johnny depp

Dagli archivi: AA VV – The Art of McCartney e The New Basement Tapes – Lost on the River

AA VV – The Art of McCartney (Arctic Poppy)

5

The New Basement Tapes – Lost on the River (Harvest)

7

Due tributi diversi, nei modi e nei risultati, per omaggiare due figure mitologiche. Deludente “The Art of McCartney”, prodotto da Ralph Sall, in cui una trentina di musicisti si cimentano con una selezione di successi di Macca, dai Beatles agli anni recenti. La scaletta è scontata, ma maggiormente preoccupante è che due terzi delle canzoni sembrino una sorta di karaoke di lusso, più divertente sulla carta (“Ehi, Alice Cooper canta Eleanor Rigby…”), che nei fatti (“… uguale all’originale”). Compare ogni tanto un barlume di interesse, non tanto negli arrangiamenti, per lo più pedissequamente filologici, quanto nelle interpretazioni vocali: il meglio arriva sul finale con le ruvidezze di Alain Touissant e Dr John, e le tinte black di Dion e B. B. King, a ricordarci quanto certi suoni abbiano educato i quattro di Liverpool. C’è anche Bob Dylan, che rifà (abbastanza svogliatamente) You’ve Got to Hide Your Love Away, pubblicata in origine esattamente un anno dopo il suo primo incontro con i Beatles.

Il legame tra i due titoli di cui parliamo finisce qua; infatti “Lost on the River” è la messa in musica di alcuni testi scritti da Dylan coevi ai Basement Tapes, al buen retiro tra Woodstock e dintorni del 1967. I manoscritti sono stati consegnati dal loro autore a T-Bone Burnett, che ha preso in mano il progetto come produttore. Insieme a lui, nientepopodimeno che Elvis Costello, Jim James (My Morning Jacket), Marcus Mumford (Mumford & Sons), Rhiannon Giddens (Carolina Chocolate Drops), Taylor Goldsmith (Dawes) e un cameo alla chitarra di Johnny Depp. Il risultato è piacevole, non sorprendente, ma con un pugno di canzoni che colpiscono, soprattutto quando è Costello a cantare i versi (musicalmente efficacissimi) perduti e ritrovati.

Recensione pubblicata originariamente sul numero di novembre 2014 de Il Mucchio Selvaggio

Dagli archivi: When You’re Strange (Tom DiCillo, 2010)

Nel dicembre 2010 TomDicillo scrive sul suo blog: “Quando mi sono svegliato stamane ho scoperto che When You’re Strange ha ricevuto una candidatura ai Grammy. La categoria è video di lungo formato (dvd), il che va bene, sebbene sia stato concepito, prodotto e distribuito come film”.
Due mesi dopo il documentario vince il premio, eppure per ora When You’re Strange ha avuto una distribuzione, internazionale e domestica, davvero scarsa. Possibile che la figura di Jim Morrison non sia più interessante? E che la voce narrante di Johnny Depp non attiri almeno il pubblico anglofono?

E dire che di cose interessanti il film ne ha, a partire (è una banalità?) dalla musica dei Doors che, emendata tanto da retrospettive maledettiste quanto dagli strali di detrattori inutilmente acidi, rimane per molti versi superba. È notevole anche il lavoro di ricerca: molti documentari musicali si vantano di avere al loro interno sequenze mai viste prima, ma in questo caso è proprio così. E, infine, si parla almeno un po’ anche di Krieger, Manzarek e Desmond, che pare abbiano appoggiato il progetto (cosa che al famigerato The Doors di Oliver Stone non era riuscito neanche per sbaglio). DiCillo adotta una visione globale del percorso compiuto della band californiana, che viene riallacciato ai momenti turbolenti della storia dell’epoca degli USA e anche alla storia personale di Morrison, qui visto davvero nel modo più oggettivo possibile.

È chiaro perché Oliver Stone si sia fatto prendere la mano con quel film, vent’anni fa: a rivedere certe sequenze e a risentire certi brani, si percepisce la grandezza quasi minacciosa di Morrison, e quel misto di fragilità, carnalità e lirismo che emana ogni sua nota e parola. E quindi anche DiCillo, qua e là, perde il controllo, toccando ahinoi l’apice quando fa spegnere un fiammifero mentre Depp ci narra della morte del leader dei Doors. Subito dopo, però, monta “The Crystal Ship” con immagini dei Doors in vacanza su una specie di yacht, mentre nuotano in acque cristalline e si tuffano dalle balaustre dell’imbarcazione, e tutti hanno uno sguardo un po’ triste. La pacchianata del fiammifero scompare di fronte a un brano di montaggio eccellente.

Quindi, nella sua ora e mezzo, When You’re Strange non è privo di difetti, o meglio, di piccoli eccessi, qua e là. Però glieli si perdona, un po’ nel nome della buona volontà che lo sostiene, un po’ perché alla fine è difficile essere immuni, tuttora, dal fascino della musica dei Doors.

Recensione pubblicata originariamente sul blog di Pampero Fundacion Cinema nell’aprile 2011

Il giorno dopo la Mostra

La cosa più difficile, tornato a casa, è dover scegliere altro rispetto a che panino mangiare per pranzo, cena, colazione, merenda e che film vedere. E’ anche difficile rendersi conto che la vita qua necessita più del chilometro quadro calpestato ogni santo giorno al Lido. E’ anche difficile resistere alla tentazione di mettersi un pass al collo, uno qualsiasi, prima di uscire, per entrare qua o là.
Non credo di avere mai fatto un post a punti, ma volevo scrivere le dieci cose più belle della Mostra del Cinema di quest’anno, a parte i film, di cui trovate chiacchiere varie qua.

1. Arrivare al Lido e vedere subito David Cronenberg seguito da alcune ragazzine che sventolano un cartello su cui c’è scritto: “Mr Cronenberg, thank you for Spider, the best film in the world”. Penso che, allora, il cinema ha ancora qualche speranza.
2. Vedere, nei giorni successivi, le stesse ragazzine avere lo stesso atteggiamento adorante, completo di cartelli, per Orlando Bloom, Tim Burton, Riccardo Scamarcio e altri.
3. La sigla animata del festival, ironica, divertente e ritmata: e per fortuna, considerando che è la cosa che si vede ogni giorno, più volte al giorno, sempre.
4. Le scritte tracciate a pennarello sulla carta che ricopre la balaustra della passerella davanti al Palazzo del Cinema. Ne vedete qualche esempio, ma la più bella non sono riuscito a fotografarla. Diceva: “Johnny [Depp] se non vieni mi uccido. P.S. Molla Vanessa [Paradis, la moglie]” e, subito sotto, “Scherzo”.
5. Credere di avere visto Francis Ford Coppola: forse era un suo sosia, ma in fondo, chi se ne importa.
6. Sedersi allo stesso posto occupato nel 1999, quando, ventunenne, andai alla mia prima Mostra. Primo film: Eyes Wide Shut. Dietro di me, allora, Emir Kusturica.
7. Ordinare i panini del “Pecador” che hanno nomi come “Basil Instinct”, “Ham Cruise” e l’inarrivabile “Gregory Speck”.
8. Non avere visto, neanche una volta per sbaglio, Gigi Marzullo.
9. Incrociare lo sguardo di Emmanuelle Seigner, cinque minuti dopo avere visto l’orrendo film di cui era protagonista, Backstage.
10. Il momento esatto in cui si sono spente le luci prima del film più bello visto in tutti questi giorni, La sposa cadavere.
E da domani si torna alla vita normale, senza pass, mangiando normalmente panini al prosciutto che si chiamano, al massimo, “prosciutto”.

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