intervista

(Not so) Distant Radio

Qua si lavora e si fatica (per cosa lo sapete voi meglio di me), e di conseguenza talvolta i post non possono che fare riferimento alla cara e vecchia mamma radio.

Per prima cosa vi segnalo che è stato aperto il tanto atteso (?) On Air, il forum di Città del Capo – Radio Metropolitana, dove si discetta di tutto lo scibile umano, e anche oltre. Registratevi, partecipate.

Per seconda cosa vi segnalo che, se tutto va bene, stasera in Monolocane vi proporrò un’intervista ai Devics (che al momento non ho ancora fatto, ma abbiamo un appuntamento telefonico nel pomeriggio, giuro), a proposito del loro nuovo disco Push the Heart che esce domani e di altre cose che mi verranno in mente al telefono.
Mi scuso fin d’ora per la voce nasale che avrò stasera, ma non ho avuto cuore di uccidere tutti i cigni che avevo in casa e me la sono presa, per evitare che se la prendessero.

Ciao! Vuoi sentire Monolocane? Bene. Se sei a Bologna, prendi la tua vecchia radio, accendila e sintonizzati sui 96.3 o 94.7 MHz. Se sei altrove o non hai un apparecchio radiofonico, usa il computer. E’ facile! Basta cliccare qua. Dai!

Update. L’intervista è ascoltabile, come al solito, dalla pagina web della trasmissione.

Ecco l’intervista ai Devics!

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Come fare radio causando inutili sofferenze

Come quasi ogni giovedì, anche oggi l’etere bolognese (e lo streaming mondiale) verrà invaso dalla mia voce. Nella puntata di Monolocane di stasera un’intervista a Daniele Luttazzi, con il quale ho chiacchierato del suo nuovo spettacolo Come uccidere causando inutili sofferenze, di satira e informazione e di quello che ho visto scritto sui muri di Bologna.
In più musiche, dediche, rubriche e tanta giovane spensieratezza.

Dalle 22.30 sui 96.3 e 94.7 MHz a Bologna e, cliccando qua, in streaming all over the world.

Ecco l’intervista a Daniele Luttazzi!

 

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Gente non troppo gradevole, un po' come gli operai

Vi ricordate questo post?
Beh, ho chiamato quella società di consulenza, come se fossi un piccolo imprenditore e…
Ho sentito cose che voi umani potrete sentire domani sera, a Monolocane. Come al solito dall 2230 all 0030, su Città del Capo – Radio Metropolitana. E se non siete a Bologna c’è lo streaming, tranquilli.

(Nel  caso finissi dentro, le arance mi piacciono molto, davvero)

Update: per oggi il servizio non va in onda. Il diretùr ha per ora sospeso salomonicamente la decisione.

Highway 883 revisited

Mettiamo che famoso cantante, Bob Dylan, venga in Italia a novembre per una serie di concerti. Mettiamo che il vostro omino qui, vestito da giornalista musicale, contatti qualcuno per avere degli accrediti (bastardo) e per intervistarlo (tentar…).
Mettiamo che quel qualcuno, che ne so, potrebbe essere un promoter, gli dica che il famoso cantante non accetta interviste, ma che ripari subito offrendo al giornalista una doppia gustosa alternativa: “però posso proporti Pezzali o Antonacci” (testuale).
Voi chi dei due intervistereste, considerando però di fargli le domande originariamente rivolte a Bob Dylan?

Di |2005-10-24T13:46:00+02:0024 Ottobre 2005|Categorie: I Am The Walrus|Tag: , , , |25 Commenti

Radio (Post)

Il vero inizio dell’anno, lo sapete, è dato dall’autunno: scuole che ricominciano, e partenze di “annate” e palinsesti di vario tipo, compreso quello radiofonico.

Sebbene sia già cominciato la settimana scorsa, vi segnalo la seconda puntata di Monolocane, il mio programmino serale, che va in onda, come sempre, ogni giovedì dalle 2230 alle 0030 (circa) su Città del Capo – Radio Metropolitana. Il solito chiacchiericcio, la solita musichella, le solite rubriche (“Tengo ‘na minchia tanta” e “No Accademia No DAMS”), ma nuove incredibili possibilità di interazione. Oltre al numero telefonico della diretta (051 642 80 81) e alla mail della diretta (direttaatradiocittadelcapo.it), adesso abbiamo anche gli sms, come a Radiodigei, che possono essere mandati al numero 348 76 49 289. Usateli per insultarmi e richiedere canzoni.
Nella seconda puntata di Monolocane, domani, vi riproporrò l’intervista che ho fatto il tre luglio scorso a Tori Amos, di cui ho già parlato su queste pagine. Se non ce la fate a sentire l’intervista, ma proprio vi disperate perché l’avete persa, c’è la pagina della trasmissione sul sito della radio che vi soccorre. E se volete sentire tutte le interviste e gli speciali dell’anno scorso, basta accedere all’archivio.

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Già che ci siamo, vi dico anche che è iniziata da ben tre settimane la quinta stagione di SecondaVisione, con delle novità. Abbiamo finalmente un archivio audio, dove potrete scaricare tutte le puntate per intiero. E pare che presto avremo anche il podcast.
Insomma, verso l’infinito e oltre.

Ah, per ascoltare Città del Capo – Radio Metropolitana, seguite queste istruzioni. Per prima cosa, guardatevi intorno: ci sono le due torri in lontananza e qualcuno, intorno a voi, dice parole come “soccia” e non becca una “z” una? Allora dovreste essere a Bologna. In tal caso le frequenze della radio sono 96.3 e 94.7 MHz. In caso contrario, potete sentire la radio in streaming.

Update. Ops, mi sono ricordato che oggi è il John Peel Day, quindi stasera vedrò di farvi sentire alcuni pezzi andati in onda nei suoi storici programmi. Se volete ne potete scaricare una caterva qua.

Ricapitar, infine, nella Capitale

Dall’arguto titolo, lo avrete intuito, me ne vado a Roma. “Ma come”, dice, “te ne vai a Roma adesso? E la paura degli attentati?” Fatevi un giro dal mio fratello di parole, che, oltre ad ospitarmi, ha scritto un post proprio su quello che potrebbe succedere a dei terroristi a Roma.
Incontri previsti: sciampiste in via del Corso, Pulsatilla, che ha millantato di portarmi a mangiare il migliore tiramisù d’a Capitale, due miei cugini, di cui uno straordinariamente rassomigliante a Silvio Orlando, lei, e… chiunque altro voglia aggregarsi alla compagnia mi scriva.

Ah, importante. L’intervista a Tori Amos andrà in onda in tutto il territorio italico durante la puntata di lunedì 18 di “30° all’onda“, dalle 14.30 alle 15.30. Qui e qui le istruzioni per ascoltarla. Statemi bbuono.

Update. Se ve la siete persa ieri, potete sentire l’intervista qui, in streaming.

Ma l’intervista è anche qua!

Pretty Good Day

La stazione di Modena alle tre del pomeriggio di domenica è deserta. Anche Modena è deserta, tanto che si fa fatica a trovare qualcuno che ti dia un’indicazione su dove sia questo maledetto Parco Novi Sad. Quando lo trovo, anche il parco è coerentemente deserto. Eppure l’appuntamento con Keith, il tour manager di Tori Amos, uno che ogni volta che lo senti al telefono ti chiede prima come stai e solo dopo ti rendi conto che non è ben sicuro dell’identità della persona con cui sta parlando, l’appuntamento, dico, è alle quattro e manca poco. L’unica persona che vedo vicino all’arena è un uomo, africano o afroamericano, con la camicia della security. Gli spiego in inglese che ho un’intervista con Tori Amos e non ci crede. Mi chiede come mi chiamo, gli mostro il tesserino, dico che ho un appuntamento con Keith. “Chiamalo”, mi dice. Lo chiamo. “Ehi, come stai? Ah, sì, stiamo arrivando. Intanto chiedi di Jojo e fatti dare i pass.” Chiudo la telefonata. “Mi ha detto di cercare un certo Jojo”, un nome per me assolutamente plausibile, beatlesiano come sono. “Ah, Giorgio”, mi dice l’uomo con perfetto accento italiano. Scopro poi che viene dalla Costa d’Avorio, che lavora in una tv locale e che vive in Italia da anni. Mah.
Comunque, arriva Jojo accompagnato dall’altra promoter del concerto (molto bellina) che mi dice “L’artista non è ancora arrivata”, accomodati pure. Mi siedo, quindi, aspettando l’artista. E penso che è dieci anni che aspetto questo momento, quindi “Fate pure con comodo”, aggiungo sincero. Rimangono tutti colpiti dalla mia accondiscendenza. Come se uno dicesse “Eh, no, e che cazzo, l’appuntamento era alle quattro, scusate ho da fare, grazie e arrivederci.”

Poi mi chiama Keith. Mi alzo in trance e vado nel backstage. La promoter carina mi accompagna in una stanza, poi dice “no, andiamo in un’altra che c’è il ventilatore”, mi offre da bere, ci manca solo che mi faccia un massaggio.
La prima “cosa” di Tori che vedo è la sua meravigliosa bimba cinquenne, Nathasya o Tash. Mi gironzola attorno un po’, fino a che la bambinaia le dice che la mamma deve fare un’intervista in quella stanza. Tash, a malincuore, se ne va, con io che le faccio ciao-ciao con la mano.
Tori arriva e ci sorride. “Hi guys, please, let me stay for one minute with my daughter.” E allora capisco. Capisco che il fatto che il personaggio centrale della sua autobiografia sia la figlia non è un caso. Prima di qualsiasi cosa Tori, adesso, è una mamma. E quindi deve rassicurare la figlia che tornerà, comunque. Io sono già commosso, il cuore ha smesso di battermi da un paio di minuti buoni. Dopo un altro paio di minuti (e di pulsazioni), Tori arriva, mi sorride ancora, mi stringe la mano ed entriamo nella stanza. Keith mi ammonisce: “Tra dieci minuti busso”, e mi verrebbe da dire “ma come, ieri al telefono avevi detto quindici, oltre a chiedermi come stavo”, ma lascio correre. Che mi frega, sono seduto davanti a Tori Amos, io e lei in una stanza, con lei che è pronta a rispondere alle mie domande, che mi frega. Respiro e vado con la premessa all’intervista, che ho preparato più dell’intervista stessa. Mi confesso. Insomma, le dico che è vero, io sono lì in quanto giornalista, ho le domande pronte, dieci minuti, Keith, sì, sto bene, ma. Ma per me tu, Tori, la tua musica, insomma, sono importanti. Quindi c’è in me un dualismo. Da una parte il giornalista con un occhio al cronometro, ma dall’altra c’è il diciassettenne che si fa consolare da Under the pink e che sussulta ogni volta che sente la tua voce, Tori, e questa parte qua devo farla venire fuori. Facciamo un minuto solo dopo l’intervista, ok?
Tori ride, poi sorride e dice “Ok.” E inizio.
La mia mano sinistra, che regge il microfono, smette di tremare dopo qualche minuto. La voce di Tori è stanca, lei sembra stanca, ma mi fissa negli occhi, quando parla. Ora voi, miei piccoli lettori, mi direte: “Ma come, ti fissa negli occhi e tu riesci a scrivere queste cose? Dovresti essere morto più di ventiquattro ore fa”. E invece no. Perché è come si dice, ve lo giuro. Questa donna è speciale. Ti mette a suo agio senza apparentemente fare niente, anche se è stanca è attenta a quello che le viene detto, ci pensa prima di rispondere ad una domanda (e per quanto mi sia sforzato, è improbabile che le mie domande le risultino del tutto inedite). Tant’è che mi sblocco dal mio mutismo adorante e inizio a conversare con lei, e la sento vicina come l’ho sempre sentita. (Ogni tanto una voce mi ripete “Ma ti rendi conto? Tori Amos è seduta qui davanti a te e state parlando”, ma le dico che deve studiare per il compito di mate e lei torna buona nei miei diciassette anni.)
Quando finisco le domande, il contatore del minidisc segna i dieci minuti. Allora prendo Under the pink e glielo faccio firmare. Poi le dico “Foto?” e ce la facciamo, e poi io penso sia finita. E invece no. Inizia lei a farmi delle domande, e finiamo a parlare della traduzione della sua autobiografia, di Bologna, e poi bussa Keith. “Ho finito”, gli dico. Lui sorride e richiude la porta. Le chiedo scusa. “Mi sento stupido, sai, dopo l’intervista, questa parte da fan sfigato…” Lei sorride (sì, ancora), mi dice che è normale, anzi, le fa piacere, e mi fa i complimenti per l’intervista.
Ora, giornalisti che state leggendo. Quante volte qualcuno che avete intervistati vi ha fatto i complimenti per le domande che gli avete rivolto? A me non è mai capitato, davvero. E lo so, maliziosi, che pensate che lei lo dice a tutti. Ma lasciatemi questo regalo, su. Stronzi.
Usciamo nel caldo torrido. Lei mi abbraccia. “All the best to you.” E se ne va.
Torna la promoter. “Tutto bene?” “Arsadsgasvb”, dico, confidando che lei capisca dal sorriso che voglia dire “sì.” Non contenta, mi regala due biglietti per il concerto. Ma niente massaggio.

E poi, il concerto, ma che ve lo dico a fare. Potrei mai essere obiettivo dopo un pomeriggio del genere? No. Quindi, visto che si è fatta una certa, vi dico solo due cose. Che a metà di ogni spettacolo di questo tour, il concerto si trasforma nel Tori’s Piano Bar. Ricordando il suo passato di pianista di piano bar, appunto, Tori suona un paio di cover. La prima è per me sconosciuta. Nella pausa tra una e l’altra, penso che vorrei urlare e dire “I’m on fire”, e lei sicuramente ci farebbe una battuta sopra. Non riesco a finire il pensiero che inizia a suonare proprio la canzone di Springsteen. Ho le lacrime agli occhi, davvero.
E le ho di nuovo quando penso che non ho mai sentito “Pretty Good Year” dal vivo, nonostante questo sia il terzo concerto che vedo, e lei la fa come primo bis. Il diciassettenne che è in me torna alla ribalta, e pensa a collegamenti psichici da abbraccio, a lei che ride, al rumore dei cubetti di ghiaccio nel suo bicchiere, a Greg che scrive lettere. Non ho maniche su cui si poggiano le mie lacrime*, ma sono sicuro che ci sono.

Quindi, lettori del mio blog, sappiate che state leggendo le parole di un ragazzino che ha realizzato uno dei sogni della propria vita. Perdonate l’eccesso di entusiasmo, la mancanza di arguzia e di senso critico. Una volta tanto tutte queste cose belle e intelligenti possono andare a farsi fottere. Ora vado a ripassare, perché domani ho il compito di latino.

* Sì, è una citazione, ad uso e consumo di chi leggendo queste parole sentirà un nodo allo stomaco.
Un grazie particolare a C., che mi ha sopportato (anche) in questi giorni così intensi.

L’intervista.

Precious Things

—– Original Message —–

From: <lxx.sxx@sonybmg.com>
To: <me>
Sent: Friday, July 01, 2005 11:37 AM
Subject: R: intervista tori amos 3 luglio

Ciao Francesco,
ti confermo l’intervista con Tori Amos, domenica 3 luglio alle ore 16:00 presso il Music Village – Parco Novi Sad (Modena). Quando entri (troverai 2 pass stampa a tuo nome) chiedi di Keith, il tour manager: 0044-xxx-xxx.xxx.
Poi fammi sapere com’è andata…
Buon week end
L.

Come il maiale: un post dove non si butta via niente

Del concerto di ieri dei Sonic Youth e Fantômas a Ferrara non vi dico molto, non ho voglia. Ma, lo ammetto, è stato un concerto strano. I Fantômas sono stati meno bravi della loro apparizione a Bologna. I Sonic Youth, beh, che dire: hanno iniziato nervosetti e hanno concluso alla grande, con un pubblico esaltato come non mai. Un concerto più sporco e meno precisino dell’ultimo che ho visto. Non so se più bello, difficile a dirsi.
Ma la città delle biciclette in questi giorni mi vede di continuo: anche domani, infatti, sarò a Ferrara, al Mel Book Store alle 1830 per presentare l’ultima fatica di quel bel guaglione di Gianluca Morozzi, L’era del porco. Poi andremo a cena, spero, e quindi ci godremo il concerto gratuito di The Faint e Bright Eyes.
Morozzi sarà anche ospite (telefonico) dell’ultima puntata di Monolocane, in onda come al solito giovedì dalle 2230 sui 96.3 e 94.7 MHz bolognesi e provinciali, o se no in streaming qui e qui.
Sulle stesse frequenze, invece, va in onda tra cinquanta minuti circa l’ultima puntata di Seconda visione, in attesa del Gran Galà di martedì prossimo.

Scusate la scarsa fantasia, ma oggi toccherò le undici ore di lavoro. Per ora scrivo queste righe, perché sono a sei, circa.

Ecco l’intervista a Gianluca Morozzi!

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Questa sera tutti da Beck, è festa ye-ye* (Considerazioni sparse e frammentarie, come sempre dopo le feste ben riuscite)

La rassegna “Ferrara sotto le stelle” dà sempre gioie infinite, ma il concerto di ieri di Beck è stato qualcosa di più.
Hanno aperto i Raveonettes, ma non me li sono filati più di tanto: la mia attenzione è stata presa da tre cose, infatti. La prima è stata rendermi conto di quanto il batterista assomigliasse a Micheal Stipe. La seconda, capire se la cantante mi piacesse o meno (alla fine ho capito che non mi piaceva). La terza, capire a che animale assomigliasse un’americana che stava vicino a me: ancora non sono giunto a conclusione.

E poi è arrivato Beck.

Mancava solo il piffero che suonavo alle medie. Beck ha un approccio totale verso la musica: il palco è stracolmo di strumenti, almeno due set di percussioni attive, ma anche diamoniche, sintetizzatori e tastiere, bidoni di latta, ogni possibile variante delle maracas, bassi, chitarre, banjo (suonati per finta), rumori fatti con la bocca, na na nannannanna na na, tamburelli, tutto. E anche i generi toccati sono moltissimi, ma questo, di Beck, già si sa. Egli (adoro scrivere “egli”) rappa, canta, parla, salta, danza. Tutto. Si diverte e fa spettacolo, uno spettacolo totale.

Quanti Losers. Quando iniziano gli accordazzi slide, penso che, allora, la fa. La canzone che l’ha fatto conoscere nel mondo intiero è accompagnata da una foto dell’epoca di Mellow Gold (e non è che il signor Hansen sia cambiato molto, poi). Ovviamente tutto il pubblico canta a squarciagola il ritornello. O, sigh, qualcos’altro…

Intermezzo. Sono vittima di una persecuzione, da tempo: a qualsiasi concerto io vada, dietro di me ci sono sempre degli ubriachi, piuttosto imponenti fisicamente e di solito di origine veneta, che riescono in alcune imprese:
1. tenere a voce altissima un discorso che fondamentalmente prevede una persona A che dice “la conosci questa?” e una persona B che dice “no”: beh, riconosco loro una certa capacità dialettica e polmonare, visto che un dialogo del genere dura almeno venti minuti e riesce ad essere perfettamente udito nel raggio di cento metri, senza badare ai watt emessi dagli amplificatori;
2. usare le canzoni che sono suonate al momento per intonarci su cori da stadio o, più semplicemente, insulti di vario tipo, a caso o verso qualche particolare nemico del gruppo di alcolizzati: il tutto sempre ai toni indicati al punto uno;
3. nel momento in cui qualcuno fa notare loro che, insomma, vorrebbero sentire il concerto e non “daimoruzzifacciilgol, facciilgooooooool”, diventano educatissimi, chiedono scusa e stanno zitti: per un minuto esatto, per poi ricominciare esattamente come prima.

Heart. Beck ama la chitarra acustica, e tocca la vetta più alta del concerto quando riprende la sua cover di “Everybody’s gotta learn sometimes”, in maniera ancora più intima che nella colonna sonora di Eternal Sunshine. E io ho già gli occhi lucidi. Niente in confronto ad uno al mio fianco che, quando si passa al pezzo successivo, e poi a “The Golden Age”, scoppia in lacrime. Appena però gli altri componenti del gruppo, seduti ad una tavola apparecchiata, iniziano ad usare piatti, bicchieri e posate per accompagnare il brano, urla tra le lacrime “Stronzi” e si copre il viso con le mani. Mah. Secondo me è uno che è stato traumatizzato dal concerto del 1980 degli Skiantos**, e appena vede delle stoviglie su un palco impazzisce.

All Tomorrow’s Parties. Alla fine del concerto, salgono una ventina di persone del pubblico e, finalmente, mentre tutti ballano intorno a me, e sul palco, e tutti suonano qualcosa o percuotono qualcos’altro, capisco di essere ad una delle feste più divertenti della mia vita. Uscendo, effettivamente, nessuno usa la parola “concerto” e nessuno si preoccupa di avere fatto casino a casa Beck. Non vedo l’ora che mi inviti di nuovo. Magnifico.

* Il titolo è un omaggio ad una trasmissione radiofonica meravigliosa, che però non c’è più.
** Freak Antoni parlerà dei Beatles proprio stasera, dalle 2230, nella penultima puntata di Monolocane, una trasmissione radiofonica un po’ meno meravigliosa, che potrà essere ascoltata qui o qui. Perché dei Beatles? Perché esattamente quarant’anni fa facevano la loro prima e unica comparsa in Italia. Sì, ogni occasione è buona, ‘mbè?

Ecco l’intervista a Freak Antoni!

[mixcloud https://www.mixcloud.com/Monolocane/monolocane-23-giugno-2005/ width=100% height=120 hide_cover=1]

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