Dagli archivi: Django Django – Born Under Saturn
Django Django – Born Under Saturn (Because Music)
7,5
Nei tre anni passati dall’acclamatissimo esordio, Vinnie Neff, Jim Dixon, Tommy Grace e Dave Maclean non sono stati fermi: oltre a una massiccia serie di concerti, gli scozzesi hanno lavorato a colonne sonore e installazioni. Una volta tornati in studio, si sono da subito resi conto che il nuovo Born Under Saturn, avrebbe avuto un suono ancora più imponente del precedente: l’apertura “Giant” è perfetta per questo disco, con una intro che ricorda i Depeche Mode meno oscuri (ripresi anche nel primo singolo “Found You”) e uno sviluppo che fonde elementi pop con le sfumature psichedeliche che paiono siano obbligatorie in ogni produzione recente.
Ma i Django Django non attingono solo a queste tavolozze; ritroviamo sia le cavalcate ritmiche (talvolta africaneggianti, come in “Vibrations”) accoppiate alle chitarre surf del primo album, sia momenti vicini a stilemi house: è lì, per esempio, che va a parare il break di tastiere del secondo singolo “Reflections”. C’è spazio anche per derive West Coast (“High Moon”) e per accenni più solenni, come nella versione del mito di Faust raccontata in “Found You”, in cui si usano suoni d’organo e si nota una certa (ironica?) sacralità nel ritornello. Quello che traspare, in generale, è la voglia di divertirsi e fare divertire: possiamo assicurarvi che i quattro, nonostante la lunghezza dell’album, ci riescono.
Recensione pubblicata originariamente sul numero di aprile 2015 de Il Mucchio Selvaggio
Tutto comincia quando un serafico Andrew Fearn fende il pubblico (il Covo non ha un vero e proprio backstage) e sale sul palco con sei bottiglie di birra e un portatile: la scenografia è tutta là, insieme a un microfono e uno sgabello su cui il laptop trova posto. L’uomo dedito ai beat del duo hip hop, punk, post punk, chi se ne frega, sta là fermo, come se stesse aspettando l’autobus. Non interagisce o quasi col pubblico, pur non sembrando altezzoso: un atteggiamento che manterrà per tutto il live, tanto da farci percepire una grottesca sovrapposizione con il ruolo live di Mauro Repetto negli 883 (ma Fearn balla di meno). Solo dopo diversi minuti la platea, ormai fittissima, accoglie Williamson, che attraversa la folla, si posiziona di tre quarti davanti al microfono e inizia a sputare rime violentissime, praticamente senza sosta. Si concede talvolta di ammiccare in maniera grottesca al pubblico, sculettando e fingendo di tenersi e offrirci i seni (sic).