Cyrano e le parole che muovono
Per lavoro ho letto il testo di Rostand e ho rivisto il film di Rappeneau.
“Per lavoro, hai capito? C’è gente che spacca le pietre, gente che ara i campi, gente che fa il capo del Governo e gli tocca fare tante altre cose insieme e lui… legge per lavoro. Dove andremo a finire…”
Il film lo ricordavo bene, l’ho visto quando è uscito, al cinema. E dopo poco mi sono dimenticato che, come il testo originale, è tutto in rima. Non ricordo le esatte sensazioni che ho provato allora, ma di sicuro ricordo che non mi ero annoiato. E che nel film non c’è la frase-da-cioccolatino su “baci e segni ortografici” (sapete a cosa mi riferisco). Scelta coraggiosa. E azzeccata. Ma di questo parliamo dopo.
Ho letto il libro in una traduzione in prosa, scritta da Franco Cuomo. Scelta coraggiosa anche quella. Infatti, l’unica traduzione in italiano di Cyrano de Bergerac è del 1898, di Mauro Giobbe, quindi contemporanea all’opera di Rostand, e rigorosamente in versi. La versione in italiano è stata un successo, nel 1977, quando venne presentata a Parigi. L’ho letta e non mi sembra male. Riesce a conservare una musicalità anche nella prosa. Ma, rivedendo il film, mi è venuta voglia di rileggere il testo in poesia.
Nota ulteriore: i dialoghi italiani del film sono tradotti molto bene da Oreste Lionello. Dimenticatevi il Bagaglino e pensate al grandissimo lavoro che ha fatto con i film di Allen (non sempre) e con il doppiaggio di Monty Python – Il sacro Graal. Non che io sia un fanatico del doppiaggio, anzi. Ma se proprio va fatto, almeno sia fatto bene. Tanto di cappello al prode Lionello.
“No, si è messo a parlare in rima. Speriamo che torni allo stile di prima”
La storia di Cyrano è nota ed arcinota. Infatti non è quella che mi ha emozionato, quella si conosce. È appunto ciò che dicevo prima sulla frase da cioccolatino. Basta. Che palle. Non trovarla nel film è bellissimo, distacca la storia da quello-che-già-si-sa.
Quello che mi ha scosso sono state le parole, le parole che scorrono meravigliosamente, che si accavallano, e giocano e scherzano e ridono. E commuovono, appunto. Con i loro tempi, le loro pause, anche nella versione in prosa, letta da me nella mia stanzetta. Questa è la fine del terzo atto. Cyrano ha combinato la cosa tra sua cugina Rossana. Rendiamoci conto: ha fatto sposare la donna della quale è innamorato da sempre con il giovane cadetto del suo reggimento, Cristiano. E stanno per partire, per andare in guerra. Dolore generale. Rossana, appena sposata, vede il marito partire per la guerra. A Cyrano della guerra non può fregare di meno. Ma ha compiuto un suicidio amoroso. E se ne rende conto. Tutto grazie alle sue magnifiche parole. Che, credo, ami almeno quanto Rossana.
ROSSANA (a Cyrano, trattenendo Cristiano, che lui cerca di tirar via): Lo affido a te… Promettimi che non correrà rischi!
CYRANO: Farò il possibile… ma non posso promettere niente.
ROSSANA (come sopra): Promettimi che sarà prudente!
CYRANO: Sì, cercherò, ma…
ROSSANA: Che non avrà mai freddo!
CYRANO: Ci proverò, ma…
ROSSANA: Che sarà fedele!
CYRANO: Sì, certo, però…
ROSSANA: Che mi scriverà!
CYRANO (fermandosi): Questo sì – te lo prometto!
Le parole. Nient’altro. “Creiamo un eroe da romanzo” dice Cyrano a Cristiano. “Io ci metto le parole e tu la bellezza”. A prescindere dalla morale, dalle storie su bellezza interiore ed esteriore, quello che mi affascina, alla fine, son le parole, la creazione e la commozione alla quale mi hanno portato, ancora una volta.
Mica per niente questo diario urbano ha anche a che fare con l’amore per le parole.
Beh, sì. A volte anche con l’amore-e-basta.