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Dagli archivi: Cannibal Ox – Blade of the Ronin

Cannibal Ox – Blade of the Ronin (IGC Records)

5,5

Basta confrontare la prima traccia del debutto del duo di Harlem con la intro di questo nuovo disco per capire che i 14 anni intercorsi tra lo splendido The Cold Vein e il fiacco Blade of the Ronin hanno decisamente cambiato le cose per Vordul Mega e Vast Aire (qui decisamente in primo piano rispetto al partner). Ciò che manca, soprattutto, è la ricerca dei suoni: nel 2001 i due raccontavano la loro NYC con distorsioni, squittii elettronici e bordoni inquietanti.

Le musiche del nuovo album, invece, sono un impasto troppo pacificato e poco convinto tra il tentativo di ricreare beat e basi del passato (che però allora erano, perdonateci il gioco di parole, all’avanguardia) e di tendere un orecchio ai suoni d’oggi. Il tutto sotto la produzione di Bill Cosmiq che, non ce ne voglia, fa il suo, ma non è l’El-P a cui The Cold Vein deve molto. Diciannove tracce che si srotolano lungo un’ora di disco, che avrebbe guadagnato molto da una sfoltitura, anche della guest-list: tra i featuring di Double A.B., Kenyattah Black, The Artifacts, U-God, eLZhi, Swave Sevah, Space, Elohem Star, IRealz, forse solo quello di MF Doom in “Iron Rose” si fa ricordare in qualche modo. Ma quella canzone, che vorrebbe riprendere la prima traccia con cui abbiamo conosciuto i Cannibal Ox, “Iron Galaxy”, ne è una pallidissima parente. Insomma, speravamo qualcosa di più.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di aprile 2015 de Il Mucchio Selvaggio

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