ricerca di lavoro

Pura Accademia

Alla mail del blog mi è arrivata una lettera che dice:

Cari Colleghi e Bloggers,
sperando di fare cosa gradita, invio in calce le informazioni relative al Corso on-line “Come trovare o cambiare lavoro”, attivato dall’Accademia del Tempovissuto. Se avete bisogno di altre informazioni o per proporre collaborazioni, non esitate a contattarci.
Con viva preghiera di diffusione.
Un cordiale saluto
Ufficio Stampa Accademia del Tempovissuto


La cosa mi affascina da subito. In allegato alla mail ci sono le immagini che pubblicate qua e il programma del corso citato, che scopro è a cura del professor Giacomo Papasidero. Oltre ai punti didattici fondamentali, che sono quelli dell’immagine, c’è una bibliografia di cinque volumi tutti sulla linea del “Conosci te stesso” e “Sii più figo in dieci minuti”. Oh, il self-help magari funziona.
La valutazione del corso è “la riuscita o meno degli allievi nella ricerca di un lavoro: ottenere più colloqui sarà un parametro utile per monitore l’intero processo, fermo restando che l’ambizione finale del corso è di consentire agli allievi di trovare un’occupazione.” Oh, magari Lapalisse è un genio incompreso.
Il costo del corso è 200 euro esente IVA. Oh, hanno sicuramente bisogno di soldi.
Sempre più curioso vado al sito dell’Accademia del Tempovissuto. Le sezioni sono quelle di un sito accademico vero e proprio. Dalla home page. Eh già, perché entrando nelle singole pagine si ha un’idea più precisa di cosa sia l’Accademia: anzi, partendo proprio dalla pagina dell’Accademia si scopre che questo ente on-line ha come scopo un fine culturale Alto (la maiuscola è loro) che consiste nella trasmissione di sapere.
Ah, ecco.
Il metodo, invece è… una serie di lezioni, con dispense, appunti, aree riservate agli studenti. Sì, ma che corsi posso frequentare?
Uno: “Come trovare o cambiare lavoro”, tenuto dal docente già citato. Ma i docenti quanti sono?
Due: Giacomo Papasidero. E Marco Papasidero. Curioso caso di omonimia.
Alla sezione Bandi e concorsi si vede che le selezioni per i nuovi docenti sono terminate. Selezione dura: non hanno preso nessuno, come si evince dalla pagina dei docenti.
Alla sezione Contatti ci sono mail, nome Skype, cellulare e l’organigramma. Se vi dico che il responsabile è Giacomo Papasidero scommetto che indovinerete il nome del Responsabile didattico e amministratore.
Torno alla mail. In fondo a tutto, oltre a un link per iscriversi, c’è anche un collegamento indicato come “Non sei ancora convinto?”. Ci ho cliccato sopra, sperando di andare a un sito neoevangelico o alla pagina iniziale di Google. E invece no, c’è un modulo da compilare.
In conclusione: forse non troverete lavoro, ma ora sapete che fare dei dati del vostro peggior nemico.

Come distruggere l'inconscio collettivo superiore di una generazione

Queste righe non sono per voi, persone che mi conoscete, che mi frequentate, che condividete con me luoghi di lavoro, di divertimento, amicizie e affetti.
Questo post è per chi non ha idea di chi ci sia dietro a queste pagine, se non intuitivamente: dico tutto questo perché chi mi conosce ha sentito le parole che seguono migliaia di volte.
Per tutti: questo è un post serio. Cominciamo.

Da qualche anno a questa parte, quando mi confronto (profondamente o superficialmente) con i miei coetanei, maschi o femmine che siano, sul vago tema del lavoro, del futuro, delle aspettative, quello che incontro è principalmente sconforto, depressione, malumore, frustrazione. Questi sentimenti sono più che diffusi soprattutto tra chi, come me, lavora in ambito culturale, ma in realtà – sebbene con modalità diverse – sono davvero comuni a tutta la mia generazione di più-o-meno trentenni. Badate bene che questo sentire è limitato al lavoro e agli ambiti di cui ho parlato, e non ha nulla a che fare, almeno in prima battuta, con la sfera affettiva ed emotiva.
Insomma: siamo tutti sottopagati, attaccati a lavori poco gratificanti, o gratificanti ma svolti praticamente gratis, non abbiamo prospettive di carriera, se abbiamo un contratto (se) è a tempo determinato. E di solito scade in una manciata di mesi, e poi chissà.

Dal punto di vista politico-economico, non sarò di certo io a dirvi che conseguenze abbia questo malessere. Ma rendiamoci conto che questo stato d’animo sta minando psicologicamente una generazione intera. Qual è questa generazione? Beh, essendo il nostro un Paese di vecchi, in cui l’unica forma costante di potere che esiste e si riproduce è quella della gerontocrazia, noi non siamo neanche lontanamente la “classe dirigente”. Se resisteremo, lo saremo tra una ventina d’anni come minimo. Una ventina d’anni in cui, con ogni probabilità, continueremo a sopravvivere attraverso le solite frustrazioni, delusioni, fragilità.
Supponiamo ora che, dopo questo faticosissimo iter, uno arrivi ad occupare una qualsiasi “posizione di potere”: quanta forza d’animo ci vorrebbe per rendersi conto di essere vecchio, inadeguato, naturalmente non più al passo coi tempi, per tirarsi indietro almeno un po’? Tanta, tantissima, e probabilmente questa forza sarà stata prosciugata da tutti gli anni di fatica, quindi non ne rimarrà neanche l’ombra. Risultato? Anche noi perpetueremo uno dei grandi mali d’Italia, la gerontocrazia, appunto.

Ma anche nel presente, nel quotidiano che viviamo ogni giorno, questo stare male si ripercuote su quello che produciamo. Pur sapendo che il lavoro è fatica, sempre, questo stato d’animo diffuso evidentemente ci fa comunque rendere meno: un eventuale calo di risultati diventa quindi un’ulteriore “riprova” del fatto che “ne abbiamo ancora da imparare”. E di nuovo il sistema gerontocratico si autoalimenta.

Secondo Jung, l’inconscio collettivo superiore, opposto a quello inferiore, legato al passato, è direttamente connesso al futuro. Il futuro. Quale futuro? Io, sinceramente, non sono un pessimista, ma non riesco davvero a pensare al mio futuro. Non ho alcun tipo di sicurezza, fare le cose bene non mi garantisce nulla (meritocrazia, cos’era costei), il sistema premio-punizione, alla base della socializzazione non solo primaria dell’individuo, è stato scardinato da un bel po’. Quindi si sta come sugli alberi le foglie, come diceva quel poeta che tanto amo; ma lui parlava d’autunno: io credo invece che la nostra caducità sia perenne. Anche per questo tanti miei amici hanno gastriti, soffrono di insonnia, di broxismo, sublimano la loro condizione con dipendenze di vario tipo. Questo, direte voi, è sempre successo. Sì, ma non in queste proporzioni, non con questa frequenza, non con questo riscontro globale, per cui si incontrano delle persone in vacanza, diversissime per estrazione, aspirazioni, studi, e dopo cinque minuti si parla di certe cose come se si condividesse da anni lo stesso ufficio.
E non riusciamo neanche più a protestare, e questo è il vero dramma, perché siamo terrorizzati che la sediolina sulla quale stiamo, rotta, scomoda, sporca, potrebbe essere l’ultima che ci viene concessa.

E poi dicono che non c'è lavoro…

Non ho mai smesso di guardarmi intorno, da quando ho iniziato a lavorare, per trovare eventualmente altre possibilità, impieghi aggiuntivi, collaborazioni, sfruttamenti. Tanto per raggiungere la cifra strabiliante di mille euro al mese (lordi), traguardo tuttora lontano. Anzi, ultimamente, purtroppo, questa ricerca è spinta da motivazioni sempre più reali e pressanti. Ogni giorno scartabello siti che offrono impieghi di vario tipo, compreso “MioJob” di Repubblica.
Qualche tempo fa, proprio su quel sito, noto un annuncio, un’offerta di lavoro dalla RAI. Incredibile, considerando che l’azienda è praticamente inespugnabile. Quindi vado a leggere quello di cui Mamma RAI ha bisogno, pronto ad accogliere le sue proposte, si trattasse anche di cambiare l’immagine su tutti i computer di Viale Mazzini, per evitare noia e abitudine, e per stimolare alla produzione i sottoposti con donne nude, tramonti, bradpitt, simpatici cuccioli di cane. Si tratta, però, di tutt’altro.

Leggete qua: cercano un produttore televisivo, che abbia maturato significative esperienze in grandi produzioni televisive (e non di altro tipo), al massimo di trent’anni d’età.

Insomma, come se l’Einaudi cercasse manoscritti di uno che abbia vinto il Pulitzer. Al massimo di quarant’anni d’età, però, che – si sa – si rimane giovani scrittori fino ai cinquanta.

Di |2007-06-12T15:55:00+02:0012 Giugno 2007|Categorie: We Can Work It Out|Tag: , , , , |8 Commenti

I bei mestieri di una volta

Le persone della mia generazione parlano di lavoro più che di sesso. Il lavoro è l’ossessione, tutti sono precari, tutti sono stressati, tutti stanno come d’autunno sugli alberi le foglie. Quando tira molto vento.
Ma in fondo, come direbbe un anziano qualsiasi sull’autobus, è che noi i lavori non vogliamo farli. Inutile, quindi, offrire il proprio corpo per un contratto a tempo indeterminato (visto che lei lo offre per una notte, al massimo potrebbe avere un contratto a progetto, eh insomma: che poi, sarà vero, sarà falso, sarà che non ce ne può fregare di meno?). Perché di lavori ce ne sono.
Io, per esempio, sono iscritto ad un sito che, attraverso una newsletter settimanale, mi offre diverse possibilità di lavoro. Di solito le figure che vengono cercate sono “Agenti venditori monomandatari”, cioè persone che vendono X e guadagnano solo se vendono, se no ciccia (e io mi chiedo: ma con la crisi che c’è, signora mia, chi compra?).
Qualche giorno fa, però, mi è arrivata una proposta interessantissima: mi è stata offerta una posizione seria, rispettosa, di classe. Mi è stato offerto di fare il maggiordomo. Ho pensato subito a Anthony Hopkins in Quel che resta del giorno, ad Alfred in Batman, a innumerevoli libri e sceneggiati. E ai gialli: quindi ve lo dico da subito. Sono stato io. È sempre il maggiordomo, il colpevole.
Soprattutto se ha un contratto interinale.

Ciò che pratica Lorenzo P. (5 lingue parlate e scritte – esperto informatica – web marketing/web promotion)

curriculumCaro Lorenzo P.,

ignoro perché tu mi abbia mandato un curriculum. Io, sai, faccio parte di quelli che i cv li mandano, e sperano che qualcuno li legga. Probabilmente hai trovato il mio indirizzo insieme ad altri, o hai usato uno di quei programmini che creano le liste a cui mandare spam, non lo so. Spero per te che tu non sia messo così male da avermi mandato consciamente il tuo curriculum, ma credo sia un’ipotesi improbabile. Comunque, proprio perché spero che qualcuno legga le cose che mando in giro, ho letto quello che hai fatto, e sono rimasto sinceramente impressionato. Hai un paio di anni più di me e hai fatto e studiato una quantità di cose che io forse riuscirei a fare in due vite. Mentre lo leggevo pensavo che avrei potuto inoltrarlo a qualcuno, per darti una mano. Siamo tutti nella stessa barca, in fondo.

Poi, arrivato alla fine, ho letto i tuoi interessi, una parte del curriculum che io stesso valuto poco, sbagliando. E ho visto che, cito, pratichi musica, chitarra, canto, vela, letteratura, scrittura, poesia, volontariato internazionale, moto, tennis, pallavolo, trekking, enologia e gastronomia internazionale.

Potevi dirlo subito che volevi lavorare alla redazione di “Gusto” del TG5.

Free

Tra tutte le parole importanti, care e cari, “free” ha un posto particolare. Comprensibile a chiunque, spesso legato al sostantivo “freedom”, questo aggettivo è una ventata d’aria  per il dissidente imprigionato, per il consumatore squattrinato, per il pensiero oppresso. E anche per il lavoratore atipico.
Ne inizio a comprendere i diversi significati con il passare del tempo, e con l’esperienza. Eccone alcuni.
Letteralmente “stampa libera”, in realtà il “free press” è un giornale o giornalino o giornaletto che viene diffuso gratuitamente per strada o nei locali. Può essere informativo (City, Leggo, Metro), con tendenze di costume (Urban) o semplicemente pieno di appuntamenti ed eventi che si svolgono nella città in cui viene distribuito. Un paio di mesi fa mi contatta un free press di quest’ultimo tipo, con sede a Bologna, e mi chiede di scrivere di cinema per loro. Nella mail si intende chiaramente che non potrò essere pagato. Ed ecco il duplice significato della parola gratis. Non paghi per prenderlo, non paghi per scriverci sopra. Siccome è una vita che lavoro gratis, tento al primo colloquio che ho con il direttore di ottenere qualche vantaggio materiale dalla mia eventuale collaborazione con il giornale. Dopo avere scartato un pagamento in termini di “visibilità” (visto che, sebbene la mia firma in fondo all’articolo sia in grassetto, sempre di carattere in corpo tre si tratta), dopo avere rifiutato un compenso in forma di caciotta venuta direttamente dalla Sicilia, fatta con le pecore della prozia della redattrice, riesco a piegare i vertici del free press per farmi avere una tessera che mi permetterebbe di andare a vedere tutte le proiezioni di un noto multisala cittadino gratis, free. E quindi accetto.
Per scoprire che la tessera è sospesa durante i primi dieci giorni di programmazione di qualsiasi film. Qualsiasi. Ora, dovendo guardare i film al massimo entro una settimana dall’uscita, per assolvere i miei doveri radiofonici, la tessera si rivela fondamentalmente inutile.
Rimane, quindi, il problema di fare dei soldini da qualche parte, per sfruttare il tempo libero che il lavoro part time mi lascia. Scartando alcune attività a me poco consone (tipo carpentiere, maestro d’asilo, fisico nucleare e, soprattutto, capo del mondo, che richiederebbe – ne sono certo – un full time che non mi posso permettere), penso ad un’altra tessera che ho e mi butto verso il giornalismo free-lance.
Il giornalista free-lance, spesso, è un piazzista. Tenta di vendere a chiunque qualsiasi cosa che ha scritto in vita sua, dalla lista della spesa ai dossier segreti del KGB (in questo caso, ovviamente, non appare la sua firma in calce). Fondamentalmente tutti cercano un giornalista free lance. O meglio, tutti sono disposti ad avere servizi incredibili, magari da zone delle quali gli inviati dei giornali non frequentano neanche gli alberghi. Io, al massimo, potrei fare un servizio dal Pilastro*, ma comunque mando lo stesso il mio curriculum qua e là, dovunque si richiedano delle collaborazioni di qualche tipo. Ed ecco la mail che ho ricevuto stamattina.

Gentile Utente,
la ringraziamo per averci contattato e per averci inviato il suo curriculum via mail, l’annuncio pubblicato nelle offerte di lavoro di XXX, in realtà riguarda la nostra ricerca di collaboratori free lance disposti a scrivere recensioni a titolo gratuito e volontaristico, naturalmente tutti i collaboratori usufruiranno degli accrediti stampa per seguire gli eventi da recensire, se questa offerta dovrebbe essere di suo gradimento e le interesserebbe collaborare con la nostra testata giornalistica, la invitiamo a contattare il nostro direttore responsabile, drt. YYY che le spiegherà tutte le modalità per l’inizio della collaborazione.
Ringraziandola ancora per la sua disponibilità e complimendomi con lei per il suo brillante curriculum, le porgo i nostri più cordiali saluti.

Quello che mi ha comunicato questa lettera, di nuovo, è il senso di libertà. Di un mercato del lavoro flessibile, mobile, elastico, volontaristico, libero da costrizioni, sindacalismi, burocrazie contrattuali. E, soprattutto, libero da regole grammaticali.

* Quartiere periferico di Bologna, dotato di fama sinistra e malavitosa (ma secondo me non è male).

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