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Record Store Day, ovvero: un'altra scusa per parlare di musica e ricordi

Sabato si celebra (soprattutto nei Paesi anglosassoni, a dire il vero) il Record Store Day: una ricorrenza probabilmente necessaria, visto che oggidì è assai bassa la percentuale di musica che ascoltiamo nelle nostre case che arrivi effettivamente da un negozio di dischi.
Gli amici di Vitaminic mi hanno chiesto di scrivere un post su questa peculiare giornata, e io non ho potuto fare a meno di pensare al Music Shop di Gorizia, la mia città natale.

Negli anni ’90, quando montò in me e nei miei amichetti, la passione per la musica suonata, sentita, illustrata, c’erano diversi negozi di dischi a Gorizia: ma sentivamo che il gestore del Music Shop era il solo che ne capisse effettivamente di musica. Era un tipo allampanato e gentile, alto e magro, con gli occhi azzurri ma perennemente arrossati e la barba sempre incolta. Oggi, col famoso senno di poi, avrei almeno una decina di ipotesi per passare una serata affinché questo aspetto governi la faccia di chiunque per il giorno successivo, ma allora le caratteristiche fisiche del gestore erano tutt’uno con quelle del suo negozio: la disposizione dei dischi negli espositori, l’odore dell’aria, il tintinnio del campanello che segnalava l’entrata o l’uscita di un cliente.
Di certo il gestore del Music Shop aveva dei suoi gusti precisi, che lo portavano a disapprovare in silenzio molte delle cose che compravo: d’altro canto ero un ragazzino dai gusti (allora come oggi) molto eclettici, che un giorno comprava la cassetta di Icon dei Paradise Lost e qualche giorno dopo cercava A love supreme di Coltrane in cd.
Ma ci sono due dischi legati in maniera indissolubile a quel negozio: due dischi usciti entrambi nell’annus mirabilis 1994, tra i miei 15 e 16 anni. Il primo è Live through this delle Hole, il secondo Unplugged in New York dei Nirvana. Comprai il secondo disco delle Hole e fu una delusione, non tanto per la qualità dei brani, ma per il rapporto quantità/prezzo: trentasettemila lire per trentotto minuti di musica. Ci rimasi malissimo e la delusione bruciò a tal punto che, ancora oggi, quando lo sento non riesco a non immaginare un contatore con la faccia della Montessori che cambia, rimanendo identica a se stessa, una volta ogni sessanta secondi e rotti.
Il secondo, invece, fu lungamente atteso: passavo e ripassavo per vedere se era arrivato (ma vi immaginate una cosa del genere oggi?), finché una volta entrai nel negozio e il gestore lo tirò fuori da una scatola. Il testamento di Kurt Cobain, morto qualche mese prima, era nelle mie mani. Lo portai a casa, lo scartai e venni invaso dall’odore di carta del libretto, ruvido, composto da foto e illustrazioni con i colori saturi, che stridevano con la tristezza del disco.
Lo annuso sempre, quel cd e, credetemi, l’odore di carta c’è ancora, solo un po’ affievolito dagli anni.
E c’è ancora il Music Shop, a Gorizia, e mi hanno detto sia gestito dalla stessa persona, ma non ci sono più tornato da quando, nel 1996, ho lasciato la mia città natale. L’ultima volta che sono stato a Gorizia era chiuso, ma ho evitato di sbirciare l’interno del negozio, per non sapere. Alla prossima occasione farò tintinnare il campanello, varcherò la soglia del Music Shop  e mi proietterò di nuovo nel 1994. Mi piace immaginare che tutto sia rimasto identico, a parte, forse, il mio sguardo un po’ più consapevole che incontrerà quello (ancora arrossato, ci potrei giurare) del gestore, prima di iniziare a parlare, con una scusa qualsiasi, di musica.

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6. Musica e cultura
“La dotta” è uno dei modi di nominare Bologna (“la grassa” e “la rossa” sono altri due, delle “tre T” ho già parlato altrove). Ma non si tratta solo di università: la città offre un numero spropositato di eventi culturali ogni giorno, ha il più alto numero di sale cinematografiche in rapporto al numero dei residenti, molti teatri, librerie a profusione. Certo, un cocktail fatto male può costare anche dieci euro, ma che c’entra.
Librerie. La più nota è la Feltrinelli di Piazza di Porta Ravegnana, sotto le due torri. Fornitissima, dotata di commessi di solito scazzati e poco gentili, dentro ci troverete di tutto. Anche dei libri. Il sabato e la domenica è affollata come la riviera romagnola a Ferragosto. Da segnalare anche la Feltrinelli di via dei Mille, aperta anche di notte, meta di intellettuali vampireschi e di pornomani disorientati come le falene dalla luce al neon dell’insegna, e la Feltrinelli International di via Zamboni, dove si possono comprare film, fumetti, libri su cinema e musica. Il paradiso del giovane, insomma. Anche perché ci sono i libri in lingua straniera, e di solito li comprano gli studenti Erasmus quando sono tristi perché gli manca il suolo natio. Quindi deboli. Quindi facilmente colpibili. Oh, io non vi ho detto niente. Fate voi. Da segnalare anche la Libreria di teatro, cinema e spettacolo di via Mentana, gestita anch’essa da un burbero individuo che apre quando cazzo gli pare; la Libreria delle donne, adesso in via San Felice, ma anni fa in via Avesella, sul cui muro campeggiava la scritta/graffito “Un uomo morto è uno stupratore in meno” (ovviamente le donne della libreria delle non c’entrano con la scritta, ma mi veniva un senso di disagio a leggerla…); esisteva anche Mondo Bizzarro, un negozio (con annesso spazio espositivo) in cui potevate trovare letteratura e cultura estrema. Che ne so, fumetti di liceali lesbiche giapponesi con disturbi della personalità, film di commercialisti vampiri, magazine di feticismo del segnale stradale, sadomaso tra sindacalisti. Molto interessante. E i gestori ne sapevano ed erano simpatici. Oh. Se ne vanno sempre i migliori.
E passiamo ai cinema. Ce ne sono tanti, quindi non ha senso che io parli di tutti. Solo qualche dritta. Se siete dei veri cinefili non potete prescindere dalla programmazione del cinema Lumière, dove ci sono retrospettive, rassegne e a volte anche i dibattiti, proprio loro. Il pubblico delle due sale del cinema Lumière, a differenza del pubblico normale, è silenziosissimo durante la proiezione. Ma rumorosissimo prima e dopo. Mentre aspetta che il film inizi, il pubblico del Lumière disquisisce sulla filmografia completa del regista del film in programma, come riferimenti critici accurati. Dopo, commenta il film, proponendo svariate ipotesi di lettura, anche lì con note a margine. Insomma, una rottura di palle. Sempre che non ci sia il dibattito. In tal caso prendono la parola gli individui più assurdi che, dopo avere fatto una domanda-intervento-comizio di mezz’ora, si accasciano al suolo, emozionati perché è una delle prime volte che tante persone paiono attente a quello che dicono, dopo una vita di silenzi e di frustrazioni.
Ma non si vive di soli libri e cinema, no? Ovviamente anche la musica è importante. Quindi, ecco a voi alcuni negozi di dischi e luoghi di concerti. Iniziamo dai negozi di dischi.
Uno dei più noti è Nannucci, in via Oberdan, uno dei primi in Italia a fare vendite per corrispondenza. Ancora adesso è molto frequentato perché conveniente. Le cassiere non sono simpatiche, ma i ragazzi lavoranti ne sanno abbastanza. Ci trovate anche vinili e ragazzi appassionati di musica che non hanno un blog: roba vintage, insomma.
Il Disco d’oro, in via Galliera, è molto fornito, ma è il tempio dello snob. I proprietari ti guardano male se non compri la musica che piace a loro, anzi, sembra quasi che ti facciano un favore a venderla. Ma attenzione: non stiamo parlando di Stevie Wonder versus il rock, come in Alta Fedeltà, ma del peccato estremo (agli occhi dei proprietari) di non conoscere le ultime tendenze della musica elettronica della Sassonia-Westfalia. Imperdonabile.
Ricordi Media Stores, in via Ugo Bassi, è importante per vedere che musica si compra veramente nel mondo, e per ridimensionare ogni snobberia e indifighetteria. Qui ci sono stormi di adolescenti che prendono a manate cd di Limp Bizkit e Christina Aguilera. I calendari di Eminem. I DVD dei Blue. Mica cazzi. Istruttivo, ridimensionante.
Rock Shop: sito in via della Grada, lo segnalo perché è ben fornito, c’è un buon catalogo a prezzi medi, ma soprattutto perché è il primo e unico negozio di dischi a Bologna dove sia stato installato un distributore di bibite. Refrigerante.
Ma dove sentire dal vivo i gruppi di cui avete acquistato il cd? Attenti, perché nei prossimi paragrafi non si parlerà solo di cultura, ma soprattutto di stili di vita, etichette, scena. Sì. Scena. E che volete farci…
Estragon: un tempo c’erano i gruppi ggiovani, e l’organizzazione era legata anche all’ambiente della sinistra universitaria. Dai Modena City Ramblers ai Punkreas: erba ed erbazzone, sentirsi alternativi e diversi, insomma. Da quest’anno dovrebbe ospitare i concerti più grandi della stagione del Covo: e qui apriamo un capitolo importante. Volete essere veramente con la gente che conta? Andate al Covo, soprattutto il giovedì, venerdì e sabato. Usate alcune guide come si fa quando si va all’estero con la Lonely Planet e non stupitevi di quello che sentirete provenire dal palco. È l’indie, cari, termine vago ma adatto a tutte le stagioni. I gruppi indie (ma ne riparleremo) si dividono in tre: ci sono quelli che hanno il nome formato dall’accostamento di due termini apparentemente scollegati (es. Bycicle Roosters, Screaming Trees), quelli che hanno il nome formato da una frase bizzarra (es. Death Cab for Cutie, No Residents Allowed, I Am Kloot) e infine quelli che hanno un nome normale, ma di solito fanno musica triste (es. New Year, Karate, Brainwasher). Fregatevene: imparate tutti i nomi dei musicisti che suonano, ma attenzione: ognuno dei membri di ogni gruppo ha almeno un progetto musicale parallelo, quindi siate completi nell’esposizione. Affermate sempre che il loro primo disco è il migliore, e che hanno suonato meglio nel concerto segreto del Festival del salame caprino di Forlimpopoli, comprate spilline che non avevate il coraggio di mettere neanche alle medie ed passeggiate con sicumera nel Covo. Poi potete anche evitare di vedere il concerto, ma scrivetene una recensione da qualche parte.
Atlantide: si trova alla fine di via Santo Stefano. Imperdibile per sentire le nuove tendenze del grindcore portoghese, dell’hardcore lituano e dell’uso combinato di urla e chitarre distorte. Però c’è la birra a poco.
Cassero: uno dei veri posti di tendenza, è la sede dell’Arci Gay e Arci Lesbica. Queerwave, sculettamenti, ma anche tanti etero che hanno il terrore di essere sfiorati, ma si mostrano lo stesso là in mezzo. I gay e le lesbiche si divertono e se ne sbattono. Anche se a volte la qualità della musica lascia a desiderare.

E siamo arrivati alla fine. Se tutto è andato bene, avete una casa, bei libri, film dischi, la pancia piena, un cannone in mano, un/una partner, non avete dato il vostro numero di telefono ai marxisti-leninisti, quando entrate al Covo vi salutano anche le spine della birra, avete tra pochissimo un appuntamento al 36. Quando ecco che vi sorge un dubbio: ma io non ero venuto a Bologna per studiare?

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