Public Image Ltd. – What the World Needs Now (PiL Official)

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Public Image Ltd. - What the World Needs NowSpoiler: ciò di cui ha bisogno il mondo ora è “a big fuck off”. La risposta al titolo del nuovo album in studio dei PiL è nella traccia di chiusura, l’unica che vira sull’elettronica delle undici di What The World Needs Now. Se in Shoom Lydon manda a quel paese in maniera prevedibile sesso, successo, contratti, botox (sic), arrotando le erre a più non posso e riassumendo in sei minuti e mezzo la parte più dance della storia del gruppo, nelle altre tracce torna musicalmente all’elettricità che in This Is PiL si era un persa in favore del versante dub.

Molti testi hanno un taglio “autobiografico”, ma non aspettatevi chissà quali confessioni: non saranno quelle a stupirvi, quanto i coretti “auuu” in The One (questa è una canzone d’amore) e le celestiali aperture armoniche in Big Blue Sky (non c’entrano gli ELO: il cielo del titolo è “quello che vedrò quando morirò”). Due brani che stridono se confrontati con la coppia formata dal potente singolo Double Trouble e dalla caustica B-side Betty Page, in cui c’è una specie di parodia del Bowie di Let’s Dance e gli USA (tornati a sorridere al Duca Bianco nei primi anni ’80, proprio quando Lydon era ai ferri corti con il membro fondatore Levene) vengono definiti “the most pornographic country of the world”. Probabilmente Lydon un po’ ci fa e un po’ ci è con queste uscite: tuttavia, pur invecchiando, diverte; meno quando va sull’autobiografico.

La scaletta infatti piazza di fila due doppiette tematicamente un po’ scontate: la prima formata dalla litanica C’est la Vie e da Spice of Choice (dove ovviamente la choice è of life); la seconda da Whole Life Time e I’m Not Satisfied (“Then the drugs to ease the pain, but the drugs didn’t work and I’m back again”). Però la musica funziona: d’altro canto se l’album è il primo in assoluto nella storia della band in cui l’organico (il chitarrista Lu Edmonds, Bruce Smith alla batteria, Scott Firth al basso e Steve Winwood alla produzione) è lo stesso del disco che lo precede, qualcosa vorrà pur dire.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di settembre 2015 de Il Mucchio Selvaggio