C’è un nome che ricorre nella storia statunitense della seconda metà del secolo scorso: quello di Robert McNamara, nato nel 1916. Un uomo che ha svolto dei ruoli fondamentali nella politica estera USA e, di conseguenza, negli equilibri mondiali, in uno dei periodi chiave della storia dell’umanità: quello che va dal secondo conflitto mondiale alla Guerra fredda. Ottavo segretario della difesa degli Stati Uniti, si trova a ricoprire il delicato incarico proprio nella prima fase della guerra del Vietnam.
Immaginate ora di avere quest’uomo, laureato ad Harvard, già ai vertici della Ford, presidente della Banca Mondiale, davanti a una videocamera per 30 ore, che parla a ruota libera.
Il risultato (ovviamente montato e ridotto a poco più di un’ora e mezzo di lunghezza) è The Fog of War, diretto da Errol Morris nel 2003, che nell’anno successivo ha collezionato una quantità di premi, tra cui l’Oscar come miglior documentario.
McNamara parla di fronte alla camera, lo vediamo mentre ascolta dei nastri di conversazioni storiche o mentre è in macchina e risponde alle domande incalzanti di Morris. Spesso il regista lo riprende in primissimo piano, come per cercare i segreti nascosti di quest’uomo, ma, lo dice McNamara stesso, “preferisco essere bastonato per una cosa che non ho detto, piuttosto che dirla.”
Non pensate, però, di vedere un uomo che fa sfoggio di potere e che gioca sulle sue evidenti abilità dialettiche: McNamara, che all’epoca delle riprese ha quasi novant’anni (morirà nel 2009), è pacato, riflessivo, brillantissimo nell’eloquio senza però neanche sfiorare la retorica. Il documentario tocca vertici davvero alti, grazie alla bravura di Morris e con l’aiuto “emotivo” delle musiche di Philip Glass, quando si affrontano i capitoli legati alla figura di Kennedy, il presidente che lo volle al suo fianco.
McNamara si commuove e ricorda con intensità una delle crisi internazionali che più fecero tremare i blocchi contrapposti durante la Guerra Fredda, quella della “Baia dei porci”. Quei giorni, raccontati da lui, si trasfigurano in due direzioni opposte: da un lato c’è la sensazione (peraltro reale) di sentire parlare uno che in quel momento era presente e aveva enormi responsabilità. Dall’altro l’episodio diventa quasi una parabola filosofica e politica sul conflitto come concetto storico.
Infatti sono gli eventi bellici a occupare il centro del documentario, che in Italia è uscito non a caso con il sottotitolo La guerra secondo RobertMcNamara. Negli undici capitoli che compongono il film il conflitto è sempre presente, sia quello reale della Seconda guerra mondiale, sia quello più astratto, ma non meno distruttivo, tra ragione di Stato e umana razionalità.
Ed è la guerra che vince, alla fine: il sogno di McNamara, anticomunista ma umanista allo stesso tempo, pragmatico e idealista insieme, è svanito. Le conseguenze si leggono sui giornali ogni giorno e rimangono impresse nello spettatore di The Fog of War nell’espressione triste di quest’uomo potentissimo sulla quale si chiude il documentario.
Recensione pubblicata originariamente sul blog di Pampero Fundacion Cinema nel gennaio 2011
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