Un post come questo che si rinvia, si rinvia e si rinvia ancora, ha una caratteristica: il suo titolo si allunga e cambia, se uno volesse essere preciso, ogni istante.
Se l’avessi scritto un paio di settimane fa, sarebbe stato “Dieci anni”, e forse per correttezza avrei dovuto aggiungere “più o meno”. Già, perché non ricordo esattamente quando mi sono trasferito a Bologna. Era l’ottobre del 1996, di questo ne sono certo. Potrei risalire alla prima lezione all’università, ma in fondo sono passati quattro anni (meno un mese circa) da quando mi sono laureato: l’università è finita, la mia permanenza a Bologna, no.
Non ricordo bene quel mese, perché è stato difficile, difficilissimo, ed esaltante allo stesso tempo. Avrei vissuto e fatto l’università a Bologna, che ai miei occhi era un po’ come fare l’università a Disneyland, senza avere però pupazzi enormi come docenti: poi ho avuto di fronte solo pupazzi normali, per la maggior parte.
Abbandonavo la cittadina del nordest senza rimorso alcuno, a parte quello di allontanarmi dalla mia ragazza di allora: lei si era fermata a Venezia, io avevo esagerato di un altro paio di centinaia di chilometri, ed ecco, ero a Bologna.
Quell’ottobre di dieci anni fa mi ha visto conoscere i primi di una decina abbondante di coinquilini che avrei avuto. Mi ha visto stare ore al telefono, e segnare poi gli scatti su un quadernino: un gesto che adesso sembra assurdo, ma allora era – o meglio: avrebbe dovuto essere – l’ultimo vero atto della chiamata. E sulla carta il numero degli scatti era proporzionale all’intensità della telefonata: tanti scatti significavano comunque qualcosa di forte: un litigio o una serie infinita di “mi manchi” declinati in ogni modo. E talvolta ho pensato che, sommando quei numeri, avrei ottenuto qualcos’altro oltre alla cifra da pagare a fine mese.
In quell’ottobre di dieci anni fa giravo per Bologna perdendomi, ritrovandomi, iniziando a conoscere delle persone che mi accompagnano tutt’ora.
Una sera, tornando a casa dall’università, uno dei primi giorni di lezione, guardai il cielo, da via Rizzoli, verso le torri, e pensai a quanto era bello, a quanto era bella questa città. E a me in mezzo a tutto questo.
Adesso, dieci anni dopo, Bologna è diventata il luogo dove vivo, mangio, lavoro, abito. Ma ogni tanto, per fortuna, continuo a guardare il cielo e a perdermi.
Post di meravigliose speranze…
Potevi fregartene degli scatti… Io lo facevo sempre…
ehi, qui ci vuole un accompagnamento musicale adeguato, strappacore… E tanti auguri per la tua decennale bolognesità!
DIECI ANNI! Che malinconia mi metti addosso!Sono passati dieci anni anche da quando io ho iniziato l’Università, e quattro da che mi sono laureata…e ho lasciato anch’io una cittadina del Nord Est (o Far East che dir si voglia) per poi (dopo un po’ di giri) fermarmi a Venezia…peccato che io continui a segnare le telefonate sul quadernino…(gli scatti, quelli no, ora ci sono le bollette dettagliate, potere del progresso). Bello il post, si addice al tramonto di stasera sulla laguna (…e vai con i violini). Grazie! Eve
P.S. anch’io continuo a perdermi…d’altronde, tra le calli, vorrei vedere voi…:-)
Dopo aver visto l’ultimo video dei Take That in cui quelli che io ricordavo come dei BAMBINI sono diventati inopinatamente dei vecchi bacucchi, ci mancava solo questo tuo post!
[Ste]
ammazza, è vero. so’ diventato un piagnone. momenti, solo momenti (e sotto parte feelings).
cin alla “rossa”! (Ale)
auguri..
sottoscrivo tutto, eccetto per i 10years ago! Stessa università, stesso quadernetto con data-ora-numero chiamato, stesso scarso orientamento, stessa laurea, stesso stupore nel vedere l’aura bolognese che volente o nolente mi/ti cattura…stay free!
4 anni fa mi trasferivo anche io a Bologna, per poi lasciarla circa un anno fa. Ci arrivavo per amore. Partivo perchè Bologna non era più un luogo dove poter lavorare in serenità.
Non mi perdevo guardando il cielo, a Bologna, ma amando prima una e poi un’altra ragazza e finendo spesso le serate in grandi fumate di marijuana.
Ora è finita.
dieci anni fa , da bolognese sedicenne ho comprato il mio primo “mucchio selvaggio” e ho letto una recensione che mi ha cambiato la musica: “Grace”.