Tornato dalla mia vacanza più lunga dopo quella di quest’estate, avrei voluto scrivere qua delle cose buffe e belle viste e sentite tra Venezia e Verona. O magari del fatto che mi sono fatto leggere per la prima volta i tarocchi, che mi hanno previsto un 2005 splendido. Sì, mi sto toccando, embè? Invece no.
No, perché ieri, nell’ultimo giorno di questa brevissima vacanza, ho assistito ad una serie di episodi orrendi e sussurrati, comuni e tremendamente fastidiosi. Piccoli come cellule tumorali, e con lo stesso potenziale distruttivo, proprio perché invisibili.
Un viaggio in autobus. In fondo ci sono dei ragazzi marocchini, giovani, sui quindici anni. Accanto a loro due ragazze loro coetanee, che sembrano marocchine anch’esse. Quando le due ragazze si avvicinano alla porta per scendere, i ragazzini iniziano a prenderle in giro. “Bum, bum Camerùn, meglio negro che terùn!”, “Dal Po in giù l’Italia non c’è più”, e cose del genere. Le ragazze un po’ sorridono, un po’ sono in imbarazzo. Poi iniziano a parlare tra loro e sento che sono meridionali. Una di loro dice ai ragazzi: “Ma proprio voi parlate”. Poi, rivolta all’altra: “Verona, non c’è niente da fare.” Il mio primo innocuo pensiero è “Ma guarda un po’ come si mescolano i tratti dei volti”. Il secondo pensiero è “Umanità di merda.”
Un altro viaggio in autobus, poco dopo. Una donna africana, vicino all’uscita, parla a voce alta con un uomo, nella sua lingua. Non si capisce se stiano litigando o se si stiano prendendo in giro. Altri passeggeri dell’autobus, rigorosamente italiani, quindi inclini di natura al silenzio e alla contemplazione, sbuffano e protestano. Un ragazzo accanto a me dice, a voce né troppo alta né troppo bassa: “Una bella pistola, quello ci vorrebbe, e… bam bam”. Affiora nella mia mente solo il secondo dei due pensieri di prima.
In stazione, meno di un’ora dopo, sono al bancone del bar, e sto per pagare una Coca. Arriva un signore, dal chiaro accento meridionale, e chiede con una certa arroganza di parlare con “il responsabile”. La signora alla cassa si gira verso di lui e chiede quale sia il problema. L’uomo, sempre con lo stesso tono, protesta dicendo che il caffè che gli è appena stato servito è troppo lungo, o troppo corto, non ho ben capito. Intanto dietro di me si forma una piccola coda. L’ultimo in fila, un ragazzo della mia età, protesta dicendo che certa gente dovrebbe smetterla di rompere le scatole in questo modo. La discussione tra il cliente e la barista continua, e accanto all’uomo arriva una donna, dai tratti nordafricani: evidentemente i due sono insieme, e forse il “problema” del caffè riguarda anche lei. Il ragazzo dietro di me continua: “Sicuramente quello là non è italiano”. Io mi giro e lo fisso, pensando a quanto noi italiani, effettivamente, siamo accomodanti sulla risoluzione di ogni tipo di problema. In quel momento l’uomo alza la voce, e si sente che parla evidentemente nella nostra bella lingua, anche se non con una cadenza che l’Accademia della Crusca approverebbe. Il ragazzo continua: “Certo, guarda con chi sta, con quella mezza araba del cazzo.” Solo a quel punto, un attimo prima che io dica qualcosa, l’uomo dietro di me lo zittisce come si direbbe ad un bambino di smetterla di fare dei versi. Io guardo il ragazzo, lui mi guarda, poi la signora torna alla cassa e pago. Non ci sono pensieri, nella mia testa.
L’epilogo di tutto questo si svolge un paio di ore dopo, in un autobus che sostituisce il tratto di treno dove è accaduto l’incidente di qualche giorno fa. Fuori è tutto buio, non si vede nulla, e mi sembra di stare fermo. Accanto a me, da una parte e dall’altra, due ragazze africane si preparano per una notte di lavoro. Una tira fuori un opuscolo dallo zaino. E’ il giornale dei Testimoni di Geova, in inglese. In quel momento l’orologio digitale in fondo al pullmann mi dimostra che il tempo scorre: scattano le ventidue e tre minuti dell’ottavo giorno dell’anno nuovo.
E’ che a volte proprio non possiamo scegliere cosa ascoltare….Come l’altra sera. Sono di turno, arriva una chiamata. Incidente stradale, le macchine coinvolte non sono solo due. Sirena, pronti, via.Un’ora su uno dei coinvolti – l’unico messo davvero male. Un’ora, senza risultato. Niente da fare. Sentirsi come una piccola merda.Ma non è tutto finito. Prenditi cura degli altri. E gli altri sono tanti, e le richieste e i bisogni diversi. E’ strano: ho le gambe di piombo ma non le sento. Continuo a muovermi, medicare, fasciare, consolare come posso.Poi carico uno dei coinvolti: un colpo di frusta, niente di più. A parte lo shock, è quello messo meglio.E sento la madre che parla alle mie spalle, con qualcuno. "No, quella no", dice. "La borsa la portiamo noi, non gliela dare. L’hanno immobilizzata, non può muoversi. Capace che in ambulanza quelli ci mettono dentro le mani".Non dico niente. Comincio a sentire le gambe. Chiudo lo sportello dell’ambulanza. Partiamo.Non penso a niente. Ho bisogno di una doccia.
Il fatto che ci si riesca ancora a indignare è una piccola consolazione.
umanità demmerda. spetta che adesso ti mando una mail.
f.
Io a verona ci sono stato due anni fa, per ritirare una borsa di studio. Ti dico che ci sono rimasto un ora e mezza e sono fuggito di paura: si trattava di fare lo slalom tra camioncini della Liga veneta (roba che in confronto Borghezio è una brava persona), scritte ingiuriose sul resto d’Italia immaginabili e signore indignate di dover dividere l’aria con extracomunitari. Mi risparmio di narrare le scene che sono esattamente combacianti a quelle che hai raccontato te.
Che angoscia.
Roberto.
Meno di un mese fa, in autobus, ho messo a tacere un vecchietto che se la stava prendendo senza motivo con una ragazza nera e il suo bimbo. Tutto l’autobus mi ha dato ragione e si e’ messo a fare complimenti al bambino.
A volte non e’ tutto uno schifo.
Intendevo che tutto l’autobus si e’ messo a fare complimenti al bimbo, non il vecchio, che invece e’ rimasto zitto a guardare fuori dal finestrino…
L’umanità è bella perchè avariata…
già… che dire’?? Poveri terroni, adesso pure gli extracomunitari che l’hanno con noi… ma tu guarda…. io credo che l’intolleranza abbia assunto toni davvero forti… e tutto ciò è agghiacciante… sono d’accordo….
buon 2005
Non tutto è merda… come fare, allora, per distinguere il bene dal male?
Mi piace citare Calvino… questa cosa non potrebbe essere detta meglio:
L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Allucinante, non ho parole!
come ben sai sono di torino. e questa è la mia esperienza vissuta attraverso i racconti sentiti:
arrivarono i meridionali. poi i nordafricani. poi gli albanesi. poi quelli degli altri paesi dell’ est europa. a scalare, tutti assurgevano a una posizione sociale migliore, vessando quelli a seguire con ciò che avevano patito moltiplicato a mille. tutto un “l’ho preso in quel posto e mi vendico su chi è messo peggio di me”.
la morale della favola, diceva sempre mio zio alla fine del raccontino, mio zio che s’era fatto la russia e il campo prigionia, è semplicissima:
poveri o ricchi, belli o brutti, europei o africani, ricordati sempre che la cacca la facciamo tutti nello stesso identico modo.
Generalizziamo? Massì, dai.
Per quel poco che ci sono stata, Verona è la città più razzista che io conosca. Questo non vuol dire che altrove sia meglio… Anche la mia (adorata) parrucchiera marocchina fa battute razziste sui neri. E vogliamo parlare dei bolognesi con i ferraresi, allora?
Io non ho una soluzione. Come dice Vincenzo Consolo (oggi in un confronto con Tahar Ben Jelloun su Repubblica, ne consiglio la lettura), “dall’antica Grecia ai giorni nostri, siamo tutti emigrati: è un movimento che porta solo ricchezza”.
Chi glielo spiega?
trishtessa.