Immaginazione
Quindi, Google ha creato un motore di ricerca per immagini. Come funziona? Ve lo spiegano qua. Comunque, il principio è lo stesso di un motore testuale: si mette un’immagine nella casella delle stringhe di ricerca (copiandone il link o caricandola) e Google trova immagini simili, se non uguali, e il nome del posto raffigurato nella foto, o dell’opera d’arte, eccetera eccetera. Incuriosito, ci ho provato anche io.
Prima di tutto ho caricato una fotografia scattata in vacanza, l’anno scorso: si tratta di una veduta di una spiaggia vicino ad Alghero. I “risultati” di Google sono stati la foto di spiaggia venezuelana e… delle macchine (cliccate se volete vedere la foto ingrandita).
Poi ho incollato l’URL di una piccola immagine aerea del castello della mia città natale (questa): stavolta Google ci ha beccato, mostrandomi copie della stessa immagine panoramica… che però assomiglia molto a un rospo (o altro animale) sull’erba.
Quindi ho messo la foto che uso nel profilo di qualche social network e mi ha beccato in pieno, nome e cognome. Infine ho provato con il Puffo Quattrocchi: Google lo riconosce benissimo, ma ha visto solo la versione iberica del cartone. La parola che compare è “pitufi”, che è davvero il nome dei Puffi in Spagna.
E infine ho fatto la prova dello specchio con questa foto presa dalla rete.

Il soggetto si riconosce benissimo.


Ce ne sono due, in realtà, di miei omonimi: ma uno credo sia un ragazzino toscano particolarmente dotato nella corsa. Insomma, un mio opposto. Di persone che invece compaiono digitando il mio nome su Google, ce n’è una che mi incuriosisce, e che ultimamente sta toccando da vicino la mia vita.
“Oggi me ne vado via prima”, aveva detto ai colleghi. “Eh, già”, l’aveva canzonato uno di loro. “Oggi ti porti a casa la dottoressa…”. Gli altri avevano riso, e anche lui si era lasciato andare a una risatina. Perché lo sapeva che era invidia, la loro. Gliel’aveva letto in faccia quando lei era andata al banco per la prima volta, e si era fatta servire di totani e sarde da lui, e da nessun altro. Avevano parlato, mentre lui puliva rapidamente i pesci davanti ai suoi occhi: era in paese per occuparsi dell’apertura di una nuova galleria d’arte. “Arte”, aveva detto lui. “Contemporanea”, aveva aggiunto lei. “Anche se mi sono laureata in storia dell’arte medievale”, aveva concluso. Non gli staccava gli occhi di dosso. Per carità, Salvatore piaceva alle donne, ma… a una laureata? Che cosa mai avrebbe potuto trovarci in uno come lui? E invece la dottoressa, così l’avevano nominata da subito gli altri pescatori, era tornata altre volte, e, tra un foglio di giornale arrotolato e una testa di pesce che guizzava, staccata di netto dal corpo con un colpo secco di coltello, lei e Salvatore parlavano, sorridevano e si guardavano.
Fino a che, qualche giorno prima, lei l’aveva spiazzato. “Vieni a cenare da me? Ma cucini tu, che ne dici?” gli aveva chiesto. L’ultima volta che Salvatore era arrossito faceva le elementari: se lo ricordava benissimo. Maria, la prima della classe, gli aveva detto, davanti a tutti, che era innamorata di lui e che da quel momento lui era il suo ragazzo. Avere voti alti, evidentemente, era un passe-partout invincibile. Lui, allora, aveva abbassato gli occhi senza dire nulla. Di fronte alla richiesta della dottoressa, gli occhi di Salvatore si erano abbassati di nuovo, mentre mormorava un “Magari andiamo a cena da qualche parte?”, abbastanza piano perché lei non sentisse nulla, ma non abbastanza perché un “Sì, vabbè” di risposta non arrivasse da qualcuno dei suoi compagni. “Come?” aveva detto lei. “No, dicevo che porto il pesce spada”, aveva detto lui. Si erano guardati a lungo, prima di accordarsi e dopo, e poi se n’era andata.
Salvatore si era tolto il grembiule e aveva salutato tutti, ma un urlo lo fece tornare indietro. “‘U pisci“, aveva sbraitato uno, agitando un cartoccio con dentro la cena di quella sera. “Grazie”, aveva mormorato Salvatore. “E prego”, aveva detto di rimando quello. “E salutaci tanto la dottoressa, eh”. Salvatore se ne andò sorridendo, ma era attanagliato dalla mattina da un dubbio. Come cucinare quel pescespada? Doveva trovare una ricetta in grado di stupirla, non le solite cose. Qualcosa che lo ponesse sul suo livello, almeno a tavola. Qualcosa di… Ecco, di “contemporaneo”, come aveva detto lei. Ma forse anche qualcosa di più. Rimase a lungo sotto la doccia, fintanto che la puzza di pesce si attenuò per diventare una parte dell’odore della sua pelle, tutt’altro che sgradevole. Poi, vestito con un asciugamano addosso, si mise al computer. Rimase sul pescespada, ma deviò dal “contemporaneo”, andando a casaccio, inserendo parole nel motore di ricerca, senza trovare nulla di convincente, perdendosi tra pagine e pagine che parlavano di tutto, tranne che di cucina di alto livello, per laureati. Si rese conto d’improvviso che era tardi, doveva andare. Ma che fare? 





