pioggia

Magical Fantozzi Tour, con un tocco "fellinesque"

È inutile: ormai ogni volta che vado a Roma, piove. Scrivo questo noncurante del fatto che i romani che hanno commentato il mio post precedente ormai possano bollarmi come iettatore: affronterò l’eventuale realtà.
Mi sono reso conto, però, dei collegamenti tra me e il ragioniere soltanto sul treno del ritorno.
Prima di tutti, ovviamente, la nuvola da impiegato. Avevo bisogno di questo fine settimana, e me lo immaginavo soleggiato, con quell’aria meravigliosa che solo Roma può avere. Invece ho avuto, almeno per il giorno-e-mezzo in più che mi sono preso di vacanza, cielo lattiginoso e pioggerellina. Molto british, non c’è che dire. Ma se lo volevo me ne andavo a Londra, no?
Poi c’è stato il passaggio sulla tangenziale est, tra la Prenestina e San Lorenzo, con precisa indicazione, da parte del fratello, del balconcino dal quale il ragioniere si cala per prendere il bus al volo, nel primo film. All’epoca quel tratto di tangenziale è chiusa. Adesso, invece, è realmente possibile scendere dal terrazzino e immettersi nel traffico dell’Urbe, con un innocuo saltino. Progressi dell’urbanistica.
Infine sono andato a mangiare la quaglia, per la prima volta in vita mia. Lo ammetto: ero terrorizzato, pensavo che il volatile, sebbene più che morto, saltasse grazie alla mia imperizia su teste e tavoli altrui. Invece l’ho domato, senza che il mio viso diventasse rosso pompeiano o, peggio, blu tenebra.

E la parentesi felliniana, direte voi? C’è stata domenica mattina, prima che partissi. Sono andato a vedere le case romane del Celio: dimenticatevi le rovine, via dei Fori Imperiali, il Colosseo. Questo sito archeologico vi fa entrare in case e botteghe, vi fa camminare in stretti vicoli, vi mostra affreschi bellissimi. Uno li guarda e si aspetta sempre che, come in Roma, il venticello della capitale li faccia volar via, per sempre.

Alfieri

Mi ero preparato per bene un programmino per la Notte Bianca di quest’anno: mi sarebbe piaciuto andare a sentire Benigni al Campidoglio, ma ne avrei anche potuto fare a meno, a dire il vero. Mi sarebbe piaciuto andare a vedere l’esposizione della testa colossale di Costantino (l’imperatore, non il tronista, e in questa parentesi mi rendo conto di come siamo messi), così come l’antologica di Pazienza.
Non avrei perso per nulla al mondo il concerto di Elio e le storie tese a San Lorenzo. Perché, poi. Ho visto il simpatico gruppetto quasi una decina di volte, quasi sempre gratis, vestito da Zorro, in quattro regioni diverse. Ma è più forte di me: quando sono nei paraggi, non resisto.
Nonostante tutto questo, la pioggia che è caduta continuamente durante la notte bianca mi stava facendo desistere, lo ammetto. Starò invecchiando, starò diventando idrosolubile, non so, insomma, stavo per andarmene, dopo una lunghissima introduzione fatta di finti stornelli romani, dopo la mia solita maledizione-da-concerto, per cui mi ritrovo sempre dei tifosi dell’Andria dietro che urlano e urlacchiano alle mie spalle.
Invece sono rimasto, e ho visto il più bel concerto di EELST della mia breve vita.
Vi basti la scaletta, che ha compreso “A.T.A.T.V.U.M.D.B.” (confesso che ho sperato si materializzasse Giorgia e che, dopo aver cantato, facesse un catartico harakiri), seguita da una bellissima canzone degli Area, “Hommage à Violette Nozières”. E poi “Caro 2000”, durante il quale delle ragazze (giuro) mi hanno offerto del Vov (e non dello Zabov) e “Litfiba tornate insieme”, che è stata fatta in anteprima in un concerto a Bologna qualche anno fa, e che aveva lasciato tutti a bocca aperta. E poi ancora un pezzo che non avevo mai sentito dal vivo, “Nella vecchia azienda agricola”, che mi ha fatto venire in mente la mia cassettina registrata, la prima cosa di Elio che ho sentito, il loro primo disco. “Giocatore mondiale”, hanno fatto anche quella, cari i miei rosiconi. E dopo? “Acido lattico”, rendiamoci conto.
Avevo già deciso di comprare il cd brulè, e mi stavo recando verso il banchetto apposito, quando…
Quando, sotto la pioggia battente, è iniziata “Alfieri”.
A questo punto, miei piccoli lettori, so che vi siete già divisi in due gruppi. Qualcuno di voi si sta continuando a chiedere: “Ma di che cazzo sta parlando, questo?” Ma altri tra voi stanno piangendo e si stanno maledicendo per non essere stati a Roma ieri.
“Alfieri” non è nel cd, non rientra nella registrazione. Sulle prime me la sono presa, ma poi ho pensato che è stato veramente un regalo a quelli che, come me, sono rimasti a prendersi la pioggia.
Adesso qui, nel mio letto d’ospedale, con un respiro che neanche Mimì de La Bohème, ripasso mentalmente il testo della canzone, cantato con sguardo fiero e pieno di gratitudine per l’uomo del Giappone.
(L’ultima frase, ovviamente, è comprensibile solo a quelli che sono riusciti ad arrivare fino a qua, con gli occhi pieni di lacrime).

Update. Mi sono ricordato che, come intermezzo tra “Il vitello dai piedi di balsa” e la reprise, è stata suonata… “Cateto”. Ca-te-to.

Torna in cima