selvaggio
“I wanted to do something that I don’t know how to do”, si sente nella traccia d’apertura del nuovo disco degli Inventions: ma Mark T. Smith (Explosions in the Sky) e Matthew Cooper (meglio conosciuto come Eluvium) sanno il fatto loro, tanto da produrre un lavoro più riuscito
Tre anni dopo Big Inner,
Basta confrontare la prima traccia del debutto del duo di Harlem con la intro di questo nuovo disco per capire che i 14 anni intercorsi tra lo splendido The Cold Vein e il fiacco Blade of the Ronin hanno decisamente cambiato le cose per Vordul Mega e Vast Aire (qui decisamente in primo piano rispetto al partner). Ciò che manca, soprattutto, è la ricerca dei suoni: nel 2001 i due raccontavano la loro NYC con distorsioni, squittii elettronici e bordoni inquietanti.