I’ve Just Seen A Face

Daniela Santanchè: il dito medio del potere – seconda parte

All’università, però, sono guai: Daniela è circondata da comunisti. E lei, per reazione, diventa una “cremina”.

I cremini stavano a Torino, come i sanbabilini a Milano: avevamo la gonna blu a pieghe, la camicia Oxford azzurra, i golfini, le prime borse firmate Chanel e Vuitton, i jeans stretti Levi’s, le scarpe Scott blu.

Incredibile come non avendo una lira si possa diventare una cremina: o Daniela Saintchanel si vestiva solo con capi taroccati? Rimane il mistero. Ma inizia a capire che è la destra quella che conta, anche se ancora non sa che è il dito medio di quella mano il vero centro di tutto.

Poi, il biografo viene rapito e sostituito di punto in bianco dal mago Horus.

Daniela ritiene di essere “una parte tipo animale, intuizione e fiuto, e per l´altra parte un tipo fortemente razionale”

E il mago Horus viene a sua volta sostituito da un’articolista di Cosmopolitan. O da un autore di The Club.

Per conquistarmi, un uomo deve farmi sentire una principessa, coccolarmi, viziarmi, ma viziarmi di modi, farmi sentire la prima del mondo, occuparsi solo di me, che vuole solo me, importante, unica. Deve farmi sentire amata. Nella conquista mi affascinano i modi, non le cose o i gioielli…

Il tutto senza soluzione di continuità. Daniela, iniziamo a parlare di politica o no?

Il primo uomo politico che mi ha conquistato è stato Ignazio La Russa, ma prima avevo già conosciuto Paolo Cirino Pomicino. (…) Ignazio, invece, l´ho conosciuto nel 1995. (…) Poi di lì abbiamo cominciato a frequentarci, siamo diventati amici, e con quest´uomo brillante, capace, molto intelligente, ho cominciato ad appassionarmi di politica…

Appassionarsi di politica con La Russa? Allora ci si può anche interessare di musica con Drupi.

Daniela, prima che una politica, è una donna, che ha conosciuto l’amore e anche il dolore che c’è quando l’amore finisce. Il suo primo matrimonio con il chirurgo plastico che le ha rifatto il naso giunge ad un termine, come abbiamo visto, ma non senza che Daniela lo faccia diventare “il chirurgo più famoso d’Italia” (sic). E peccato per la presenza ossessiva del dottor Kildare oltreoceano, se no si poteva tentare lo sbarco in America…

Ho lavorato dodici anni della mia vita (…) per le pubbliche relazioni. Facevo il campionario, gestivo gli studi e le cliniche, tenevo la contabilità, incassavo i soldi ero una che gestiva la sua azienda, la nostra era una Spa. E c´ero e non c´ero, faceva la differenza. Lui non faceva niente di questo, operava e basta.

Un chirurgo che opera e basta? Incredibile. Come un politico che si occupa solo di politica. Ma Daniela Santasubito si rifà col suo nuovo uomo, Canio.

Canio mi ha detto: come mi piacerebbe avere un figlio da te. Figuriamoci, io avevo un marito che mi portava i libri sulle patologie neonatali e mi diceva: quali figli, ma tu sei pazza, e di colpo mi trovo un uomo che parla di continuità, che crede nella famiglia, nelle cose importanti, nei figli e tutto…

Ma esattamente come il matrimonio di Daniela Santanciak sembra un film, lo è anche il modo in cui ha lasciato il marito (sì, è un flashback nel flashback nel flashback…)

“Paolo, ti devo parlare”. “Adesso? Non vedi che sto studiando?”. “Adesso si, guarda che forse per te è meglio adesso”. “Che c´è?” “Tra noi è finita, mi sono innamorata di un altro, che vuole un figlio da me. Me ne vado”. “Ma che stai dicendo?”. “Non sono fesserie. Ti lascio” Ah, va bene. Però ti chiedo solo una cosa. Potresti, prima di andare via, organizzare la festa dell´undici di agosto in Sardegna?”

La logica biografia ci fa tornare indietro (ancora!) alle aspirazioni della diciassettenne Daniela, che, intervistata durante “Viva le donne” (sì, il programma con Amanda Lear), dice di voler fare il Ministro del Tesoro.

Allora, non è che volevo fare il ministro per diventare famosa, ma per fare una cosa in cui si diventa autorevoli, senza essere un numero, e dove si arriva solo se si ha una testa… Giulio Tremonti, ad esempio, per me era un genio…

Perfetto. Continuiamo così.

fine seconda parte

Daniela Santanchè: il dito medio del potere – prima parte

Una nota iniziale. Per motivi che mi sfuggono, nella biografia on line di Daniela “terzo dito” Santanchè, espressioni come “tant’è”, “n’è” sono scritte senza apostrofo. Il che mi fa pensare che Daniela si chiami, di cognome, Santanch’è.
Tutto è copiato e incollato così comè. Ops: com’è.

Lo riconosco: io da piccola ero una peste,una ribelle, una rompiballe, se mio figlio fa a me quello che io ho fatto ai miei genitori sono rovinata.

In questo non possiamo che essere empatici: se tuo figlio fa quello che tu hai fatto a noi, siamo rovinati.

Ero una ribelle, una bambina ingombrante, fastidiosa anche nei confronti dei miei fratelli, che erano perfetti, mentre io li incitavo a reagire verso la famiglia. Insomma, mi potevano ammazzare di botte, ma io niente, se avevo un´idea non la cambiavo. Mia madre era l´addetta alle sberle, alle punizioni fisiche, mi tirava perfino i capelli, e mi stupisco ancora di averne tanti.

Ribelle, si è capito, soprattutto dal gestus, segno di ribellione per eccellenza. Fomentatrice, anche. Del resto se uno ha una madre “addetta alle sberle” si può anche capire. Daniela “Masoch” Santanchè ha avuto un’infanzia difficile, ma dei capelli sani e resistenti. Che balsamo avrà usato?

Ma il castigo peggiore era quando venivo chiusa al buio nello sgabuzzino. Ci finivo se rispondevo male, se non rispettavo apposta gli orari che mi davano, se non raccoglievo le cose da terra. Io ci morivo, ma non facevo un plissè, una piega, e tanto meno urlavo “aprite”. Mai!

Plissè? Voilà, parbleu! Francesismi che non ci saremmo mai aspettati da Danielle “le doigt” Santanque. Notate anche il “mai!” finale, che ricorda tanto certe urla di qualche decina di anni fa. “A nous!”

Dopo il liceo dissi a mio padre: vado a fare l´università a Torino, Scienze Politiche. E lui: `Allora sei una brigatista!´. Io volevo dimostrargli che ero una brava, una capace, ma quando mi ha detto che ero una brigatista, allora lì mi è crollato il mondo. Lui non voleva vedere l´evoluzione della famiglia, prima contadini, poi lui che diventa imprenditore nei trasporti… pensava fosse un gap il fatto chi io mi laureassi… ma se mio figlio domani fa più di me io sono contenta.

Daniela Santanche è esempio per tutti che i soviet più l’elettricità non fanno il comunismo, così come università a Torino più scienze politiche, incredibile, non fanno il brigatismo.
Ma Daniela, evidentemente, è fissata con suo figlio: vorrebbe che facesse di più di lei. Che ne so, un doppio dito medio, un mexican fuckoff?

Il problema di Daniela, però, risiede nel rapporto coi genitori. Sentite qua.

E neanche quando sono diventata parlamentare è andata bene: nessuno della mia famiglia è mai venuto a vedermi alla Camera.

Forse perché non trovavano la biglietteria?

I soldi, i soldi sono un problema anche per Daniela, che all’università, come molti, non ha una lira. Vive a cappuccini e brioche per mesi, ma i soldi mancano, mancano, mancano. Allora deve fare dei lavoretti: intreccia perline (molto freak), lavora come cameriera al bar “Patria” (ecco, questo è meno freak), fa la modella per Coveri così si può rifare il naso, in modo tale, immagino, che non le entri in maniera fastidiosa nel cappuccino. Già che c’è sposa il chirurgo che l’ha operata. Ma Daniela Santancrazy è matta matta…

Si fanno tutti i preparativi, ma quando arriva la data del matrimonio, il 23 giugno, io, il giorno prima, decido di annullare tutto. Arrivo a Cuneo e dico: mamma, dai tutto indietro perché non mi sposo più. Ma come? E tutti gli invitati? A quel punto sono iniziate una serie di telefonate, prima mio padre poi il promesso sposo con mia madre (…). Al mattino mi era passata, oppure mi ero fatta forza, e, insomma, arrivai in chiesa al braccio di mio padre. Mi ricordo l´ingresso in questa chiesa fantastica, il quartetto d´archi, l´Ave Maria di Schubert, tutto predisposto a perfezione dal mio ex marito. Senza sapere neanche come, in sei mesi mi sono ritrovata sposata.

Tentare di annullare un matrimonio a colpi di telefono: già si sente nell’aria lo spirito di quella che sarà la Casa delle libertà.

A questo punto della biografia c’è una nota del redattore, che evidentemente ha grandi pretese e invece gli tocca scrivere la biografia di Santanchì. Oppure è stato molto provato dalla scrittura.

Ndr: l´onorevole Santanchè, ricordando nelle precedenti puntate la sua prima automobile, “una Renault due cavalli” , ha inteso citare Barney Panofsky (“la versione di Barney, Adelphi, pagina 19). La popolare macchina due cavalli – come annota anche Michael Panofsky – era naturalmente la Citroen. (sic)

fine prima parte

Il giorno dopo la Mostra

La cosa più difficile, tornato a casa, è dover scegliere altro rispetto a che panino mangiare per pranzo, cena, colazione, merenda e che film vedere. E’ anche difficile rendersi conto che la vita qua necessita più del chilometro quadro calpestato ogni santo giorno al Lido. E’ anche difficile resistere alla tentazione di mettersi un pass al collo, uno qualsiasi, prima di uscire, per entrare qua o là.
Non credo di avere mai fatto un post a punti, ma volevo scrivere le dieci cose più belle della Mostra del Cinema di quest’anno, a parte i film, di cui trovate chiacchiere varie qua.

1. Arrivare al Lido e vedere subito David Cronenberg seguito da alcune ragazzine che sventolano un cartello su cui c’è scritto: “Mr Cronenberg, thank you for Spider, the best film in the world”. Penso che, allora, il cinema ha ancora qualche speranza.
2. Vedere, nei giorni successivi, le stesse ragazzine avere lo stesso atteggiamento adorante, completo di cartelli, per Orlando Bloom, Tim Burton, Riccardo Scamarcio e altri.
3. La sigla animata del festival, ironica, divertente e ritmata: e per fortuna, considerando che è la cosa che si vede ogni giorno, più volte al giorno, sempre.
4. Le scritte tracciate a pennarello sulla carta che ricopre la balaustra della passerella davanti al Palazzo del Cinema. Ne vedete qualche esempio, ma la più bella non sono riuscito a fotografarla. Diceva: “Johnny [Depp] se non vieni mi uccido. P.S. Molla Vanessa [Paradis, la moglie]” e, subito sotto, “Scherzo”.
5. Credere di avere visto Francis Ford Coppola: forse era un suo sosia, ma in fondo, chi se ne importa.
6. Sedersi allo stesso posto occupato nel 1999, quando, ventunenne, andai alla mia prima Mostra. Primo film: Eyes Wide Shut. Dietro di me, allora, Emir Kusturica.
7. Ordinare i panini del “Pecador” che hanno nomi come “Basil Instinct”, “Ham Cruise” e l’inarrivabile “Gregory Speck”.
8. Non avere visto, neanche una volta per sbaglio, Gigi Marzullo.
9. Incrociare lo sguardo di Emmanuelle Seigner, cinque minuti dopo avere visto l’orrendo film di cui era protagonista, Backstage.
10. Il momento esatto in cui si sono spente le luci prima del film più bello visto in tutti questi giorni, La sposa cadavere.
E da domani si torna alla vita normale, senza pass, mangiando normalmente panini al prosciutto che si chiamano, al massimo, “prosciutto”.

Referrers – Fuori serie

Cosa succede quando hai dei referrers meravigliosi ma non ti viene uno straccio di idea per costruire il raccontino quasi mensile (per chi non sapesse di cosa parlo, si veda la colonna a lato)? Semplice, ti adegui e fai un semplicissimo post di commento alle stringhe di ricerca assurde che hanno portato degli squilibrati a vedere il tuo blog.

come si fa per non scaricare piu le suonerie zed. Dovrebbero esistere dei centri di recupero per uscire dal tunnel della polifonia, credo. Con corsi di “uso del compositore di cellulare”, rilascio di attestato di frequenza, eccetera.
dove comprare pesce oggi 15 agosto a bologna. Hai rimorchiato la turista e vuoi fare colpo preparandole la tua famosa carpa in crosta d’acciughe, eh? Rassegnati. Dille la verità, tutta la verità, di’ giuro e forse si convince e te la dà senza troppi sbattimenti. Forse.
ho visto la nonna in cesso che masturbava il cane. Fattene una ragione, e pensa che, comunque, la nonna sta facendo sesso sicuro. A meno che tu non abbia visto solo i preliminari.
la donna con l’orgasmo. Incorporato, presumo. Beh, tu stai attento e comportati come da manuale. Il peggio che ti può succedere è che ti becchi un orgasmo tarocco.
orgasmi con il cellulare. Pare che la vibrazione funzioni. Ma stai bene attento ad escludere la suoneria zed di cui sopra.
quali alimenti fanno fare cilecca. Mah, non so. Presumo che la peperonella con le cozze e le cotiche e lo stufato di maiale in calce viva non aiutino.
racconti di ragazzi gay testimoni di geova. “Torrione di guardia”? (Lo so, è pessima, abbiate pazienza.)
vuole tagliare pene fidanzato. Non sarebbe la prima.
“scambio di coppia” convincere. Partiamo male. Prova con “dai, può essere che trovi uno/una meglio di me”. Si convincerà immediatamente.
mangiare male a modena. Perché, perché vuoi andare a Modena per mangiare male? Questo, tra l’altro, era il referrer più papabile per il raccontino.
trainer troia. Ho un dubbio. Cerchi qualcuno che ti insegni ad esercitare meglio o qualcuno che ti eserciti e, nello stesso tempo, eserciti?

Bene, e anche agosto ce lo siamo sfangato. Qualche altra annotazione: ovviamente, siccome sono pecora e seguo la massa, mi sono installato anche io Google talk. Potete chiacchierare con me, se proprio siete alla frutta, contattandomi a: adayblogATgmail.com. Ma dopo il dieci settembre. Me ne vado alla Mostra del Cinema per vedere film, parlarne alla radio e scriverne.

Ferramenta

Non ci andavo mai, in ferramenta. Ho iniziato a frequentare quei negozi quando ho cambiato casa, ma sempre con la frenesia e la fretta di chi ha veramente tanto altro da fare: in quel particolare caso si trattava della ricerca impossibile di un fermacassetto dell’Ikea. Detta così sembra un congegno inventato da Q di 007, invece no. Fondamentalmente è una vite, ma non ce l’ha nessuno, tranne il mobilificio svedese. E quindi aspetto da mesi e mesi un pacchetto prepagato con dei fermacassetti Ikea. Nel frattempo i cassetti sono stati fermati da italicissimi chiodi.
Insomma, ieri sono andato con calma in ferramenta, per fare delle copie delle chiavi di casa, da dare a persone care. Ho dovuto aspettare un po’, e mi sono guardato intorno, realizzando alcune cose. Prima di tutto che non ho idea quale sia la funzione (ma neanche l’entità) della maggior parte delle cose esposte. Cioè, immagino stiano da qualche parte, e presumo che ne sia quotidianamente circondato, ma questo accade anche per le polveri sottili, i bacilli e quelli che votano Forza Italia. Ci sono, ma non si vedono, o (come talvolta ha voluto la natura per proteggerli) non si fanno vedere.
La seconda cosa che ho realizzato in ferramenta è che mi sono dovuto trattenere da un desiderio inarrestabile di comprare le cose di cui capivo l’uso, o per un mio innato (e inedito) istinto, o semplicemente perché ho letto i cartelli e i cartoncini sopra gli oggetti stessi. Lo Svitol, e una specie di tampone per togliere la muffa dalle intersezioni delle piastrelle della doccia (nove euro, vi pare tanto?). Cutter di precisione che non assomigliano per niente a cutter, ma piuttosto a strumenti nati dalla fantasia di Moebius, e poi tante, tantissime forbici di vario tipo. Tutte della stessa marca, che immagino sia leader nazionale nella produzione di oggetti da taglio.

Nella ferramenta dove sono andato, in via Farini, a Bologna, per chi volesse darci un’occhiata, c’è un’aria di antico. Dietro il bancone, una parete fatta tutta a cassettoni di legno, che mostrano campioni del loro contenuto: sui cassetti sono incollate (avvitate, fissate, brugolate, che cacchio ne so) un’infinità di manigline, tiranti, pomelli, cerniere, chiavi, tondini, dadi e dadini. E i clienti chiedono sicuri, indicano, confrontano e scelgono. I clienti insicuri, invece, vanno incontro a due sorti diverse: se si mostrano umili, vengono guidati nel mondo degli oggetti a me sconosciuti. Se invece fanno i gradassi e sbagliano nomi o funzioni, vengono liquidati con rapidi gesti. Le clienti donne, invece, possono essere di due tipi. Ieri è entrata una donna incinta, molto carina. Il titolare l’ha accolta con un grande sorriso, così come tutto il resto del personale e della clientela. Mi sono accorto che aveva il naso malamente rifatto solo quando ha scelto un orrendo pomellino di cristallo per la sua vetrinetta. C’era anche un’altra cliente: una signora anziana che però non si rassegnava al passare del tempo, e neanche alla misura delle chiavi che il commesso le proponeva. Ha optato per una soluzione di ripiego, un taglia e cuci, per entrambi i suoi problemi.

Mi piace andare in ferramenta, mi piace vedere i commessi che fanno i conti sulla carta da pacchi, la stessa che poi usano per avvolgere viti e vitine. Mi piace il rumore della macchina che fa le chiavi, che altro non è che un incisivo fortissimo sul silenzio che di solito regna tra gli scaffali. Mi piace il fatto che tutto sembra vecchio e funzionante, anche il miniventilatore made in China, che si sentirà un pesce fuor d’acqua e non vedrà l’ora di sollazzare per qualche minuto la faccia di qualcuno, prima di amputargli il naso con una pala di plastica.

E., una meravigliosa persona, frequentatrice e commentatrice di questo blog, e amica speciale di lunga data, ne ha aperta un’altra, di ferramenta, e ha reso pubblico il fatto a tutti noi amici proprio mentre io ero nel negozio che ho descritto. Nel suo, di negozio, non ci sono orari. La sua ferramenta è sempre aperta, qua.

Di |2005-07-12T18:31:00+02:0012 Luglio 2005|Categorie: I Me Mine, I've Just Seen A Face|Tag: , , , |5 Commenti

Referrers – Gente che cerca altro – 14

Dagli stessi produttori di Neighbours, in associazione con Google, Virgilio, Yahoo! e Shinystat
14. al concerto ho mostrato le mie tette

“L’italiano è una lingua di perifrasi.” Questo fu il suo primo pensiero compiuto di quella mattina, pensiero che faceva fatica a farsi sentire, sommerso dal fischio continuo che le rimbombava nelle orecchie. “Non esiste un equivalente italiano di hangover. Una parola sola, cioè. Lingua meravigliosa, l’inglese.” Poi sentì una fitta allo stomaco, pensò che forse doveva mangiare, le venne da vomitare. Si riprese e si mise a sedere sul letto. Respirò. E iniziò il processo di recupero nella memoria, per rispondere ad una semplice domanda: “Che cosa ho fatto ieri sera?”, domanda che aveva diversi corollari, corrispondenti, più o meno, alle cinque “W” del giornalista. “Who, what, when, where e…” Non si ricordava l’ultima, la più importante. “Why. Perché?”
La sua memoria sbuffò, crepitò e regalò una sensazione al suo cervello: aria sul petto.
Andò in bagno, si chinò sulla tazza, ebbe un déjà-vu poco prima di vomitare le ultime cose che aveva nello stomaco. Liquidi, per lo più. Alcolici.
Aveva abbracciato il cesso anche appena era tornata a casa, quella notte. Il fischio nelle orecchie non diminuì. Qualcuno la stava pensando? No. Era stata ad un concerto.
Ecco, sì. Un concerto. Tentò di focalizzare su quel brandello di ricordo, togliendo tutto ciò che poteva peggiorare il suo stato di post-ubriacatura, concisamente detto “hangover”. Eliminò le luci violente del palco, la calca della gente, il fiato caldo di qualcuno dietro di lei. Si passò una mano sul collo, era sudata. Anche la notte prima era sudata, faceva caldo, ondeggiava la testa, forse anche senza muoverla. Si ricordò di un barista, della sua mano raffreddata dalla birra nel bicchiere di plastica, di una sua amica che le diceva “ancora?”, di lei ipnotizzata dai movimenti del batterista, di lei che sentiva caldo e rideva.
Aveva sollevato la maglietta, mostrando il seno al gruppo.
E anche a qualcuno al suo fianco.
Poi aveva riabbassato la maglietta.
Rivomitò. Evidentemente c’era ancora qualcosa nello stomaco.
Ebbe un’altro flash, di un flash. Cioè rivide proprio il lampo di una macchina fotografica negli occhi. E se qualcuno le avesse fotografato le tette? “Oddio”, pensò. Stavolta la lingua italiana era vantaggiosamente sintetica almeno quanto l’inglese.
Tornò nella sua camera e vide il computer acceso. Aveva scritto un post sul concerto, su tutto. Si affrettò a cancellarlo, senza neanche rileggerlo. Tutto era chiaro, adesso, e anche il fischio nelle orecchie stava diminuendo. Tutto tranne una cosa.
“Why?” La domanda era stampata nella sua mente, e la risposta “ero ubriaca marcia” non la soddisfaceva. E se qualche motore di ricerca avesse memorizzato già quel post?
Digitò in fretta alcune parole e cliccò sul pulsante dei risultati.
Altri blog, altri concerti, altre tette. E si sentì per la prima volta parte di una comunità.

Referrers – Gente che cerca altro – 13

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13. trucchi per limonare

Quello era il giorno numero tre. La cifra gli si era stampata in mente dalla mattina, quando era andato a scuola, l’aveva vista e, come il giorno uno e due, ma anche come quello zero, meno uno, meno due e meno tremila, non aveva fatto una piega. Lei neanche. Nessuno doveva sapere che stavano insieme.
Quello era il giorno numero tre. “Quello della lingua, stanne certo”, gli aveva detto il suo compagno di banco Mario detto Marione, ripetente, che si faceva la barba, o almeno così diceva: e doveva farsela benissimo, perché non portava alcuna traccia di rasatura. Ma lui si fidava di Marione. E quindi credeva a tutto quello che gli diceva. “Dopo tre giorni si limona, sicuro. Se non limoni dopo tre giorni, sei un coglione.” “No, limono, limono”, aveva detto lui. Ma non si sentiva pronto. E chi aveva mai limonato? L’aveva visto nei film, ma sapeva che i pugni di Terence Hill erano finti e che non bastava aprire la bocca e chiudere gli occhi per limonare. Chiedere a Marione, d’altro canto, sarebbe stato umiliante. Aveva già dovuto pagarlo perché non dicesse a nessuno che stava con lei. E doveva fidarsi del fatto che lui avrebbe mantenuto la parola.
Chiuse la porta della camera, sua madre sonnecchiava sul divano, suo padre al lavoro. Dopo poco avrebbe visto la sua ragazza (oh, come lo faceva sentire grande dire quella parola, e quasi gli dispiaceva di poterla dire solo a se stesso) e avrebbero limonato, cascasse il cielo, perché lui non era un coglione. E poi voleva farlo.
Accese il computer e cercò ispirazione. Avrebbe trovato un’indicazione, un indizio, delle istruzioni, qualsiasi cosa.
Click.
“Eh, magari”, pensò. “Ma lei come le avrà? Più piccole, mi sa.” Si trattenne dal fare quello che faceva di solito quando si addentrava in quei siti, tese l’orecchio per evitare irrimediabili figuracce familiari e andò avanti.
“Chissà se con la sua amica…” Pensò alla sua amica: una cicciona tremenda. Cliccò velocemente e cambiò pagina.
“Un cane?!”. Era sbalordito. E anche un po’ disgustato. Doveva sbrigarsi.
Digitò qualcosa su un motore di ricerca.
Dopo poco uscì di casa, spaventato, ma con un argomento, se non altro, per iniziare la conversazione. Mentre parlavano, sarebbero andati sul fiume e…

Quando si videro, rimasero un po’ imbarazzati uno di fronte all’altro, poi si diedero un bacetto.
“Sai”, iniziò lui con la voce tremante. “Ho letto su un blog, oggi…”
Lei non lo fece finire, avvicinò le sue labbra alle sue, e la vide chiudere gli occhi. Pensò a Terence Hill, scacciò subito quell’immagine, e aprì la bocca.
Dopo un minuto buono, che a lui sembrò lunghissimo, si staccarono. Era stato strano e bellissimo. Lei pareva contenta. “Un coglione, io?”, pensò. Poi le prese la mano e andarono verso il fiume.

Metodo Mon3ssori

E così mi capita di vederti in coda alla posta, tu e il tuo maglioncino rosa con maglietta rosa, tono su tono, e i jeans quelli giusti, e le scarpe da ginnastica rosse, “sneakers l’ultima moda” ha sentenziato il sempre attento Venerdì di Repubblica. Sei davanti a me, come non posso vederti, e penso che un po’ di tempo fa io e i miei amici bolognesi adottati, ti avremmo definito “socciachebellamamìna”, con un lieve prolungamento del suono dell’ultima “i”. Espressione che sta per ragazza anziana (o donna giovane) con prole, di solito infilata in un passeggino che costa quanto un’utilitaria, ma non la tua, perché la tua, ovvio, è una Smart, ragazza anziana o donna giovane che ricordi con precisione le parole di lui “no, non ti preoccupare, non vengo dentro”. E subito dopo ricordi le parole “Ogino Knaus”, le tue, stavolta, immediatamente precedute da un pagano “speriamo in”. E invece hai sfornato un pupo, e non lo volevi. Adesso c’è e pare brutto. Ma sei orgogliosa del tuo culo, del tuo seno, delle tue amiche che ti dicono “ma come sei in forma, nonostante”, e pensano di ricominciare a prendere la pillola.
Sei davanti a me, e hai una bimba, decisamente calma e pacifica. E tu come fai a mantenerla buona in coda alle poste?
Facile.
Le piazzi in grembo il tuo videofonino che trasmette un video che vede l’infante stessa come protagonista.

Ora. Se fossi in forma, brillante, arguto, intelligente e colto tirerei fuori Freud e Lacan, Meyrowitz e McLuhan.
Ma sono stanco. E non sono tutto il resto.
Quindi, anche se non ne so nulla di metodi educativi, non ho un bambino, nonnesonulladellavita, lascia che ti dica solo una cosa: cogliona.

Referrers – Gente che cerca altro -12

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12. cosa fanno i bambini marocchini alle farfalle

Se ne stava seduto vicino alla finestra a guardare fuori, sperando di trovare le parole giuste, là fuori, l’inizio di qualcosa, o anche un motivo per farlo alzare dal computer e andare a farsi una passeggiata. L’aveva fatto altre volte, senza motivo.
Gli sarebbe piaciuto avere qualcuno che aspettava le sue parole, ma, per il momento, erano solo per lui stesso.
Gli sarebbe piaciuto dover staccare il telefono, perché assillato da un editore, da un committente, da un produttore. Ma il telefono era come se fosse staccato: tanto non suonava mai.
Ma sapeva che aveva una storia da raccontare. Questo se lo diceva quando pensava potesse vederlo qualcuno. Sì, perché prima di addormentarsi si diceva che il giorno dopo avrebbe scritto la storia, che le parole sarebbero arrivate, ci voleva solo tempo. Altre volte, invece, non si addormentava affatto, pensando alle parole che non venivano.
Continuava a guardare fuori i bambini del vicino che giocavano. Aveva iniziato tre o quattro volte quello che poteva essere veramente il nuovo romanzo, una storia normalmente multietnica. Avere dei vicini marocchini, magrebini, nordafricani, come avrebbe dovuto scriverlo?, poteva, anzi, doveva essere un vantaggio.
Ma quelli non facevano niente. I genitori andavano a lavorare, i bambini, ormai grandicelli, andavano a scuola e poi stavano a casa a giocare, tra di loro o con i loro amici. La mancanza di integrazione aiuta le storie, non c’è niente da fare.
Ributtò lo sguardo fuori: uno dei bambini, non sapeva neanche il suo nome, stava rincorrendo una farfalla. Pensò che forse era la prima farfalla della stagione, la primavera stava arrivando e forse la farfalla sarebbe sopravvissuta. Guardò lo schermo per un attimo: le stagioni cambiavano col desktop, e sul suo monitor campeggiava ancora un paesaggio innevato. Volse di nuovo la testa verso la finestra, e vide qualcosa di incredibile. Il bambino aveva preso la farfalla e la teneva sulla mano. Sembrava che le stesse parlando. Poi chiamò la sorella, e lei spuntò da dietro la casa con un’altra farfalla sulla mano. Poi, sempre tenendole così, i bambini si misero a correre, senza che le farfalle si muovessero, e li perse di vista.
Il suo stupore durò poco, il tempo di cercare una possibile spiegazione sulla grande rete di quello che aveva visto. Si mise a leggere parole d’altri e perse un’altra occasione per usare le sue.

Referrers – Gente che cerca altro – 11

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11. mito dell’orgasmo

Di scrivere a Cioè non se ne parlava neanche. Non voleva mischiarsi alle ragazzine che chiedevano se limonando si potesse rimanere incinte, o che pensavano che la vera prova d’amore fosse il sesso anale. E poi lei non era una ragazzina. Aveva ormai vent’anni, e insomma… E poi non poteva leggerlo Cioè. Doveva ammetterlo: le dava fastidio dover ammettere a se stessa che ragazze più piccole di lei, se si doveva credere a quello che scrivevano, avevano avuto una vita sessuale di almeno una decina di volte più intensa della sua, anche se con una partenza simile: la prima volta d’estate, in campeggio (nel suo caso si trattava di un bungalow, ma sono sottigliezze): una tragedia. Solo che lei si era fermata lì. Non era andata da nessuna parte, poi, e non era manco venuta. Arrossì pensando alla stupida battuta che aveva fatto. Non sapeva proprio che cosa fosse l’Orgasmo. Sì, lo pensava anche con l’iniziale maiuscola. Perché è vero che non leggeva più Cioè, quanto meno non in modo partecipante, al massimo lo rubava alla sua cuginetta (lei aveva limonato-e-basta, almeno lei, per fortuna), ma era passata a Cosmopolitan. E si era definitivamente depressa. Orgasmi multipli, clitoridei, vaginali, mentali, tantrici. E lei? Mai niente. Un po’ di piacere, ogni tanto, da sola, ma niente di più. Con le amiche non ne parlava. Loro, a sentire quello che dicevano, gliela mettevano in saccoccia (arrossì di nuovo) alle star del porno. Quando si parlava di sesso, semplicemente, annuiva e rideva quando doveva farlo. Comunque anche le sue amiche non parlavano mai della grande O. O quando ne parlavano usavano lo stesso linguaggio di Cosmo, come lo chiamavano loro. E lei si era convinta che l’orgasmo, semplicemente, non esistesse, ma fosse qualcosa di impalpabile, etereo. Mitico.
Cliccò alcune parole su un motore di ricerca, per avere delle conferme.

Dopo un po’ di frequentazione del mondo dei blog, capì che, nonostante le tutte pippe che questi personaggi su internet si tiravano, non sarebbe riuscita a raggiungere neanche l’orgasmo mentale. Smise di leggere Cosmopolitan e si mise il cuore in pace. Dopo qualche giorno, per caso, venne l’amore.

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