Step by step: "In Rainbows" dei Radiohead

Eccoci qua, quindi. Dopo avere speculato su geroglifici, messaggi sul sito ufficiale, date di uscita dell’album. Dopo avere congetturato sulla presunta fine delle etichette discografiche e su download più o meno legali. Dopo tutto, quello che ci rimane è la musica. Lo ascolto da stamattina, quindi queste non sono impressioni proprio a caldo. Certo, non credo di avere mai scritto così velocemente di un disco. Oh, ne avevo voglia.

15 Step. In Rainbows si apre con ritmi elettronici, sui quali si innestano la voce di Thom Yorke prima e delle tessiture di chitarra poi. Basta il primo minuto di questa canzone per capire che siamo dalle parti dei Radiohead e basta. Se Hail to the Thief poteva essere considerato un tentativo di tornare a “quelli che erano i Radiohead” (ma quali, dico io, visto che i tre album precedenti erano diversi l’uno dall’altro?), ecco che il sincretismo si compie in maniera più definita già nella prima traccia del nuovo disco. Chi suona è un gruppo che ha alle spalle e allo stesso tempo ben presente tutto quello che è stato.

Bodysnatchers. Vigorosa intro di chitarra, batteria, basso pulsante. E ditemi che non sono rock, dai. Il pezzo cresce di intensità ad ogni battuta, gli strati si sovrappongono fino ad una cesura improvvisa, e i suoni tornano chiari e la voce di Yorke sale, e tutto ricomincia, per poi scomparire piano e ricominciare di nuovo. La traccia rimanda direttamente all’album precedente.

Nude. Archi campionati e incisioni al contrario, acuti, un basso nitido suonato su tonalità alte. Forse questo brano è come avrei che avesse suonato The Eraser. Ma basso e chitarre sono discreti nel tenere su il pezzo, seppur presenti, e il cantato indugia in glissandi e lievi vibrato. E il finale è lasciato a voce e archi. Sarà il momento accendini accesi ai concerti, occhi lucidi. E baci con la lingua.

Weird Fishes/Arpeggi. In parte il titolo spiega da solo il brano. Anche qui chitarra, basso e voce, e una batteria sincopata. Il crescendo è molto lento, poi si spegne e Yorke dice di essere stato mangiato da questi pesci bizzarri, e l’atmosfera si fa subacquea e ovattata prima e minacciosa poi, fino al finale.

All I Need. Un basso quasi fuzz, senso di solitudine e nudità. Insomma, una splendida canzone d’amore alla Radiohead. In sottofondo, ogni tanto, fanno capolino archi impazziti alla Hermann, per un secondo, e un vibrafono riprende la linea del basso. In mezzo, la voce inconfondibile che ben conosciamo. E il pianoforte. Uno dei pezzi migliori del disco. Niente di nuovo, ma rapisce.

Faust Arp. “One-Two-Three-Four”. Inizia così questo gioiellino di due minuti. L’inizio mi ricorda moltissimo un pezzo degli Zero 7, ma non ricordo quale. Gli archi sono molto presenti, e i loro arrangiamenti mi fanno tornare in mente alcune armonie che usava molto Nick Drake, così come sono intersecati con gli arpeggi di chitarra acustica. Forse il pezzo a cui mi sto affezionando di più.

Reckoner. La batteria dell’intro è registrata lontano, e definisce uno spazio ampio che verrà riempito nel corso del brano. Yorke viaggia su tonalità molto alte, ma il falsetto è pulito e preciso come al solito, raddoppiato. Lo spazio centrale della canzone è affidato ancora una volta ad una magnifica apertura d’archi e alla voce, anzi, alle voci che armonizzano l’una sull’altra. E’ un esempio di come i Radiohead in questo disco riescano ad essere lievi e pieni allo stesso tempo.

House of Cards. Un ritmo quasi sambeggiante, con vocalizzi lontani. Inizio quanto meno spiazzante. “I don’t wanna be your friend / I just wanna be your lover”. Ah, ecco, siamo meno spiazzati, adesso. La canzone sembra dovere esplodere da un momento all’altro, ma il castello di carte rimane in meraviglioso e prodigioso equilibrio.

Jigsaw Falling Into Place. Un titolo meraviglioso, che rimanda all’immaginario visivo dei Radiohead. Cantato basso, che segue un ritmo sincopato come prima, e poi esplode, insieme alla progressione armonica della canzone. Niente di nuovo, intendiamoci. Ma, oh, le canzoni belle i Radiohead le fanno anche perché sono loro a farle. Ehm, un po’ involuto come concetto, mi rendo conto…

Videotape. Pianoforte e Thom Yorke. No, dico. E, sentendola, mi si è stretto il cuore, perché il concetto stesso di videotape è qualcosa che ormai va oltre il contenuto, ciò che vi è registrato sopra. Si carica di un senso antico: lui la molla e le lascia il messaggio inciso su nastro. Uno splendido paradosso per chiudere un disco che è associato tantissimo a tutto quello che è digitale. Una splendida canzone per chiudere un ottimo album. Se vi aspettavate un capolavoro rimarrete delusi. Nonostante questo, ci scommetto, lo ascolterete compulsivamente.