La rivolta degli oggetti – Parte quinta

Era dall’aprile di due anni fa che non usavo un titolo del genere e, sinceramente, pensavo di non farlo più. Ma stavolta non si tratta di banali disguidi tecnologici e informatici, ma di qualcosa che viene dal profondo. Molto dal profondo. Per questo consiglio la lettura di questo post solo in ore molto lontano dai pasti.

Insomma, com’è come non è, vivo da quasi un anno in questo piccolo appartamento nel cuore di Bologna: quarantacinque metri quadri con cantina. Nel senso che il bagno e la cucina sono la cantina. Sì, mangio ed elimino ciò che ho mangiato sottoterra, in un estremo gesto di pudore, nascosto agli occhi del mondo (poi il letto è a due metri da terra su un soppalco, ma ciò che faccio là ha del divino. Parlo del dormire, che avete capito). Quindi, il mio bagno è poco sopra le fognature. (Oh, io vi ho avvisati, eh. Se iniziate a sentire qualcosa allo stomaco chiudete questa finestra e non ci pensate più).
Oggi pomeriggio verso le tre ho sentito un rumore simile a quello che fanno gli aviogetti quando solcano i cieli, che uno guarda in alto e non li vede perché viaggiano oltre la velocità del suono e quindi quando li si sente sono già passati.
Solo che quel rumore là veniva da sottoterra. Ma non da sotto sotto. Dal bagno, dai.
La prima volta non ci ho fatto caso, anzi, ho guardato il cielo, metti che il jet avesse inchiodato nell’aere e stesse facendo retromarcia.
La seconda volta ho avuto dei sospetti.
La terza volta mi sono precipitato giù in bagno, e ho visto un dito di liquame invadere la parte vicino alla tazza. Poi ho aperto la doccia. Stava vomitando da sotto in su, cioè dallo scarico.
“Hai bevuto di nuovo”, le ho detto. “Cambia shampoo”, mi ha detto lei, e ha avuto un altro conato. “Se mi mettessi in testa quello che stai spargendo per il piatto doccia…” “Avresti capelli forti e concimati”, ha concluso lei, sarcastica.
Ho immediatamente preso il telefono per contattare l’amministratore, quando hanno suonato il campanello di casa.
Ho aperto e, davanti a me, si è presentato Tom Savini. L’uomo dello spurgo era identico al mitico Tom, davvero. E lì ho capito che la situazione stava virando sullo splatter. Ho immaginato il corridoio di Shining invaso non dal simbolico sangue ma dalla terricola merda. Ho immaginato Ewan McGregor, vestito come in Trainspotting, che suona a casa mia, entra in bagno e dice “Eh no, io in quel cesso non ci entro manco se c’è nascosta una tonnellata di eroina”, per poi aggiungere “E tu sai dove mi sono andato a cacciare per una dose”.

Mi ha risvegliato il Tom Savini felsineo, che mi ha spiegato che l’avevano chiamato dal civico 15, perché le cose andavano male.
Un’ora dopo, e numerose vomitate della doccia dopo, è tornato per dirmi che anche il 19 era messo male.
Ora, vediamo se siete intelligenti: a che numero civico abito?

Adesso pare che tutto sia calmo. Un possente rutto del bidè ha segnalato la tregua. Ma per me il rumore dei jet sarà per sempre legato alle profondità degli scarichi. Come dicevano i Pink Floyd: “Goodbye blue sky”.