Free
Tra tutte le parole importanti, care e cari, “free” ha un posto particolare. Comprensibile a chiunque, spesso legato al sostantivo “freedom”, questo aggettivo è una ventata d’aria per il dissidente imprigionato, per il consumatore squattrinato, per il pensiero oppresso. E anche per il lavoratore atipico.
Ne inizio a comprendere i diversi significati con il passare del tempo, e con l’esperienza. Eccone alcuni.
Letteralmente “stampa libera”, in realtà il “free press” è un giornale o giornalino o giornaletto che viene diffuso gratuitamente per strada o nei locali. Può essere informativo (City, Leggo, Metro), con tendenze di costume (Urban) o semplicemente pieno di appuntamenti ed eventi che si svolgono nella città in cui viene distribuito. Un paio di mesi fa mi contatta un free press di quest’ultimo tipo, con sede a Bologna, e mi chiede di scrivere di cinema per loro. Nella mail si intende chiaramente che non potrò essere pagato. Ed ecco il duplice significato della parola gratis. Non paghi per prenderlo, non paghi per scriverci sopra. Siccome è una vita che lavoro gratis, tento al primo colloquio che ho con il direttore di ottenere qualche vantaggio materiale dalla mia eventuale collaborazione con il giornale. Dopo avere scartato un pagamento in termini di “visibilità” (visto che, sebbene la mia firma in fondo all’articolo sia in grassetto, sempre di carattere in corpo tre si tratta), dopo avere rifiutato un compenso in forma di caciotta venuta direttamente dalla Sicilia, fatta con le pecore della prozia della redattrice, riesco a piegare i vertici del free press per farmi avere una tessera che mi permetterebbe di andare a vedere tutte le proiezioni di un noto multisala cittadino gratis, free. E quindi accetto.
Per scoprire che la tessera è sospesa durante i primi dieci giorni di programmazione di qualsiasi film. Qualsiasi. Ora, dovendo guardare i film al massimo entro una settimana dall’uscita, per assolvere i miei doveri radiofonici, la tessera si rivela fondamentalmente inutile.
Rimane, quindi, il problema di fare dei soldini da qualche parte, per sfruttare il tempo libero che il lavoro part time mi lascia. Scartando alcune attività a me poco consone (tipo carpentiere, maestro d’asilo, fisico nucleare e, soprattutto, capo del mondo, che richiederebbe – ne sono certo – un full time che non mi posso permettere), penso ad un’altra tessera che ho e mi butto verso il giornalismo free-lance.
Il giornalista free-lance, spesso, è un piazzista. Tenta di vendere a chiunque qualsiasi cosa che ha scritto in vita sua, dalla lista della spesa ai dossier segreti del KGB (in questo caso, ovviamente, non appare la sua firma in calce). Fondamentalmente tutti cercano un giornalista free lance. O meglio, tutti sono disposti ad avere servizi incredibili, magari da zone delle quali gli inviati dei giornali non frequentano neanche gli alberghi. Io, al massimo, potrei fare un servizio dal Pilastro*, ma comunque mando lo stesso il mio curriculum qua e là, dovunque si richiedano delle collaborazioni di qualche tipo. Ed ecco la mail che ho ricevuto stamattina.
Gentile Utente,
la ringraziamo per averci contattato e per averci inviato il suo curriculum via mail, l’annuncio pubblicato nelle offerte di lavoro di XXX, in realtà riguarda la nostra ricerca di collaboratori free lance disposti a scrivere recensioni a titolo gratuito e volontaristico, naturalmente tutti i collaboratori usufruiranno degli accrediti stampa per seguire gli eventi da recensire, se questa offerta dovrebbe essere di suo gradimento e le interesserebbe collaborare con la nostra testata giornalistica, la invitiamo a contattare il nostro direttore responsabile, drt. YYY che le spiegherà tutte le modalità per l’inizio della collaborazione.
Ringraziandola ancora per la sua disponibilità e complimendomi con lei per il suo brillante curriculum, le porgo i nostri più cordiali saluti.
* Quartiere periferico di Bologna, dotato di fama sinistra e malavitosa (ma secondo me non è male).