I padri del rock

Aspettavo la serata di ieri da un paio di settimane. Dopo la passeggiata, infatti, mi ero dato appuntamento con E. per andare insieme al Boca Barranca di Marina Romea dove ci sarebbe stato il concerto di John Parish. Ma, oltre al concerto, E. mi diceva da mesi che voleva assolutamente farmi conoscere anche “Marta, Jean-Marc e Giorgia”, di cui mi parlava come fossero amici suoi. Io non sapevo chi fossero, e di Parish conoscevo solo il lavoro come produttore, toh, avevo sentito molto Dance Hall at Louse Point, quando era uscito, ma poi basta. Degli altri, sapevo solo che suonavano con lui. Mi immaginavo, quindi, una cena di pesce con E. e poi, al massimo, una birretta “con” gli altri, della serie io guardo e ascolto e sorseggio una media e basta.

Parish, appena ha visto E., l’ha abbracciata, poi si è presentato a me, e, così, abbiamo iniziato a parlare. Immediatamente siamo stati invitati a cena con loro, e quindi io mi sono trovato a cena di fianco a John Parish, a parlare di lavoro, del tempo, di musica, mentre le sue splendide bambine (una, in particolare, è davvero la bambina più bella che abbia mai visto, un incrocio perfetto di Tori Amos e Bryce Dallas Howard) mangiavano fritto misto e facevano disegni.
Durante la cena ho conosciuto gli altri membri del gruppo, il fonico, il chitarrista dei MiceVice. E. continuava a presentarmi a tutti, fino a che io, in preda alla frenesia, mi sono presentato allo scampo che troneggiava sulla mia pasta allo scoglio, e poi l’ho mangiato.
Tutti erano un po’ preoccupati di dover suonare (visto il tempo pessimo) all’interno del locale: insomma, suonare in una pizzeria mentre la gente mangia mi faceva venire in mente la scena de “I Blues Brothers”, quando si trovano ad esibirsi nel locale western al posto dei Good Ole Boys. Mi immaginavo lanci di rucola e olive. Oltre che di birra. E senza rete di protezione.

E invece il concerto è stato magnifico, la gente ha smesso di mangiare e ha seguito tutta l’esibizione, lottando (come il gruppo e noi altri) contro il caldo e il forte odore di grigliata di pesce, cose che, capirete, un po’ distraggono. Nessuna scena da “Taverna di Boe”, insomma, a parte una. Avete presente quando nel film, dopo l’inizio difficile, i Blues Brothers intonano “Stand by your man” e tutti si commuovono? Beh, ad un certo punto la piccola bimba Parish è salita sul palco: immaginatevi un esserino con i capelli rossi alto meno di un metro, con il pollice di ordinanza in bocca, la maglietta con la copertina di “Led Zeppelin II”, che ondeggia, un po’ stanca, al ritmo delle canzoni del padre, accanto a lui. Beh, si sono commosse anche le orate nei vassoi.

Poi è arrivato anche Howe Gelb e famiglia e i Giant Sand. Forse l’immagine più bella della serata che mi è rimasta impressa è quella di John e Howe, con le loro ultimogenite sulle spalle, che vanno verso il mare, sulla spiaggia buia.

Epilogo 1. E. ed io ci avviciniamo a Marta, per salutarla, e vediamo che parla con una bionda e un altro uomo. Quando se ne vanno, dice a me ed E. “Ma sapete chi è quella? Isobel Campbell”. Dopo un attimo di silenzio, in cui abbiamo pensato “Quella cicciona?!”, abbiamo solo detto “Ma va’?”
Epilogo 2. In macchina, al ritorno, parlando di quello che fanno Giorgia, Marta e Jean-Marc, E. mi dice con nonchalance che Jean-Marc (con cui ho chiacchierato per un po’) è il batterista dei Venus, un gruppo belga pressochè sconosciuto, ma che ha fatto un disco bellissimo 
Welcome to the dance floor. Io ci rimango di sasso, un po’ la insulto perché non me l’ha detto prima, ma lei, sorridendo, mi ha rassicurato che lo rivedrò presto, lui e tutti gli altri. Perché non crederle?