Dagli archivi: Sono stato Dio in Bosnia – Vita di un mercenario (Erion Kadilli, 2010)

Dagli archivi: Sono stato Dio in Bosnia – Vita di un mercenario (Erion Kadilli, 2010)

Vi ricordate la guerra nei Balcani? Si è trattato di uno dei conflitti più cruenti, spietati, feroci e incomprensibili nella storia dell’uomo. E questo non lo dico io, ma uno che la guerra l’ha fatta: Stefano Delle Fave. È lui il protagonista assoluto del documentario Sono stato Dio in Bosnia – Vita di un mercenario, realizzato dal regista italo-albanese Erion Kadilli.

Delle Fave vive un’adolescenza non proprio felice a Bordighera, collezionando guai con la giustizia e una passione per il giornalismo. Proprio in qualità di giornalista-fotografo decide di andare in Croazia: siamo nei primi anni ’90 e la situazione nella ex-Yugoslavia inizia a farsi pesantissima, al punto tale che la sua “guardia del corpo”, una soldatessa dell’esercito croato, gli muore tra le braccia colpita da una raffica di mitra. Delle Fave perde definitivamente la boccia e inizia la sua carriera di soldato di ventura, prima in Croazia e poi in Bosnia.

Kadilli decide di affidare la narrazione di tutto a questo quarantenne che si definisce “pazzo” (mentre “Hitler era solo un folle”), che confessa delitti raccapriccianti (ma dirà sempre il vero?), e che racconta senza peli sulla lingua la guerra e il codazzo di orrore, soldi e sangue che ogni conflitto si porta dietro.La camera è fissa sul mercenario, soprannominato “Red Devil” nei Balcani. Coscientemente, il regista compare appena in campo per le prime domande ma, mano a mano che il film va avanti, rimaniamo da soli con gli occhi spiritati di Delle Fave e ascoltiamo quello che ha da dirci.

Tuttavia non di sole interviste è fatto Sono stato Dio in Bosnia: una parte notevole del documentario, infatti, è affidata a materiali di repertorio di tipo molto diverso. Da un lato ci sono i filmati girati dal mercenario in Croazia e Bosnia; dall’altro ci sono filmati della RAI in cui Stefano Delle Fave è protagonista. Eh già, perché una puntata di un’edizione di Domenica In, condotta da Elisabetta Gardini e Toto Cutugno, ebbe proprio lui come ospite. Lì, sul divano azzurro, davanti a scenografie pastello, il poco più che ventenne Delle Fave raccontava la sua guerra, rispondeva a domande come “Cosa si prova a uccidere un uomo?” e altre amenità.

Basterebbe questo, e i contrasti che il film solleva, perché Sono stato Dio in Bosnia rimanga nello stomaco e nel cervello per molto tempo: invece Kadilli esagera appena un po’, calcando inutilmente la mano su una traballante critica alla società dello spettacolo, tirando fuori il seggio europeo della Gardini e una citazione di Adorno in capo al film. Peccato, ma sono nei in un prodotto a budget bassissimo e dal fiero spirito indipendente che speriamo non sia relegato a proiezioni sporadiche qua e là.

Recensione pubblicata originariamente sul blog di Pampero Fundacion Cinema nel febbraio 2011

 

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