L'immortalità e Jacopo Ortis

Mi è venuto da pensare alle persone che ho conosciuto, un po’ come il mio fratello di parole. Ma non, come lui, alle persone che ho conosciuto nella vita reale, ma alle persone conosciute in rete. Mi ricordo quando, diciottenne, facevo i miei primi dialoghi nelle chat con mIRC. Mi ricordo delle prime persone che ho conosciuto, ovviamente, non prendiamoci in giro, donne. Donne delle quali pensi, ovviamente, che siano bellissime, interessanti, insomma, la/le donna/e della tua vita. Poi, ovviamente, spesso le cose stanno diversamente. Anzi, sempre, se no la donna-della-mia-vita l’avrei incontrata (a patto che esista). Poi, dopo un po’, capisci che non devi aspettarti niente, se non una piacevole chiacchierata. E ho vissuto questi incontri, negli ultimi anni, con questo stato d’animo. E le cose sono andate decisamente meglio.

Penso anche alle parole che ho donato a queste persone, prima di incontrarle. Parole spesso seducenti, non troppo calcolate (a volte sì, lo ammetto), ma comunque naturali. Non è un paradosso. E mi chiedo quante si ricordino delle mie parole. Quante delle mie parole siano rimaste nel loro animo. Di solito penso poche, poi, magari, mi capita di incontrare queste persone, e invece a volte scopro che molte delle mie parole sono lì, dentro di loro. E la cosa mi porta ad altre riflessioni, in una catena di pensieri che, come dice Zazie, è bellissima perché potenzialmente infinita.

E penso, quindi, a Foscolo e ai Sepolcri. Molti di voi inizieranno a pensare “ma chi cacchio me lo fa a continuare a leggere questo folle montato?”. Invece no. Perché secondo il geniale poeta, la memoria fa sì che le persone sopravvivano alla morte. Mica roba da poco. Highlander. L’immortalità. Roba da fare impazzire Dracula, alchimisti, Liz Taylor. Le persone sopravvivono nella memoria delle persone che hanno loro voluto bene. E penso se le mie parole potranno fare questo (in scala estremamente più ridotta, c’è bisogno di specificarlo?).

Foscolo. Un nome che incute terrore. Colpa del sistema scolastico e degli insegnanti. E invece no, parte seconda. Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Una volta usai questo libro per un seminario di scrittura che tenni in una scuola superiore. I ragazzi, ovviamente, inorridiscono non appena dico loro che useremo quel libro. Ma io mi faccio coraggio (era il primo anno che tenevo dei seminari) e leggo una lettera in cui Jacopo dice di essere innamorato della sua bella. E dice cose come “ma che bella l’erba, anvedi quant’è verde! E il cielo! Ma che meraviglia quanto è grande!”. Insomma, un perfetto deficiente come siamo tutti quando siamo innamorati.
I ragazzi sono rimasti meravigliati, e spero nel mio cuore che qualcuno, poi, si sia messo a leggere Le ultime lettere, di nascosto, come si leggerebbe una copia di “Le Ore Mese”.

Insomma, Jacopo/Ugo era un essere umano, alla fine, come tutti noi. E, come tutti noi, aveva un terrore schifoso di morire. Però io non credo che le cose raccontate ne I Sepolcri fossero un puro palliativo.

Domani si torna a parlare di meteorismo.